giovedì 25 aprile 2019

DELITTI IMPOSSIBILI





DELITTI IMPOSSIBILI
di Autori Vari
Polillo Editore
2012, 320 pagine, 15.40 euro

Si tratta del 125° volume della benemerita collana "I bassotti", decisamente un must per gli appassionati del giallo classico. In questo caso, non ci viene proposto un romanzo ma una antologia di nove racconti, tutti scritti nella prima metà del secolo scorso o poco dopo, caratterizzati da un delitto (o da un mistero) decisamente insolito, tanto da poter sembrare impossibile, assurdo, fuori da ogni logica, come frutto di un potere paranormale. Invece, puntualmente, la spiegazione c'è ed è, se non probabile, almeno plausibile. Ad aprire le danze è Fredric Brown, con "Il macellaio sghignazzante", in cui un uomo viene trovati morto nella neve e le impronte mostrano che l'assassino lo ha inseguito... ma non è tornato indietro, come se avesse preso il volo. Il secondo colpo lo spara John Dickson Carr, il maestro dei delitti della camera chiusa: il mistero ricorda molto "La lettera rubata" di Edgar Allan Poe e difatti a risolverlo è lo stesso Poe in prima persona (la sua identità è la sorpresa finale del racconto). Segue Joseph Commings, che propone il mistero di un palombaro disceso a ispezionare il relitto di una nave affondata e che viene recuperato con un coltello piantato nel petto, quando è impossibile che ci siano altri in immersione nei paraggi essendo la sua l'unica attrezzatura presente sull'isola nelle cui acque si svolgono i fatti. Marten Cumberland risolve in modo credibile appunto un delitto avvenuto in una stanza chiusa dall'interno in cui è impossibile che qualcuno sia entrato (eppure all'interno c'è un morto ammazzato). Il più singolare, però, è Peter Godfrey che fa partire un addetto della funivia dentro una cabina in cui c'è solo lui, e quando arriva a destinazione l'uomo è stato accoltellato. Fra i nove autori c'è anche Ellery Queen, che però non brilla (pur essendo gradevole come al solito): la cosa singolare è che il racconto si svolge in un Luna Park americano chiamato "Joyland", come quello del più recente romanzo di Stephen King. Craig Rice fa impiccare un uomo in una cella di massima sicurezza di un penitenziario in cui è rinchiuso solo lui, però non si tratta di suicidio ma di omicidio. Com'è possibile? Leggere per saperlo. Forrest Rosaire propone un omicidio con il veleno avvenuto sotto gli occhi di tutti, mentre la vittima non ha né mangiato né bevuto nulla: eppure la sostanza che lo ha ucciso ha un effetto immediato. Per finire, Hake Talbot propone un delitto commesso , da una divinità dopo essere stato profetizzato da un santone, ma il trucco viene scoperto da un illusionista. Come si vede si tratta di esercizi di enigmistica molto divertenti, la cui componente letteraria serve a imbastire un contesto credibile in cui farli svolgere e a fornire le adeguate motivazioni ai personaggi. Il talento, maggiore o minore, di ciascun autore, serve a coinvolgere più o meno il lettore. In alcuni casi l'ansia di creare un mistero apparentemente insolubile rende la spiegazione un po' cervellotica (anche se possibile), in altri invece la partecipazione è totale e l'appagamento finale soddisfacente. Consigliato agli amanti del genere.

