domenica 26 aprile 2020

LA TRAPPOLA DI MAIGRET




Georges Simenon
LA TRAPPOLA DI MAIGRET
Adelphi
Brossurato, 2004
160 pagine, 10 euro


Benché la caratteristica principale di Jules Maigret, il burbero commissario parigino nato dalla sempre ispirata penna di George Simenon, sia quello di usare un metodo psicologico nella conduzione delle sue indagini, sempre basate sullo studio delle personalità degli indagati, probabilmente nessun romanzo è così psicanalitico come questo. “La trappola di Maigret” (1955), quarantottesimo giallo della saga, chiama in causa le teorie di Freud e gli studi sulle nevrosi e sulle dinamiche mentali degli psicolabili fin dai primi capitoli, quando il commissario chiede consiglio a uno psichiatra per ricostruire un identikit psicologico di un serial killer che da sei mesi colpisce nottetempo per le strade di Montmartre e che ha già ucciso cinque donne, aggredite mentre si trovavano in giro da sole. Su consiglio dell’esperto, Maigret si convince che l’unica soluzione possibile sia sfidare l’assassino a farsi di nuovo vivo fingendo l’arresto di un colpevole immaginario, impersonato da un poliziotto: in questo modo, si ritiene, il killer avrebbe desiderato rivendicare la propria inafferrabilità dimostrando di essere ancora a piede libero. In giro per Montmartre vengono dunque fatte girare delle volontarie addestrate in autodifesa, a fare da esca, e dovunque ci sono poliziotti pronti a intervenire. La trappola funziona: l’assassino tenta di colpire di nuovo, ma fallisce e si dà alla fuga. I pur pochi indizi lasciati sul campo permettono però a Maigret di arrestare Marcel Moncin, un architetto arredatore, che però si dichiara innocente. In effetti, servirebbe una confessione: spettacolare il modo in cui Maigret lo incalza con la ricostruzione del perché, per sfuggire a una madre assillante e una moglie più forte di lui, Moncin abbia sfogato le sue frustrazioni uccidendo delle donne scelte a caso. Un lavoro da fine psicologo! Ma Moncin è davvero colpevole? Un colpo di scena sembra scagionare l’arrestato: una sesta vittima cade per strada con modalità del tutto simili a quelle usate dal serial killer. Qualcuno vuole proteggerlo? E chi? E di nuovo la psicologia si rivela la chiave per risolvere definitivamente il caso.

sabato 25 aprile 2020

GRAVITA'


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A.Zee

GRAVITA'
Bollati Boringhieri
cartonato, 2019
220 pagine, 20 euro


"Trattazione leggera di un soggetto pesante", recita il sottotitolo. L'autore, insegnante di fisica un una università californiana, premette di aver voluto scrivere un saggi agile sulla gravità einsteiniana - che fosse appena un po' più complicato del solito manualetto divulgativo ma meno complicato dei testi accademici. Ed è esattamente quello che ha fatto, partendo appunto dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, messa a punto nel 1918. Uno dei cardini fondamentali è che la gravità non esiste, esiste soltanto lo spaziotempo curvo. La massa (qualunque massa) deforma (poco o tanto) il tempo e lo spazio attorno a sé, e questa deformazione (così almeno l'ho capita io) dà origine agli effetti che noi chiamiamo gravitazionali. Einstein naturalmente veniva dopo Galileo, Cartesio, Fermat, Newton, Lagrange, Laplace, Faraday, Maxwell, Hilbert... al contributo di tutti si accenna. La gravità sembra un paradosso (e infatti Newton non si convinse facilmente di ciò che stava scoprendo) perché causava effetti su corpi che non si toccano (la Terra e la Luna non sono in contatto, ma si influenzano). Ciò rimase un paradosso finché Faraday e Maxwell non teorizzarono, provarono empiricamente e descrissero con formule matematiche, i campi di forza: sono appunto i campi di forza a essere in contatto. La fisica quantistica avrebbe poi scoperto i gravitoni, che danno luogo alle onde gravitazionali che si propagano all'infinito (mentre i campi di altre forze estremamente più potenti, come le due nucleari, hanno effetto solo sulle piccole o piccolissime distanze). Sul confine con la fisica quantistica A.Zee si ferma, rilevando come la "quantizzazione" della gravità sia uno dei grossi problemi del prossimo futuro. La mia impressione da profano è di assoluta ammirazione per come i fisici riescono a descrivere così tanti aspetti dell'universo attraverso i loro calcoli: nelle equazioni degli scienziati sembra esserci il passato, il presente e il futuro. Pare che i prossimi anni ci riserveranno sorprese e scoperte di grande importanza: chissà se esiste l'equazione che descrive la curiosità.

