venerdì 22 febbraio 2019
domenica 17 febbraio 2019
IL CINEMATOGRAFO
Emmanuel Toulet
IL CINEMATOGRAFO INVENZIONE DEL SECOLO
Universale Electa/Gallimard
1994 194 pagine
brossurato - lire 20000
Questo volume della mai abbastanza lodata collana Universale della Electa/Gallimard (una sorta di enciclopedia monografica composta da illustratissimi, agili ed esaurienti volumetti formato tascabile) racconta la nascita del cinema e i primi anni della sua storia. Dopo aver passato in rassegna le varie apparecchiature che già negli anni precedenti alla prima proiezione pubblica (il 28 dicembre 1895 a Parigi) avevano fatto da battipista, il saggio di Toulet racconta di come i fratelli Lumiere fossero arrivati a mettere a punto e a perfezionare la loro macchina e dell'impatto che essa ebbe sulla società dell'epoca. L'invenzione è attribuita a entrambi, mentre è certo che sia dovuta a una intuizione di Louis, mentre Auguste avrebbe collaborato solo nella fase di realizzazione pratica del primo apparecchio. Appare evidente come i fratelli Lumiere abbiano, alla fine, raggiunto per primi un risultato a cui in molti tendevano e verso il quale la tecnica aveva già fatto passi da gigante. Esisteva già la fotografia, esistevano già dispositivi in grado di proiettare immagini, esistevano già apparecchi che simulavano il movimento di immagini statiche: si trattava solo (se "solo" è l'avverbio adatto) di far aprire e chiudere un otturatore fotografico in modo da impressionare una pellicola con un certo numero di fotogrammi al secondo, e di far scorrere questa pellicola in modo coordinato dietro l'otturatore stesso. I Lumiere ci riuscirono per primi. Quindi, vengono prese in esame le innovazioni stilistiche dei primi registi, chiamati a risolvere per la prima volta i problemi di inquadratura, montaggio, di effetti speciali. In pochi anni furono codificate quasi tutte le convenzioni narrative che ancora oggi gli spettatori danno per scontate assistendo alla proiezione di un film. Il libro della Electa/Gallimard, stampato su carta lucida, è corredato da numerosissime fotografie d'epoca.
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venerdì 15 febbraio 2019
IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE
Peter Høeg
SENSO DI SMILLA PER LA NEVE
Mondadori
1995
cartonato, 450 pagine
Un trhiller davvero insolito, questo del danese Peter Høeg precursore del successo internazionale del giallo scandinavo, che si svolge in parte a Copenaghen, in parte a bordo di una nave diretta in Groenlandia. Fino a metà romanzo, il racconto di Høeg è un giallo magistrale. Da un certo punto in poi, come vedremo sembra di aver cambiato libro, di stare leggendo un'altra storia. La trama prende l'avvio dalla morte di un bambino, Esajas, figlio di una vedova mezza intontita dall'alcool. Il ragazzino è caduto dal tetto innevato del suo palazzo. Fra i primi soccorritori c'è Smilla, sua vicina di casa e molto legata ad Esajas: Smilla è di origine groenlandese (come il bambino e sua madre) e ha una innata sensibilità per leggere le tracce sulla neve. Si accorge subito che Esajas non è caduto perché si è sporto troppo mentre giocava (ammesso che si potesse giocare su un tetto innevato) ma perché fuggiva da qualcuno che voleva afferrarlo. La polizia si mostra intenzionata ad archiviare il caso come morte accidentale. Smilla invece si convince che si tratta di omicidio e comincia a indagare in proprio. La narrazione avviene in prima persona e al presente. La figura della protagonista non emerge subito, ma va delineandosi man mano che la lettura procede. Si tratta indubbiamente di un personaggio interessante: una donna non più giovanissima, solitaria e molto chiusa, figlia di una cacciatrice groenlandese e di un medico bianco divenuto chirurgo di fama internazionale. La madre è morta in un incidente di caccia, il padre vive nel jet set. Smilla ha studiato ed è una esperta dei problemi del ghiaccio nelle terre polari: non ha un lavoro fisso, vive con ciò che gli passa il padre e con occasionali lavori di consulenza, aggregandosi a spedizioni scientifiche. Il rapporto