martedì 23 aprile 2019

RAGIONE E SENTIMENTO





Jane Austen
RAGIONE E SENTIMENTO
Einaudi
2015, brossura
450 pagine, 11 euro


Parlando di Jane Austen, il primo pensiero che mi viene in mente è quanto sia incredibile che nel Regno Unito (come accadeva del resto anche in Francia e negli USA) già nella seconda metà del Settecento ci fossero scrittori (nel caso della Austen, ancora più eclatante, scrittrici) in grado di pubblicare trascinanti romanzi, ancora oggi godibilissimi, mentre in Italia si continuava a vivere in Arcadia e per trovare una via italiana alla letteratura in prosa ci toccò aspettare la “quarantana” dei Promessi Sposi (1842) e poi, per un bel po’, non ci fu niente altro di altrettanto leggibile (non lo sono più, purtroppo, né i romanzi del D’Azeglio né quelli del Guerrazzi). Né Jane Austen, in quanto donna, rappresenta un unicum, dato che basterà pensare alle sorelle Brontë per trovarne altre tre. Ma se “Jane Eyre” e “Cime tempestose” (dovute rispettivamente a Charlotte ed Emily Brontë) sono sicuramente letture da raccomandare, “Orgoglio e pregiudizio” della Austen è decisamente imperdibile. Letto quello, non si può fare a meno di desiderare di continuare con qualcos’altro della medesima autrice, e dunque basta un salto indietro di qualche anno per lasciarsi appassionare da “Ragione e sentimento”. “Sense and Sensibility”, questo il titolo originale, venne scritto fra il 1795 e il 1810, e pubblicato nel 1811. L’autrice, nel 1795, aveva venticinque anni (era nata nel 1775 e sarebbe morta nel 1817). Per l’epoca, venticinque anni era già un’età matura: colpisce, infatti, come anche nel romanzo venga considerata vecchia la signora Dashwood, madre delle due protagoniste Elinor e Marianne, appena quarantenne, e attempato il Colonnello Brandon, trentacinquenne. Le vicende di “Ragione e Sentimento”, come già quelle di “Orgoglio e Pregiudizio”, riguardano personaggi della media e alta borghesia: uomini d’affari, ricchi possidenti terrieri, ereditieri che vivono di rendita, ufficiali in congedo e compagnia bella. Sono esclusi i ceti sociali più bassi, e vi si accenna solo come servitori, stallieri, cocchieri ma non c’è alcuna interazione tra loro e gli altolocati. Ugualmente escluso è il sesso: per quanto personaggi maschili e femminili si innamorino, si fidanzino, tessano tresche, si appartino, mai si scambiano neppure un bacio e si danno rigorosamente del “voi”. A dire la verità, in “Sense and Sensibility” compare un personaggio definito “libertino”, John Willoughby, di cui si racconta (è uno dei colpi di scena) come in passato abbia sedotto e abbandonato una fanciulla (che si ritrova prima incinta e poi ragazza madre e finisce per essere emarginata dal consesso sociale dei benpensanti), ma a tutto ciò si allude soltanto di sfuggita e mai la poveretta compare sulla scena. “Orgoglio e pregiudizio” comincia con una celebre frase che potrebbe fare da incipit anche a “Ragione e sentimento”: “E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un buon patrimonio debba essere in cerca di una moglie”. Difatti pare che la principale preoccupazione di ogni genitore (soprattutto delle madri) sia di combinare prima possibile un buon matrimonio per i figli (soprattutto per le figlie), intendendo per “buon matrimonio” una unione con qualcuno di famiglia molto ricca, e le trame dei due romanzi si dipanano appunto su questo tipo di scenario. Tutto ciò potrebbe sembrare scoraggiante per il lettore moderno. Invece, si tratta semplicemente di un retaggio culturale inevitabile per la scrittrice, che non poteva certo, all’epoca, trovare editori e lettori disposti ad accettare qualcosa di diverso. Ma una volta compresi i limiti entro i quali Jane Austen è costretta a muoversi, ci si accorge subito di quanto, per altri versi, sia da considerarsi trasgressiva. Innanzitutto l’autrice descrive una società inamidata e formalista molto attenta all’aspetto economico di ogni relazione: la scrittrice propone però eroine al femminile che contestano questo tipo di atteggiamento e mettono in ridicolo (facendone una forte critica) l’ipocrisia di chi appunto mette l’interesse pecuniario di fronte a tutto. La Elinor di “Sense and Sensibility”, in un passaggio del romanzo, ironizza persino (oggi ci sembra scontato, ma nel 1795 non lo era) sull’idea corrente che alla ragazza per la quale la famiglia trovi un buon partito non debba essere chiesto il parere, o che per costei sia tutto sommato indifferente sposare uno o l’altro di due fratelli ugualmente ricchi. Insomma, la Austen rivendica la voce in capitolo delle donne. Del resto, la sua scrittura è molto “al femminile” per come descrive i moti d’animo delle sue protagoniste, per il modo con cui dà ragione delle speranza e delle ambizioni di Elinor e di Marianne (Elinor è la Ragione, Marianne il Sentimento), entrambe caratterizzate benissimo. Moderna (dal punto di vista dello stile, dell’empatia suscitata, della capacità di intrigare chi legge) è poi la scrittura chiara e pulita, ma mai sciatta e banale. Modernissimi i vari colpi di scena che si susseguono. Insomma, l’autrice sapeva, più di duecento anni fa, come irretire il suo pubblico, e le sue opere irretiscono anche i lettori di oggi. Chi sposeranno Elinor e Marianne, ragazze con poche sostanze a loro disposizione (per colpa del loro fratellastro e dell’odiosa di lui moglie), dopo essere state entrambe, in modo diverso, illuse da due gentiluomini che hanno loro infranto il cuore? Vi assicuro che entrando nel romanzo non potrete più uscirne finché non conoscerete la risposta.

