martedì 29 dicembre 2020

FURORE!

 

 
E' uscito, in libreria e in fumetteria, il quarto volume della serie "Zagor: le origini", che ripropone in versione cartonata e in grande formato gli albi di una miniserie da edicola, in sei episodi, uscita nel corso del 2019 per festeggiare i cinquanta anni di "Zagor racconta..." e fortunatamente coronata da un grande successo. Il titolo è : "Furore!", i testi sono miei (anche quelli degli articoli dell'apparato critico a corredo), i disegni di Valerio Piccioni (matite) e Maurizio Di Vincenzo (chine). La copertina è di Michele Rubini. I colori sono di Josie De Rosa, supervisionati da Emiliano Mammucari. Si tratta di un episodio molto importante, addirittura basilare per l'intera saga zagoriana, in quanto si racconta dello scontro finale fra Patrick Wilding (questo il vero nome dello Spirito con la Scure) e Salomon Kinsky, il fanatico predicatore responsabile della morte dei genitori del nostro eroe. Scontro finale foriero di tragiche conseguenze, perché, come sanno tutti i lettori di "Zagor racconta...", la vendetta non giunge a portare nessun sollievo nel cuore del protaginista che, anzi, vede svanire il ritratto idealizzato del padre e perde anche, fondamentalmente per propria colpa,  il suo maestro di vita. Dopo cinquant'anni, tutto ciò non è una rivelazione, ma se non avete letto "Le origini" attenzione, da qui in avanti, allo SPOILER.

Zagor: le Origini” è una “riscrittura” postmoderna delle vicende della saga dello Spirito con la Scure che hanno portato un ragazzo di nome Patrick Wilding a vestire i panni di una sorta di giustiziere e divenire una leggenda vivente nella selvaggia foresta di Darkwood. Usando l’ aggettivo “postmoderno” voglio definire un’operazione tesa a rendere più attuale la narrazione, “riusando” il passato in funzione del presente. Alcune operazioni del genere, applicate ai miti del cinema o della letteratura, hanno portato a restituire ai contemporanei versioni aggiornate e più “credibili” dei vampiri, tanto per fare un esempio (citerei i romanzi di Anne Rice e la serie a fumetti “Dampyr”). Come potrebbero essere andati, i fatti narrati in “Zagor Racconta...”, se si fossero svolti realmente? O, ancora meglio (perché non ci importa poi tanto di essere realistici fino all’iperrealismo), se quella storia fosse stata scritta oggi?
 
Il drammatico finale di “Furore!”, è sostanzialmente rispettoso di quanto Guido Nolitta e Gallieno Ferri ci avevano narrato, nel 1969, riguardo alla morte di “Wandering” Fitzy e alla successiva disperazione di Pat Wilding. Tuttavia, possiamo prendere le ultime due pagine come esempio paradigmatico dello spirito con cui ci siamo mossi. Una delle domande che sorge spontanea in chi legga “Zagor Racconta…” riguarda la sepoltura di Fitzy. Possibile che Patrick ne abbia lasciato il corpo nella capanna di Salomon Kinsky, accanto alle spoglie quest’ultimo? Nel romanzo “Zagor”, di Davide Morosinotto (Sergio Bonelli Editore, 2018), con protagonista un Patrick adolescente, si dice che il giovane incendia la costruzione prima di allontanarsi nella foresta, per cremare i due cadaveri in un unico rogo.  Nolitta e Ferri, però, questa scena non l’hanno mai mostrata. In ogni caso, non è più logico pensare che Pat abbia voluto seppellire il suo papà adottivo, in modo di avere almeno una tomba su cui piangere? Dunque il futuro Spirito con la Scure avrà portato via il corpo di Nathaniel, prima di allontanarsi dal villaggio in fiamme. Se un rogo della capanna c’è stato, avrà riguardato il solo Kinsky. Perché dunque, in “Zagor Racconta…”, non si vede la sepoltura del trapper poeta e vagabondo? Come abbiamo già spiegato, nella storia del 1969 è l’eroe di Darkwood in persona a narrare a Cico la sua versione dei fatti. Versione che, inevitabilmente, avrà tralasciato un gran numero di particolari: a volte per brevità e per arrivare subito al punto, a volte per non riaprire dolorose ferite. 
 