fra Smilla e il padre è conflittuale, ma non privo di rimorsi e voglia di superare le difficoltà, da entrambe le parti. Le nevrosi di Smilla e la durezza del suo carattere derivano in gran parte dal disadattamento dovuto allo spostamento forzato che le fu imposto quando era bambina dalla Groenlandia fino in Danimarca, dove i groenlandesi sono considerati come una specie di razza inferiore. Tutti questi elementi, uniti all'incalzare del giallo, rendendo il romanzo oltremodo avvincente e interessante fino a oltre metà, come dicevamo. Poi, a un certo punto, Smilla scopre che la morte di Esajas potrebbe essere collegata con una misteriosa spedizione presso il ghiacciaio groenlandese di Gela Alta a cui partecipò il padre del ragazzo, in seguito alla quale l'uomo morì. C'è qualcosa di importante nascosto fra i ghiacci, e un gruppo di persone, nascondendo le proprie attività dietro il paravento della Società per la Criolite (una azienda mineraria), da molti anni cerca di recuperarlo. Solo che gravi e misteriosi imprevisti mandano continuamente a monte le loro operazioni. Quando Smilla scopre che il gruppo sta di nuovo per partire per la Groenlandia, anche lei si imbarca sulla loro nave facendosi assumere come membro dell'equipaggio, decisa a scoprire di che cosa si tratti. Ecco: a questo punto il romanzo cambia faccia. Diventa avventura marinaresca, il trhiller si fa forse più serrato ma si svolge in alto mare, e quando la nave giunge al ghiacciaio di Gela Alta sembra (quasi) di leggere Clive Cusserl. Segue spoiler: attenzione. La nave deve recuperare un meteorite che irradia energia, attorno al quale si è sviluppata una colonia di microrganismi mortali per l'uomo. Chi si immerge nel ghiaccio fuso per cercare di imbracare il meteorite, muore: come il padre di Esajas. Il ragazzo era in possesso di un nastro registrato che documentava la faccenda e le responsabilità, e per questo è stato inseguito sul tetto da chi voleva recuperarlo. Avvincente.
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giovedì 14 febbraio 2019
PERCHE'?
Philippe Vandel
PERCHE'?
Longanesi
1995, 274 pagine
brossurato, 18.000 lire
Il francese Philippe Vandel è giornalista televisivo,
autore e conduttore di fortunate trasmissioni. Questo è il suo secondo libro,
grande successo in Francia (all'epoca della sua prima uscita) in Francia. Il volumetto, pubblicato da
Longanesi in piccolo formato, in effetti è gradevole. Rientra a tutti gli
effetti nel genere "trivia", cioè nel campo delle curiosità, delle
notizie singolari, del nozionismo non catalogabile nelle scienze ufficiali:
l'autore risponde a 120 domande apparentemente sciocche, alle quali esiste
tuttavia una risposta interassente da dare. L'idea non è nuova: sulla
"Settimana Enigmistica" appare da decenni una rubrica analoga in cui
i curatori spiegano i perché di questo o di quello. Ugualmente, su "Tutto
Martin Mystere", Alfredo Castelli (noto tuttologo e cultore di
"trivia") rispondeva "a tutto". E su riviste tipo
"Focus" vengono fornite risposte attendibili e chiare a quesiti di
ordine scientifico. Raccogliendo insieme queste risposte qualunque editore
potrebbe pubblicare un libro come questo della Longanesi. Però, a dire il vero,
Vandel ha selezionato 120 domande molto particolari: non ha cercato di
rispondere a domande "serie" come potrebbe essere quella sul perché
la luna mostra sempre la stessa faccia o sul come mai l'acqua del mare sia
salata e quella dei fiumi invece no. Sono state scelto 120 domande davvero curiose e singolari: "Perché di un marito tradito si dice che
ha le corna?"; "Perché i coltelli di lusso hanno la punta
rotonda?", "Perché l'ordine dei tasti della macchina da scrivere non è alfabetico?". Il merito dell'autore, che si sforza di fornire risposte attendibili ma ha il torto di volerle mettere troppo in burla, sta in proprio in questa scelta. Carino da avere, da rileggere, o da usare per sfoggiare una cultura enciclopedica. Ah, un'ultima cosa: dei
mariti traditi si dice che hanno le corna perché gli animali che le hanno
possono vedere quelle degli altri ma non le proprie.