lunedì 22 aprile 2019

UN FALSO DERVISCIO A SAMARCANDA



Arminius Vambery
UN FALSO DERVISCIO A SAMARCANDA
Touring Club Italiano
1997, brossurato
152 pagine, 20.000 lire
La Biblioteca del Touring Club recupera un classico della letteratura di viaggio, riproducendone la traduzione della prima edizione italiana datata 1873, uscita per i tipi dell'editore Treves. Si tratta di affascinante quanto drammatico resoconto di un'impresa compiuta una decina di anni prima da Arminius Vambery, uno studioso ungherese appassionato linguista e interessato ad approfondire le affinità tra la lingua magiara e quelle dell'Asia Centrale. Purtroppo, il Turkestan e l'emirato di Buchara (dove sorgeva la mitica Samarcanda) erano all'epoca praticamente irraggiungibili dagli occidentali, sistematicamente e barbaramente uccisi in quanto infedeli. In realtà, anche gli stessi musulmani rischiavano la pelle o la schiavitù attraversando le terre dei Turcomanni, predoni feroci. Anche per questo, agli occhi di Vambery quelle terre rappresentavano una irresistibile attrazione, la stessa che promana per un esploratore da una terra inesplorata. Così, perfettamente padrone dell'arabo, del turco e del persiano, partito alla volta di Costantinopoli e poi della Persia, l'ungherese si traveste da derviscio (un monaco mendicante musulmano) e si unisce a una carovana di pellegrini di ritorno da La Mecca nel natio Turkestan. Durante ogni tappa del lungo viaggio Vambery si trova a rischiare la testa, attirando i sospetti di chi giudica troppo chiaro il colore della sua pelle o di chi, più semplicemente, diffida degli stranieri. Il suo gruppo deve di volta in volta informarsi sulle mosse e gli spostamenti dei predoni per evitare di incontrarli, preferendo piuttosto percorrere vie attraverso deserti o paludi invece di piste più brevi e agevoli infestate dai briganti. Innumerevoli volte teme di morire di sete, o deve sventare intrighi a suo danno. Assiste a supplizi terribili imposti dalla rigida osservanza dei dettami islamici, si commuove per la sorte tragica di schiavi persiani o russi catturati dai Turcomanni, incontra il ferocissimo khan di Khiva abituato a mettere a morte qualcuno ogni giorno solo per l'alzata di un sopracciglio. Ma alla fine, riesce a raggiungere Samarcanda. Rientrato in Europa, scrive il suo reportage che è avventuroso come un romanzo di Emilio Salgari. E la traduzione ottocentesca proprio di Salgari ha il sapore.