Nel corso del 2021 usciranno i restanti due volumi della miniserie, chiudendo il ciclo - almeno quello che porta alla nascita dello Spirito con la Scure. Ci sarebbero da raccontare tutte le avventure che vanno tra l'apparizione del Re di Darkwood al raduno dei capitribù e il primo incontro con Cico. Chissà che prima o poi non arriveremo anche a quello.


ANDY CAPP: HIC HIC HURRAH!

 
 


 
 
Reg Smythe
ANDY CAPP: HIC HIC HURRAH!
Mondadori
brossurato, 1978
120 pagine, 1500 lire


Non ho mai sopportato veder chiamare Andy Capp come Carlo, e Flo come Alice (succedeva su "La Settimana Enigmistica"). Che senso ha, dato che il nome del personaggio di Reg Smith (1917-1998) è un perfetto gioco di parole (ricorda il termine "handicap") che, al massimo, potrebbe essere tradotto come Umbe Di Mento? Ma italianizzare il nome del character ha poco senso, visto che si tratta di un cockney come pochi altri mai. Vero è che gli sfaccendati da bar sono una specie difesa in tutti i Paesi dove ci sono i bar, e cioè in quelli civilizzati. Ed è per questo che è stato pubblicato in oltre cinquanta nazioni, dando vita a trasposizioni televisive e teatrali. Nella città natale del suo autore, Hartlepool, gli è stata persino eretta una statua (ad Andy, non a Reg Smythe). Nata nel 1957 come composta da vignette in un solo riquadro, la serie si è poi evoluta in strisce (solitamente di quattro quadri), che mettono in scena la sit com domestica della coppia composta da Florence, moglie in eterna lotta con i vizi del marito, ma di lui, alla fine, follemente innamorata (quanto lui di lei, nonostante le scappatelle), e lui, appunto, Andy, eterno disoccupato che vive senza patemi d'animo sulle spalle della consorte. Perennemente in ozio, perennemente in movimento oscillatorio fra la casa e il pub, convinto che le uniche cose che importino siano i suoi piccioni e la sua squadra del cuore, Andy Capp rappresenta sì una satira di un menage matrimoniale e di un certo tipo di società (che non esiste più, dato che il pub e gli hobby sono stati sostituiti dai social, dai videogiochi e delle pay TV), ma anche un inno alla filosofia di vita del non-affanno che tutti invidiamo al più disimpegnato e menefreghista dei personaggi a fumetti.

sabato 26 dicembre 2020

L'OZIO E' IL PADRE DI TOMMY WACK

 

 
 
Hugh Morren
L'OZIO E' IL PADRE DI TOMMY WACK
Editoriale Corno
cartonato, 1973
130 pagine, 3900 lire

A Luciano Secchi, alias Max Bunker, le strisce di Tommy Wack, dell'inglese Hugh Morren (1921-1995) piacevano così tanto che volle usarne il nome per una rivista di strip dell'Editoriale Corno, "Tommy" (1968-1969), appunto, nove numeri in tutto. L'esperimento non andò bene, ma le vignette di Morren continuarono a uscire in Italia su "Eureka" e su "Eureka Pocket", oltre a venire raccolte nei volumi cartonati della collana "Comics Cartoons", sotto la direzione dello stesso Secchi (autore peraltro della prefazione di questo "L'ozio è il padre di Tommy Wack"). In Gran Bretagna la strip venne pubblicata a partire dal 1968, fino alla morte dell'autore, prima sul Daily Express e poi su The Sun. La leggenda vuole che Hugh Morren abbia realmente lavorato in una grande fabbrica inglese (lui nato a Norwich e poi trasferitosi a Manchester), e che da questa esperienza nascano le gag della serie. Serie che è ambientata in una azienda al pari di quelle di Bristow o di Dilbert, ma che è molto più ilare, giuliva, spensierata. Si direbbe farsi gioco non solo dei datori di lavori, ma anche degli operai, dei sindacalisti, dell'impegno sociale, della retorica sull'alienazione alla catena di montaggio. Tommy Wack è un giocherellone a cui non importa niente, e ci piace così. Scapolo impenitente, mammone che non cerca indipendenza domestica, lavativo, coltiva i suoi hobby (party, scommesse, belle ragazze, gioco delle carte) cercando di lavorare il meno possibile. Fa in fabbrica quello che, di sicuro, avrà fatto in classe ai tempi della scuola: dorme, se ne frega. Se qualcun vuol vederci della satira sociale sullo sfruttamento delle classi lavoratrici, faccia pure: Tommy Wack sciopera per non andare a lavorare, come gli studenti che andavano ai cortei lo facevano (nella maggior parte dei casi) per non andare a scuola. Vittime degli sberleffi di Morren non sono i padroni, ma i caporeparto (come Squashy) ligi agli obblighi. Le battute sono tutte divertenti, le situazioni ricorrenti creano esilaranti tormentoni. Si rimpiange il periodo in cui c'erano strisce così.