domenica 10 febbraio 2019
ISOLE NELLA CORRENTE
Ernest Hemingway
ISOLE NELLA CORRENTE
Oscar Mondadori
Introduzione di Fernanda Pivano
2000, brossurato
530 pagine - lire 15.000
“Isole nella corrente” è l’ultimo romanzo di Hemingway, uscito postumo dopo la sua morte, avvenuta nel 1961. Mary Hemingway, la figlia, si è occupata di curarne l’edizione raccogliendo i testi lasciati incompiuti dal padre. “Charles Scribner Jr. e io abbiamo preparato insieme per la pubblicazione il manoscritto di Ernest – scrive Mary Hemingway- A parte le normali correzioni nella grafia e nella punteggiatura, abbiamo operato alcuni tagli, perché io ero certa che Ernest stesso li avrebbe eseguiti. Il libro è interamente di Ernest. Noi non abbiamo aggiunto nulla”. A lettura avvenuta, si sente che il libro è davvero di Hemingway. C’è dentro la sua anima, ci sono anche fatti veri della sua vita, raccontati come solo lui poteva fare, anche se attribuiti a un protagonista, il pittore Thomas Hudson, che è chiaramente la sua controfigura. E c’è anche una vaga, ma continua, angoscia esistenziale che sfocia in riflessioni sul suicidio, chiaramente prodromiche al suicidio dell’autore stesso. Dunque, gli elementi autobiografici sono tanti, predominanti addirittura sull’intreccio romanzesco che anzi è poco sviluppato. Fernanda Pivano ricostruisce, nella sua lunga e interessante introduzione, la genesi delle tre parti dell’opera, pensate in tempi diverse e destinazioni diverse. In effetti, “Isole nella corrente” non è un romanzo unitario. “Nel primo episodio – scrive la Pivano – Bimini, il protagonista è presentato nella sua casa e nelle varie scene della sua vita abituale, nella quale si muovono soprattutto il suo amico scrittore Roger Davis e il padrone di un bar soprannominato Bobby. E’ tra questi personaggi che si svolgono alcuni tipici dialoghi hemingwayani: dialoghi da duri, pronunciati nel corso di azioni da duri, venati del sottofondo di malinconia tipica dei duri. Mentre avvengono questi dialoghi, il pittore sta aspettando l’arrivo dei suoi tre figli che vengono a trascorrere con lui una vacanza. Poi arrivano i figli, uno nato dalla prima moglie e due dalla seconda, e il pittore può mostrare senza ritegno le proprie qualità paterne, sia per l’amore col quale li circonda, sia per la sua abilità nell’allevarli da duri; nel corso di una caccia al pescespada uno dei tre ragazzi è descritto come in un vero e proprio rito di iniziazione, circondato dall’attenzione degli adulti e impegnato nella sua azione in un clima di rispetto e intensità quasi mistica”. In effetti, la scena della pesca, lunghissima, è non solo bella ma anche esemplificativa delle caratteristiche dell’opera intera: la scrittura comunica l’autore più che la trama di una storia. Dopo che i figli sono ripartiti, “il pittore riceve un telegramma che gli comunica la morte in un incidente d’auto dei due figli minori e della loro madre. L’ultima scena di questo primo episodio mostra il pittore in viaggio su una nave mentre legge i necrologi”. Il secondo episodio, Cuba, è ambientato a Cuba all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Anche qui, tornano i temi cari a Hemingway. Belle le descrizioni del suo gatto, del suo rapporto con il bere, ma anche del succedersi delle sue storie d’amore, ciascuna destinata a lasciare comunque un segno. In pratica, però, non succede niente. Il terzo episodio, In Mare, “descrive il pittore mentre comanda la sua imbarcazione di irregolari americani alla ricerca di alcuni marinai tedeschi dispersi”. Nel corso dell’ultimo scontro, Hudson viene ferito, “forse mortalmente”. Questo terzo racconto è il più avventuroso e quello che ha più trama in senso romanzesco. Gli avvenimenti narrati fanno riferimento, di nuovo, a un episodio autobiografico. Lo spiega la Pivano: “Il riferimento è sicuramente quello alla perlustrazione compiuta da Hemingway nel mare di Cuba durante la Seconda Guerra Mondiale”.
venerdì 8 febbraio 2019
MISTER NO REVOLUTION: VIETNAM
Michele Masiero
Matteo Cremona
MISTER NO REVOLUTION: VIETNAM
Sergio Bonelli Editore
2018, cartonato
146 pagine, 21 euro
"Cosa sarebbe successo se...". Nei fumetti americani si usa l'espressione "What If" (c'era addirittura una serie Marvel chiamata così, dove si presentavano versioni alternative dei fatti riguardanti i supereroi di Stan Lee). Dunque, che cosa sarebbe successo se Jerry Drake, l'antieroe creato da Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) forse nato 25 anni dopo rispetto alla sua "biografia ufficiale" che lo vuole soldato nella Seconda Guerra Mondiale e poi pilota di piper a Manaus, in Amazzonia? Michele Masiero immagina Jerry, giovane nella New York degli anni Sessanta, che non vuol fare la rivoluzione al servizio di nessuna ideologia, ma vivere la propria vita cercando solo con quella di cambiare il mondo, chiamato dal governo degli Stati Uniti a combattere in Vietnam come tanti (troppi) altri della generazione perduta. Nel Sud Est asiatico si guadagna comunque il soprannome di Mister No. Questo primo volume di una serie cartonata (ce ne saranno altri in cui lo vedremo confrontarsi con altre realtà della società americana di quel periodo, fatta di forti contrasti) mostra, in sequenze alternate, sia le drammatiche vicende belliche in cui Mister No si trova coinvolto in Vietnam, sia il periodo precedente alla partenza, in cui vive una struggente storia d'amore con una ragazza chiamata Maryann, vittima della droga. Prima della partenza per il fronte, Jerry assiste alle proteste di piazza contro la guerra e valuta la possibilità di disertare e fuggire in Canada. Ma rinuncia e parte per il fronte proprio per il drammatico epilogo della storia con Maryann. In Vietnam viene fatto prigioniero e assiste a sevizie terribili ma resiste e sopravvive. Il volume, da cui è stata tratta anche una miniserie da edicola, è un crudo, angosciante, a tratti straziante. Il protagonista è credibile, il racconto coinvolgente, i disegni bellissimi (colori compresi. di Luca Saponti e Giovanna Niro). Resta da chiedersi se sia davvero Mister No e un suo omonimo. La filosofia del personaggio è rispettata, senza dubbio, ma manca la spensieratezza del Jerry Drake che canta guidando il suo aeroplano. Del resto, però, questo è un "What If". E l storia non è ancora finita.