domenica 21 aprile 2019

ANONIMA ALDILA'





Robert Sheckley 
ANONIMA ALDILA'
Urania Collezione n° 126
Mondadori
2013, 220 pagine, 5.90 euro

Si tratta di un romanzo del 1958 trasportato in film nel 1959 con il titolo "Immortality, Inc." (quello originale del libro), scritto da un autore americano dalle radici polacche (il cognome della famiglia era in realtà Shekovsky), maestro nel campo delle short-stories ma meno suo agio, come scrive Giuseppe Lippi nella sua interessante postfazione, nei racconti lunghi, anche se gli si devono capolavori come "Gli orrori di Omega" o lo stralunato "Opzioni". "Anonima Aldilà" è stato stampato e ristampato più volte e si può considerare a tutti gli effetti un classico: a sostenerlo, garantendogli un sempre rinnovato interesse, non è la trama che vi si dipana, tutto sommato non particolarmente adrenalinica, ma la grande idea che c'è alla base. In pratica, Sheckley immagina che "attorno all'anno Duemila" uno scienziato, von Ledder fornisca le prove scientifiche della sopravvivenza dell'anima, in altre parole della Vita oltre la Morte. La faccenda smette di essere oggetto di credenze e diventa realtà oggettiva. Un Aldilà però unico, uguale per tutti, non tripartito in Inferno, Purgatorio e Paradiso. Solo che non destinato a tutti: una persona su un milione sopravvive al proprio decesso, gli altri svaniscono nel nulla: dipende dalla particolare conformazione della psiche. Tuttavia, tecniche molto costose possono consentire di modificare questa conformazione e far sì che, chi vi si sottopone, possa divenire immortale, al meno dal punto di vista spirituale. Ciò significa che, pagando, un ricco può guadagnarsi l'accesso nell'Aldilà (un povero ci va solo se è naturalmente predestinato). Dunque, nel futuro del 2110, esistono Società quotate in borsa che organizzano l'accesso all'Oltretomba, facendone commercio. Non solo. Dato che l'anima sopravvive, la si può trapiantare in un corpo nuovo alla morte di quello vecchio, ed ecco crearsi un florido mercato di corpi, sia legale (la persona che lo cede, in cambio della propria immortalità oltretombale e di un sostanzioso aiuto alla propria famiglia, lo fa volontariamente) sia illegale (le persone vengono rapite e derubate del corpo). Ci sono anche nuove malattie come lo "zombismo" (l'anima sopravvive in un corpo che si decompone) e nuove droghe, come il trapianto parziale nella mente altrui per sperimentate sensazioni provate in un corpo diverso, che può essere fatto godere o soffrire senza che sia il nostro. Thomas Blaine, uomo del 1958, si trova incredibilmente proiettato nel futuro, in un corpo nuovo, subito dopo essere morto in un incidente stradale, grazie a una nuova tecnica di "viaggio nel tempo" che consente il prelievo delle anime dal passato, e scopre la nuova, incredibile situazione del 2110, ricostruendo anche il complotto che lo ha portato fin lì, lo stesso che ha organizzato l'incidente che gli è costato la vita.