venerdì 25 dicembre 2020

LA VITA DURA DEL DOLCE FAR WEST

 
 
 

 
Tom K. Ryan
LA VITA DURA DEL DOLCE FAR WEST
Mondadori
brossurato, 1971
220 pagine, 600 lire

Per farsi un'idea dell'esilarante microcosmo di Tumbleweeds, questo Oscar Mondadori è decisamente ciò che ci vuole. Dopodiché, si passa alle pagine di "Eureka", rivista su cui le strisce di di Tom K. Ryan (1926-2019) sono state pubblicate per un bel po' di tempo (ci sono anche un paio di "Eureka Pocket" che vale la pena di recuperare). Le strip di Tumbleweeds (che a rigor di termine sono i cespugli secchi fatti rotolare dal vento negli scenari western) sono state realizzate da Ryan per quarantadue anni di fila, dal 1965 al 2007. La grafica è originale, l'umorismo sofisticato ma micidiale: non si tratta un prodotto di impatto immediato (come altri di più facile fruizione, tipo il "Catfish" di Roger Bollen e Gary Peterman, striscia comica sul western durata sulla scena dal 1973 al 1986). Però, appena ci si fa la bocca, mamma mia che divertimento! Lo scopo di Ryan è smitizzare il Far West togliendo tutta l'aura epica, in favore di una ricostruzione grottesca basata su un teatrino di personaggi davvero ben caratterizzati. Non c'è un vero e proprio protagonista, anche se potremmo identificarlo nelll'indolente cowboy Colt. Però attorno a lui ruota la zitella (secondo me, adorabile) che gli dà la caccia, Hildegard Hamhocker, il becchino Claude Clay, lo scavafosse Wart Wimble,lo scalcagnato cavallo Epic,  il giudice, lo sceriffo, il vicesceriffo tonto, il bandito Occhio di Serpente, lo scout, i soldati di Fort Ridicolous, i pellerossa dei dintorni (con la loro cerimonia con cui eleggono "l'indiano del mese").

domenica 20 dicembre 2020

VOI LI IMPIOMBATE IO LI SOTTERRO

 

 
 
Tom K. Ryan
VOI LI IMPIOMBATE IO LI SOTTERRO
Editoriale Corno
cartonato - 1974
130 pagine - 3900 lire