domenica 3 febbraio 2019
TRA VIA VALPARAISO E IL WEST
Antonio Alessandro
TRA VIA VALPARAISO E IL WEST
Aracne
2018, brossurato
220 pagine, 16 euro
"C'era una volta un bambino segretamente convinto che i soldatini avessero un'anima. Affascinato da una favola che narrava l'amore tra un soldatino di piombo senza una gamba e la ballerina di un carillon, si era persuaso che i soldatini, inanimati di giorno, di notte prendessero vita e protetti dall'oscurità diventassero protagonisti di storie che nessuno avrebbe mai visto". Quel bambino, autore del libro "Tra via Valparaiso e il West" di cui quelle citate sono le prime righe, si chiama Antonio Alessandro, classe 1962, direttore sanitario di una clinica calabrese: un distinto signore della mia stessa età, che ancora oggi gioca con i soldatini. Della passione per questo particolare tipo di giocattoli, ai giorni nostri oggetto di collezione, avevo già parlato commentando un altro libro, "Fatti della stessa pasta". In quel caso, si parlava di soldatini di "pasta", una sorta di cartapesta, usata in anni precedenti a quelli di cui tratta invece Antonio Alessandro: i soldatini di plastica della storica ditta Nardi. Soldatini che ho amato molto anche io, da bambino, perché diversi dagli altri: belli, colorati, smontabili, resistenti, eleganti nella proporzioni delle anatomie e nelle pose, precisi nei dettagli e plausibili nella ricostruzione della foggia delle divise e delle armi. Di grande qualità, anche al tatto, nonostante si potessero facilmente acquistare nel negozio sotto casa, e fossero alla portata di tutte le tasche. Il fatto che i soldatini Nardi potessero essere smontati e ricostruiti in pose diverse (erano sostituibili la base, il cavallo, il busto, l'arma impugnata) e fossero colorati in modo impeccabile, rendeva i soldatini Nardi affascinanti e "giocabili".
L'autore ricostruisce la storia della casa di produzione, nata a Milano nel 1946 per iniziativa di Guido e Gaetano Nardi, supportati dall'imprenscindibile scultore dei prototipi in gesso , il signor Marino. Nel 1962 la sede venne spostata, dalle precedenti collocazioni, in Via Valparaiso 4: da qui il titolo del libro, che cita Guccini ("Tra la via Emilia e il West"). Nel 1971, in seguito alla morte dei fondatori, la società passa nelle mani di Francesco Nardi, figlio di Guido. Finché, nel 1979 un incendio appiccato da un piromane manda in fumo tutto lo stabilimento distruggendo non solo la linea di produzione, scorte di materie plastiche e il magazzino ma anche gli stampi in metallo e i prototipi di gesso da cui si ricavavano i soldatini, polverizzando 2500 modelli e rendendo impossibile la ripresa della produzione.
Molte serie Nardi facevano riferimento all'immaginario western, ma c'erano anche marines, alpini, bersaglieri, sommozzatori, così come vennero prodotti scenari su cui collocarli.
Antonio Alessandro documenta tutto con belle foto, ma il suo non è un arido catalogo per collezionisti: vengono commentate le pose e i costumi, così come le particolarità, si confrontano i pezzi Nardi con quelli della "concorrenza", si fanno ipotesi su falsi e imitazioni, si esaminano le tecniche commerciali e le pubblicità, si intervistano i Nardi. Un libro bello da vedere e da leggere, frutto di autentica passione. C'è un sito, curato dall'autore, che si può visitare: www.soldatininardi.it
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