sabato 20 aprile 2019

ELEVATION



Stephen King
ELEVATION
Sperling & Kupfer
2019, cartonato
200 pagine, 15.90 euro

Al Re si perdona tutto, anche la melassa. "Elevation" è un romanzo insolito, nell'ambito della produzione kinghiana, sia per la brevità (quella di un "racconto lungo", a confronto con i suoi altri titoli), sia per la mancanza di veri brividi, sia per la non facile comprensione di come le due trame parallele riescano a giustificarsi a vicenda. Alla fine mi pare di capire che si tratta di un apologo. Di una "novella edificante". In ogni caso, il Re è sempre il Re e una volta letto il primo capitolo è impossibile non voler proseguire: si resta subito invischiati nel racconto. Racconto che poi è (e lo si capisce fin dalla dedica) un adattamento del classico di Richard Matheson "Tre millimetri al giorno" (già ricordato anche da "L'occhio del male", firmato da King con lo pseudonimo di Richard Bachman). Scott Carey, infatti, ogni giorno perde peso senza che le dimensioni del suo corpo o il suo aspetto esteriore mutino in proporzione (il protagonista del romanzo di Matheson, che ha lo stesso nome, rimpicciolisce progressivamente). Poiché il fenomeno sembra inarrestabile (né lui fa niente per arrestarlo, rifiutandosi di sottoporsi a esami medici che lo avrebbero trasformato in una cavia da laboratorio) pare inevitabile la fine, calcolabile in un certo numero di giorni. Tuttavia il suo umore resta sereno, accetta la sua sorte. E nel poco tempo che gli rimane si impegna perché nella sua piccola città, Caste Rock (località ricorrente nei romanzi di King), cadano i pregiudizi dei suoi concittadini verso una coppia di lesbiche che ha aperto un ristorante, evitato dai benpensanti. Il lettore chiaramente vuol sapere cosa accadrà quando Carey raggiungerà il peso zero, così come in "Tre millimetri al giorno" si aspetta il momento della dimensione zero. Però è ben raccontata anche la vicenda edificante riguardante le due donne (decisamente ben caratterizzate, anche nelle asprezze) e il loro locale. Come si incastrano le due trame? Secondo me c'è una morale da trarne: la morte è inevitabile ed è questione di giorni (quanti che siano); va attesa serenamente cercando di uscire di scena nel migliore dei modi e impegnandosi per migliorare il mondo che si dovrà abbandonare. Se è melassa, e un po' lo è, ripeto: al Re la si perdona.

venerdì 12 aprile 2019

IL CATALOGO DEI LIBRI NAUFRAGATI



Edward Wilson-Lee
IL CATALOGO DEI LIBRI NAUFRAGATI
Bollati Boringhieri
2019, cartonato
350 pagine, 30 euro


Un libro meraviglioso. Meraviglioso per tutti, credo, ma assolutamente fantastico per chi i libri li ama, li colleziona, li custodisce, se ne circonda. A una prima occhiata, magari distratta, si può pensare che si tratti di una biografia: quella di Fernando Colombo, secondo figlio (illegittimo) di Cristoforo, il navigatore. Se il padre, a cui si deve la scoperta dell'America, è unanimemente riconosciuto come figura storica degna di ogni studio, si potrebbe dubitare che ci siano sufficienti motivi per dedicare una qualche attenzione anche al suo secondogenito. Invece, Fernando Colombo di rivela un personaggio straordinario (molto di più del fratello Diego, il primo figlio di Cristoforo). La prima parte del libro è avvincente come un romanzo d'avventura: si racconta dei primi viaggi di Colombo padre verso il Nuovo Mondo, poi si giunge al quarto, quello in cui Cristoforo portò con sé anche il giovanissimo Fernando, e che fu caratterizzato da ogni genere di traversie, le cui cronache potrebbero sembrare tratte da un romanzo di Salgari. Fernando acquisì però, a fianco del padre competenze marinaresche, cartografiche e da astronomo. Cristoforo, a cui il figlio fu sempre devoto, da quanto ci dice Edward Wilson-Lee risulta tuttavia un personaggio venato di follia, visionario, in preda a vaneggiamenti mistici. Dopo la morte del padre, ai figli Diego e Fernando vennero dati incarichi e rendite (non facili da riscuotere e sempre a rischio). In ogni caso i due fratelli, fin da piccoli, avevano bazzicato la Corte reale prima e Imperiale. Gran parte delle entrate di Fernando finirono ben presto per venire dedicate all'acquisto di libri, di cui il giovane Colombo divenne non solo un collezionista, ma un un cultore. Erano gli anni (la prima metà del Cinquecento) in cui cominciava a prendere campo la stampa tipografica: Fernando ne capì la portata rivoluzionaria e raccolse soprattutto libri stampati, addirittura comprendendo nelle sue raccolte gli opuscoli più miseri e popolari. I viaggi al seguito di Carlo V e i soggiorni per vari motivi in tutte le principali città d'Europa (a partire da una permanenza a Roma durata alcuni anni), gli permisero di acquistare migliaia e migliaia di volumi, fino a fargli mettere insieme la più grande biblioteca privata del mondo. Nacque l'esigenza di catalogare tutti quei libri, troppi perché a memoria se ne potesse rintracciare uno, se richiesto: Fernando stilò elenchi e riassunti, guide per parole chiave, codici mnemonici in grado di contraddistinguere ogni volume e renderlo disponibile per le ricerche. Concetti modernissimi che all'epoca furono sperimentati proprio da Colombo per la prima volta. Seguendo Fernando nella sua ricerca della "biblioteca universale", Wilson-Lee ci dipinge anche uno straordinario affresco della realtà storica dell'epoca, delle nuove idee che circolavano, dell'impatto delle scoperte geografiche sulla società europea. Quando morì, Fernando lasciò una biblioteca di oltre ventimila volumi. Oggi ne rimangono solo quattromila. Gli altri si sono dispersi in altre biblioteche o sono andati perduti.