Questo volume raccoglie strip e sunday page selezionate dalla serie Tumbleweeds, di Tom K. Ryan, pubblicata per quarantadue anni di fila, dal 1965 al 2007, pubblicate in Italia sulla rivista "Eureka" con il non troppo felice nome di "Colt". Qualche tempo prima di "Voi li impiombate, io li sotterro", l'Editoriale Corno aveva raggruppato in un libro simile le strisce di Tumbleweeds con protagonista non già l'indolente cowboy Colt (appunto) ma la zitellona che gli dà la caccia, Hildegard Hamhocker (e il libro si intitolava "Manuale per accalappiare un marito"). Allo stesso modo, qui sono raggruppate quasi esclusivamente le strisce riguardanti un altro caratterista del paesino del West chiamato Grimy Gulch, vale a dire il becchino Claude Clay. Accanto a lui, l'immancabile scavafosse Wart Wimble. E' un peccato che non esista un altro volume dedicato all'indianino muto, che è il personaggio pió divertente della striscia di Ryan, ma in fondo ci si puï accontentare. Tom K. Ryan, l'autore di Tumbleweeds (1926-2019) era nato nell'Indiana e dunque non poteva che occuparsi di indiani, cowboy e farwest. La striscia non è caratterizzata da un humor facile e immediato, sia per quanto riguarda il disegno che per quanto riguarda i testi. Diciamo che bisogna farci la bocca, essendo tutto fuorché banale. Però, se si fa un piccolo sforzo per addentrarsi nel mondo grottesco creato dalla matita del cartoonist, la soddisfazione è assicurata. Tumbleweeds non delude mai, diverte sempre. Tuttavia, molto del gusto deriva dall'alternanza dei caratteristi nel teatrino di personaggi: perciò, selezionare le strisce con un solo protagonista, come appunto il becchino Claude Clay, rischia di essere una operazione un tantino indigeste. Ma ne vale sicuramente la pena quando fra le tante strip si scovano alcune perle di straordinario umorismo, come l'apprendere che il fratello di Clay èla pecora nera di una intera famiglia di becchini perché ha studiato medicina. "Voi li impiombate, io li sotterro" è lo slogan dell'impresario di pompe funebri, che cerca di vendere casse di morto con innovative tecniche di merchandising ed espone cartelli che esortano: "Fatevi imbalsamare!". Divertenti le schermaglie fra Clay e Wimble sulla paga, che sembrano dividere i due personaggi ma in realtà li accomunano perché sono entrambi votati al loro mestiere e nessuno dei due vorrebbe farne un altro. Forse, becchini di nasce, nonostante tutto.

sabato 19 dicembre 2020

IL DILUVIO PROSSIMO VENTURO

 


 

Addidson
IL DILUVIO PROSSIMO VENTURO
Mondadori
brossurato, 1972
210 pagine, 600 lire


Gli animali sono sicuramente più interessanti degli uomini, se è vero che il Creatore, qualche milione d’anni fa, si premunì di metterne in salvo un intero bastimento, su cui era ospitata soltanto una misera famigliola umana. Un ragionamento, questo, che deve aver tenuto presente il cartoonist Mort Walker che con lo pseudonimo di Addison ha disegnato, dal 1968 al 2000, una serie di strisce umoristiche intitolata “Boner’s Ark” con protagonisti gli animali di una sorta di Arca di Noè. Il motivo per cui il nome del capitano Boner sia stato tradotto in Italia con Giocondo è secondo solo al mistero per cui l'autore non abbia voluto chiamarlo Noè, mentre è abbastanza chiaro perché Walker abbia voluto firmarsi Addison: per non farsi concorrenza da solo, inflazionando il proprio nome, già noto per Beetley Bailey. Del resto, Walker era a capo di uno staff che produceva altri prodotti come Hi & Lois, Sam's Strip e Hagar The Horrible (c'era di mezzo anche il grand Dick Browne, naturalmente). Comunque sia, "Boner's Ark" è una delizia: nel microcosmo della nave alla deriva sul mare sconfinato (naturalmente non si parla mai di una punizione divina) il povero capitano deve barcamenarsi come può per turare le falle, sedare gli ammutinati, distribuire gli incarichi, tenere a bada gli eterni scontenti. E ogni animale ha un carattere diverso, oltre che diverse caratteristiche. Si ride, si sorride, si gongola. Viva le strisce così!

venerdì 18 dicembre 2020

IL LETALE OSPEDALE DEL DR.SMOCK

 

 
George Lemont
IL LETALE OSPEDALE DEL DR.SMOCK
Mondadori
brossurato, 1976
160 pagine, 1000 lire


Prima del dottor House, ci fu il dottor Kildare, protagonista di una serie televisiva statunitense realizzata dal 1961 al 1966, interpretato da Richard Chamberlain. A loro volta, i telefilm erano derivati dai romanzi e dai racconti di Max Brand (pseudonimo di Frederick Schiller Faust), pubblicati a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, ispirati a un medico realmente vissuto, il dottor George Winthrop "Dixie" Fish , un chirurgo di New York (ne vennero ricavati anche una decina di film nello stesso periodo). Romanzi, film e telefilm ispirarono anche albi a fumetti e una striscia sindacata (drammatica), illustrata da Ken Bald per ventidue anni, fino al 1984 (Ken Bald ha il record del fumettista ad aver disegnato regolarmente fino alla più tarda età: 96 anni). Tutto ciò non c'entra nulla con la striscia sindacare (umoristica) del cartonista statunitense George Lemont (1927-1985), intitolata "Dr. Smock", pubblicata su centinaia dii testate per dieci anni a partire dal 1975, e interrottasi per la morte dell'autore. Nulla, tranne appunto il rimando tutto un mondo (precedente e successivo) di serie televisive, letterarie e fumettistiche incentrate sui medici in prima linea, o anche nelle retrovie, dei grandi ospedali. In Italia le strisce del Dottor Smock apparvero sul mensile "Il mago" e in questo Oscar Mondadori curato da Fruttero & Lucentini. La filosofia di Smock (il cui nome non certo per caso rimanda al dottor Spock di tutt'altro universo narrativo) si può riassumere in questa battuta: "Ehi, Smock, perché hai studiato da dottore? Sognavi di aiutare l'umanità, soccorrere il tuo prossimo, guarire i bambini, far tornare il sorriso tra i malati e i sofferenti?", chiede una ingenua bambina. E Smock: "Non esageriamo! Sognavo semplicemente il contrassegno che autorizza i medici a parcheggiare dove gli pare, senza beccarsi la contravvenzione." In realtà lui sogna anche, grazie alle parcelle, qualche crociera ai Caraibi, a dire il vero: guarda le lastre dei pazienti e visualizza ciò che potrà permettersi a intervento effettuato. Cinico, svagato, ilare, opportunista, Spock è tutto il contrario dell'altruista ed empatico Kidare. La clinica dove opera si chiama Decessus, e attorno a lui si muove tutto un teatrino di altri personaggi: un primario, colleghi, infermieri, pazienti, malati immaginari. Divertente in modo particolare lo psichiatra Dottor Freid. Una sit-com ospedaliera in piena regola, ma a fumetti.

RAPA & NUI L'INTEGRALE

 

 
 
Augusto Rasori
Giorgio Sommacal
Lara Stroppi
RAPA & NUI L'INTEGRALE
Sbam!Libri
2019, brossurato
130 pagine, 14.90 euro


La serie delle strip di Rapa & Nui venne pubblicata su "Skorpio" fra il 2012 e il 2018. Nel 2017, "Sbam!" pubblicò in volume una raccolta delle strisce, ma parziale, con materiale selezionato. Questo volume, invece, uscito dopo la conclusione della serie, le propone tutte (488 per la precisione), con l'aggiunta di un finale inedito realizzato proprio per l'occasione. La prima silloge aveva una mia prefazione (questa edizione integrale ne ha invece una, puntualissima, di Antonio Marangi (l'editore). Inizialmente i due testoni dell'Isola di Pasqua (quello sono) sono immobili osservatori dell'orizzonte, poi (ovviamente) evolvono fino ad avere le braccia e a riuscire a muoversi (e addirittura a viaggiare). Riporto qui di seguito quanto avevo scritto a suo tempo, per la prima raccolta.