martedì 2 aprile 2019

MAIGRET A NEW YORK



Georges Simenon
MAIGRET A NEW YORK
Adelphi
2000, brossura
170 pagine, 10 euro


Georges Simenon scrisse “Maigret a New York” nel 1947, proprio durante un lungo soggiorno, durato alcuni anni, in cui si era trasferito in America. Lo stesso periodo in cui conobbe la sua seconda moglie, Denyse Ouimet: i due furono protagonisti di una intensa storia d’amore da cui nacque anche il romanzo (senza Maigret) “Tre camere a Manhattan”. Si tratta del ventisettesimo giallo dedicato al commissario parigino (sui settantacinque di cui consta la sua saga). Qui Maigret, però, è immaginato ormai in pensione da un anno e ritiratosi a vivere in campagna lungo la Loira. Nonostante il pensionamento, il commissario si lascia convincere dal giovane Jean Maura a seguirlo a New York per risolvere un caso al di fuori dalle normali indagini di polizia. Il giovane, che vive in Francia, è infatti figlio di un ricco magnate naturalizzato americano, John Maura, detto Little John, immigrato Oltreoceano dalla Francia e riuscito a far fortuna grazie all’industria del juke-box: Jean crede che suo padre sia in pericolo, minacciato da qualcuno o da qualcosa, come traspare dalle lettere che gli scrive, pur senza che in queste si faccia mai cenno a quale realmente il problema. Così Maigret si imbarca con Jean sul piroscafo, salvo perdere le tracce del giovane al suo arrivo a New York. John Maura, dal canto suo, cerca di liberarsi del poliziotto parigino a cui ritiene di non aver nulla da dire. Naturalmente il commissario inizia a indagare per proprio conto, anche grazie a un suo vecchio amico dell’FBI, l’ispettore Michael O’Brien e un bizzarro detective privato ex-clown dalla sbronza triste, Dexter. Maigret si convince che quanto sta accadendo abbia a che fare con fatti accaduti trent’anni prima, all’epoca dell’arrivo di Little John in America in coppia con un amico, Joseph Daumal. I due, prima di intraprendere strade diverse, avevano lavorato come musicisti in uno spettacolo ambulante di varietà, portato in giro per gli States da una compagnia itinerante, e si erano innamorati entrambi della stessa donna, Jesse, la cui sorte è avvolta nel mistero. Un vecchio immigrato di origine italiana, che aveva conosciuto Jesse e i due francesi, viene ucciso prima che Maigret possa interrogarlo. Ma il commissario parigino non demorde e giunge a scoprire la verità. Oltre a essere godibile per l’avvincente intreccio giallo, il romanzo si fa apprezzare per la descrizione della società americana vista con gli occhi di un francese. Una curiosità: Maigret va al cinema a vedere un film con Stanlio e Ollio, e ride fino alle lacrime.