TESTE DI RAPA (E DI NUI)
di Moreno Burattini

Provateci voi, a inventare qualche centinaio di gags avendo due sassi come personaggi di una vostra striscia. O meglio, due pietre scolpite. Per la precisione, due Moai: ovvero quei testoni che, per qualche motivo misterioso, guardano il mare davanti all’Isola di Pasqua. Isola la cui scoperta fu una vera sorpresa. C’è poi un isolotto più piccolo, scoperto il giorno dopo: l’Isola di Pasquetta. Ma non divaghiamo. Il celebre scoglio al largo (molto al largo) dalla costa del Cile venne definito da James Cook uno dei luoghi più inospitali del Pacifico, e tuttavia ospitò una antica popolazione di polinesiani, i quali chiamarono quella terra Rapa Nui e, forse perché non aveva niente di meglio da fare, scolpirono migliaia di giganteschi pietroni a forma di teste umane. Almeno, le teste sono quel che si vede fuori dal terreno da cui emergono, poi sotto chissà che c’è. Vista la bruttura delle facce, non si è ritenuto di dover portare alla luce anche il resto. Comunque sia, questi testoni guardano il mare da almeno un millennio (e c’è chi dice di più). Logico pensare che, per ingannare il tempo, parlino tra loro in una lingua che noi non comprendiamo, e infatti si dice che le parole sono pietre (e sull’argomento Carlo Levi ha scritto persino un libro). Ma, per tornare al punto di partenza, prendete due Moai, chiamateli Rapa e Nui (perché Isoladi e Pasqua suona male) e fateci, se vi riesce, un fumetto. Non potrà essere un fumetto d’azione, beninteso. Diciamo che Rapa e Nui possono fare le facce buffe, e non restare impassibili come la maschera di Buster Keaton (che propongo comunque come Patrimonio dell’Umanità). Per aiutarvi, facciamo anche che i testoni possono avere due braccine e saltellare. Però in linea di massima guardano il mare e commentano l’orizzonte. Probabilmente vi arrendereste dopo dieci vignette. Invece, c’è chi è andato avanti. Lo spunto è più interessante di quel che può sembrare. Ci sono vecchietti che passano l’età della pensione seduti su una panchina a commentare quel vedono sulla piazza o ciò che sentono dire da quelli che passano. Il mondo dei social è popolato da gente stravaccata sul letto che, con un telefonino in mano, scrive peste e corna o mette faccine o elargisce like sotto le foto degli altri pubblicate su Facebook o Instagram. Nessuna meraviglia, dunque, che un tale Auguro Rasori, autore del gruppo di Lercio (un sito di notizie false così assurde da sembrare vere) abbia pensato di trasformare in fumetto il suo sguardo sul mondo. Così come le faccine di Internet esprimono giudizi sul mondo, così i faccioni dell’Isola di Pasqua scrutano l’orizzonte degli eventi (che è anche il nome del bordo estremo di un buco nero, perfetta metafora della realtà che collassa su se stessa e ci rinchiude in una gabbia, la Rete, da cui non si può più uscire). Giorgio Sommacal e Laura Stroppi (matite il primo, chine la seconda, ma a volte lui da solo a volte lei da sola – e non si nota la differenza), dal canto loro ci mettono tutta l’espressività fumettistica e fumetto da di cui sono capaci, e sono capaci parecchio. Riescono a far sorridere anche i sassi, insomma: non a caso lui viene da Cattivik e lei da Lupo Alberto (oltre ai tanti altri loro avori). Nasce così una striscia, Rapa & Nui, appunto, pubblicata ininterrottamente su “Skorpio” dal 2012. Una rivista su carta: evviva, ne esistono ancora (del resto sono archeologia anche le sculture in pietra). Rapa è viscerale e lunatico, grande amante della birra, mentre Nui è più pacato e riservato: su Internet si esporrebbe di meno. Certo, anche la vita dei commentatori da panchina o da divano qualche volta si movimenta: arriva un DM su Twitter o un messaggio privato su Facebook, un bel flame su Facebook piuttosto che un tête-à-tête fra followers: così nella striscia dei tre fanno capolino altri personaggi: la patella Gladys perdutamente invaghita di Rapa, il gabbiamo giramondo Jonathan (il cui cognome non è noto, ma sarà inevitabilmente Swift), i sassi Mike e Bill, il pinguino ipocondriaco Felix. E c’è anche un anonimo e irriducibile detrattore epistolare, dato che nella vita i detrattori non mancano (e non muoiono) mai. Sono loro i veri monoliti che passano la vita giudicando tutto ciò che si muove nel raggio del visibile e non di rado dell’invisibile. Altro che Moai.

mercoledì 16 dicembre 2020

CROCK IL LEGIONARIO

 
 

 
 
 
 
Brant Parker
Bill Rechin
Don Wilder
CROCK IL LEGIONARIO
Mondadori
brossurato, 1980
130 pagine, 2500 lire


Chi conosca, grazie a Wizard Of Id, lo stile grafico di quel genio che fu Brant Parker (1920–2007) a prima vista gli verrebbe voglia di dire che sia sempre lui a occuparsi dei disegni di "Crock il Legionario", una striscia rimasta sulla scena dal 1975 al 2012,  pubblicata su 200 testate in 19 paesi del mondo.  Bill Rechin, il coautore, di conseguenza, dovrebbe del testo. Invece, un'occhiata più attenta alla firma delle strisce mette in evidenza la il nome di Rechin in calce ad ognuna. Rechin ha assorbito a perfezione il tratto di Parker, al punto è difficile distinguerlo dal maestro: essenziale (bastano pochi tratti per delineare uno scenario e i personaggi) ma straordinariamente efficace. Brant Parker, che era già stato mentore di Johnny Hart,  in realtà partecipò  solo qualche tempo allo sviluppo della serie, per poi a dedicarsi a tempo pieno proprio al mago Wiz. Il  il suo posto venne preso da Don Wilder già nel 1976. Per quanto non manchino punti di contatto fra le Legione Straniera di Crock e il Reame di Id, nella caratterizzazione di certi personaggi (i prigionieri, lo scavatore, le truppe, i predoni) e, soprattutto, nell'humour nero che li accomuna, rispetto a "Wizard of Id", Crock è una strip più cinica, più cattiva, dura, meno immediata. Ma ugualmente esilarante. Non si può non ridere quando un legionario riesce a riportare al forte la pattuglia perduta nel deserto (un tormentone della serie), lo dice al comandante, e questi gli chiede: "Bene,e dove sono?". Il legionario si volta e la pattuglia è sparita: "Che strano... erano proprio qui". Si sono persi di nuovo!". Il titolo della serie lo si deve a  Vermin P. Crock è il comandante di un fortino nel deserto, irascibile e crudele, di bassa statura (come il Re di Id), cordialmente detestato da tutti i legionari che devono  sopportare le sue angherie.  Fuori dalle mura, ci sono in agguato predoni arabi che le studiano tutte le penetrare all'interno e saccheggiare il forte. Nel deserto si aggira poi una pattuglia perduta da anni. Nel cortile del forte c'è sempre un condannato a morte in attesa della fucilazione. Ci si affeziona facilmente. Che belli in tempi in cui c'erano strisce del genere. E si poteva anche ridere della guerra, degli arabi, dei colonialisti, dei nasoni, senza dover stare attenti a chi si potrebbe offendere o indignare.

lunedì 14 dicembre 2020

IL SADICO DEL VILLAGGIO

 

 
 
Marcello Marchesi
IL SADICO DEL VILLAGGIO
Rizzoli
cartonato, 1964
162 pagine, 1200 lire

Gli appassionati di fumetti saranno sempre grati a Marcello Marchesi (1912-1978) per aver tradotto da par suo i primi albi di Asterix, trovando quel geniale gioco di parole per cui SPQR significa "Sono pazzi questi romani". E tanto basterebbe. In realtà Marchesi è stato uno scrittore, sceneggiatore, regista, paroliere, cantante e attore, come tutti sanno, ma anche pubblicitario (ideatore di slogan di Carosello passati alla storia), autore televisivo, talent scout, raffinato umorista e, last but not least, poeta. "Il sadico del villaggio" è infatti (anche) una raccolta di versi, che fa il seguito a un'altra, brillante allo stesso modo, "Essere o benessere?", del 1962. Versi, beninteso, che gli assomigliano molto essendo ironici, disincantati, dissacranti, fulminanti, cinici e, in ultima analisi, sadici. Il "villaggio" di cui Marchesi si fa garbatamente beffe è lo stesso in cui egli stesso vive, e dunque quello dello spettacolo, del circolo degli intellettuali, degli arrivisti e degli arrivati, del circo della TV, della pubblicità. Con precisione chirurgica, l'umorista poeta fulmina tutti, a partire, ovviamente, da se stesso. Del resto, la raccolta di versi (ma anche di epigrammi, aforismi e facezie), si apre con queste parole: "Odio bonariamente tutti". Colpisce, leggendo l'autoanalisi che l'autore compie su stesso, la sua paura rassegnata di invecchiare mentre restano intatti "i cari istinti" (uno dei suoi geniali giochi di parole) che lo spingono a ritenere l'ombelico dell'adolescente Catherine Spaak in un film mille volte più importante dei dialoghi di Moravia della sceneggiatura. Così come colpiscono le bordate contro il consumismo (ma anche contro il comunismo), la pubblicità, la società dell'immagine, nonostante poi concluda "Che faccio? Niente. Sono uno che ci campa". Se la prende con i persuasori occulti (secondo una definizione di moda negli anni Sessanta) ma anche con i "persuasori incolti". Segnalo qualche frase folgorante. "Canuti nell'adempimento del proprio dovere". "Il mondo va a rotocalchi". "I teschi ridono sempre". "Legge trattati di chirurgia immaginando tutto senza anestesia". "Avanti, market!". "Invecchio alla inqualchemodo, maldestramente uomo". "Il Bel Paese dove il sì suona, fino a romperti l'anima". "L'adipe della carriera". "Ha fatto il passo più lungo della samba". "E' caduto per forza d'inezia". "Il critico nel libro ci fa un tassello, come ai cocomeri: se è rosso dice che è bello, senza assaggiarlo". "Chi troppo in alto sal, cade dall'Ente, precipitevolissimevolmente". "Ateo: uno che crede nell'al di qua". "E brindano tutti alla salute del vincitore, con un bicchierino di livore". "Il sacerdozio è il padre dei novizi". "Il super è superato". "I film sexy: tutte sesserie". "Chi muore giace e chi vive fa un telegramma". "La miglior vendetta è il pernacchio"

domenica 6 dicembre 2020

IL BORGHESE PELLEGRINO

 

 
 
Marco Malvaldi
IL BORGHESE PELLEGRINO
Sellerio
brossurato, 2020
290 pagine, 14 euro


Il brillante Marco Malvaldi, celebre per i delitti del Bar Lume, sembra aver trovato un altro filone per i suoi gialli di ambientazione toscana (lui è di Pisa, classe 1974). A dire il vero, protagonista ne è un forlivese (di Forlimpopoli), il celebre Pellegrino Artusi (sì, il gastronomo: 1820-1911), ma per ben due volte ci viene mostrato agire in scenari al di qua degli Appennini, dato che era divenuto fiorentino d'adozione. In "Odore di chiuso", romanzo del 2011, Malvaldi aveva portato l'Artusi in gita in Maremma, dove gli era capitato di contribuire a risolvere un caso di omicidio; adesso, con questo secondo giallo siamo in Val d'Orcia, in provincia di Siena. Anche qui viene commesso un delitto. Tuttavia non si deve credere che, come accade in certi polizieschi sui generis in cui il ruolo di poliziotto è affidato a un personaggio storico (Dante Alighieri indaga, Niccolò Machiavelli indaga), l'ottantenne Pellegrino Artusi si metta a fare il detective. Niente affatto: Malvaldi, per fortuna sua e nostra, se ne guarda bene. Un poliziotto che indaga c'è, ed è l'ispettore Artistico, già visto all'opera nel precedente romanzo. Artusi è semplicemente se stesso, tratteggiato in modo più che credibile, e se in qualche modo aiuta le indagini, è solo come consulente. Non è forzata neppure la sua presenza sul luogo dei due crimini, motivata in entrambi i casi dalla fama ricavata da Pellegrino grazie alla pubblicazione de "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene", e di cucina si parla spesso e volentieri con cognizione di causa. Anzi, è la cucina il movente e la soluzione del mistero. Malvaldi si diverte a costruire un teatrino di variegati personaggi, radunati dal padrone di casa, Secondo Gazzolo, in ragione di un accordo per la fornitura di carne in scatola agli Ottomano, un cui delegato viene inviato a contrattare l'affare. Come nei migliori romanzi di Agatha Christie, uno degli invitati della ristretta cerchia dei convenuti sotto lo stesso tetto viene trovato morto, soffocato, dentro una stanza chiusa dall'interno: il classico delitto della camera chiusa. La soluzione dell'enigma è convincente, ma ancora di più lo è la ricostruzione di un quadro d'epoca interessante e pieno di curiosità, come appunto i primi passi dell'industria conserviera, o le difficoltà dei Turchi nella gestione economica del loro impero. L'ispettore Artistico, senese, è acuto come solo un maledetto toscano può esserlo e conduce degli esilaranti interrogatori che sostengono il romanzo sul filo della farsa. Nonostante il morto ammazzato, il tono è leggero e molti passaggi sembrano sketch da commedia. Una appendice spiega cosa c'è di vero, e ce n'è tanto, fra i tanti aneddoti storici raccontati