venerdì 24 aprile 2020

IL MISTERO DELLA CAMERA GIALLA






Gaston Leroux
IL MISTERO DELLA CAMERA GIALLA
Garzanti
brossurato, 1967
240 pagine, 350 lire

Se lo scrittore francese Gaston Leroux (1868-1927) è noto soprattutto per il suo celebre “Il fantasma dell’Opera”, al secondo posto va sicuramente ricordato uno dei più famosi romanzi polizieschi della storia, “Il mistero della camera gialla”, datato 1907. Si tratta, come si può capire anche dal titolo, di uno dei primi “gialli della camera chiusa”, ovvero di quei misteri legato a un crimine commesso da qualcuno all’interno di una stanza da cui non si può fuggire, e che tuttavia all’apertura viene trovata vuota. Il primo giallo della letteratura è, come si sa, “I delitti della Rue Morgue”(1841), di Edgar Allan Poe, ed è appunto anch’esso un “giallo della camera chiusa”. Al racconto di Poe si fa riferimento nel romanzo di Leroux, così come si cita Sherlock Holmes. In seguito sarebbero stati tanti i giallisti che si sono voluti cimentare con questo genere di rompicapo, e tra questi anche Agatha Christie e l’indiscusso specialista John Dickson Carr. Proprio Dickson Carr giudicò il romanzo di Leroux come “uno dei più bei romanzi polizieschi mai pubblicati”. C’è da dire, però, che nel 1907 la prosa, lo stile, il gusto letterario di Leroux risentiva ancora fortemente del feuilleton, e perciò “Il mistero della camera gialla” ha tutte le tinte fosche e gli effettacci sensazionalistici dei romanzi d’appendice. La Christie o Simenon, con i loro Poirot e Maigret, certamente ci consegnano opere più strutturate psicologicamente, e senz’altro più credibili. Arrivano però anche alcuni decenni dopo. L’indagatore inventato da Leroux si chiama Rouletabille, soprannome con cui è conosciuto il giornalista Joseph Josephin, protagonista di una serie di romanzi. Il caso su cui Rouletabille si trova a condurre una inchiesta giornalistica, con l’aiuto dell’avvocato Sainclair che funge da Watson della situazione, non è neppure quello di un omicidio, ma di un tentato omicidio (tentativo ripetuto più volte). La figlia di un celebre scienziato, Mathilde Stangerson, assistente del padre, viene sentita urlare disperatamente nella sua stanza da letto, chiusa dall’interno. Quando la porta della camera viene sfondata, la donna viene trovata ferita gravemente alla testa da un corpo contundente, e con addosso i segni di una brutale violenza, ma con lei non c’è nessuno, né pare esserci alcuna via di fuga che possa essere servita al suo aggressore per allontanarsi. L’ispettore Larsan, ritenuto una vera volpe, sospetta subito del fidanzato di Mathilde, Robert Darzac, che la donna aveva però piantato in asso, di punto in bianco, per motivi misteriosi, un paio di giorni prima. Nel corso delle intricatissime indagini, in cui si sottolineano a più riprese gli aspetti che rendono il caso irrisolvibile, si verificano altri episodi “impossibili”, come quello di quattro uomini che si gettano addosso al criminale in fuga, ciascuno convinto di agguantarlo, ma stringendo le mani su di lui l’uomo sembra scomparire e i quattro si accorgono di essersi afferrati a vicenda. Per meglio far capire come si svolgano i fatti, Leroux fornisce ai lettori piantine dei luoghi. Alla fine, tutto si chiarisce, anche se con una certa ferraginosità. L’assassino è un insospettabile (anche se Van Dine avrebbe qualcosa da ridire), che però Rouletabille, incredibile ma vero, lascia fuggire perché proprio la fuga dimostra la sua colpevolezza.

venerdì 17 aprile 2020

LO ZOO PAZZO








Mario Gomboli
Massimo Mattioli

LO ZOO PAZZO

Nona Arte
2019, cartonato
140 pagine, 24.90


Mario Gomboli, la cui fama è legata a Diabolik (del quale è l'attuale direttore), disegnò da solo le sue prime, comiche "Animalìe" proprio per le pagine in appendice alle avventure del Re del Terrore agli inizi degli anni Settanta. Nel 1972 il settimanale francese "Pif Gadget" accetto di pubblicare le strip della serie a patto che a disegnarle fosse Massimo Mattioli, il cui nome era già noto Oltralpe. Si formò così la storica coppia. Nel 1974 le strisce cominciarono ad apparire sul "Corriere dei Ragazzi", dove Alfredo Castelli, che era uno dei redattori, cambiò il titolo ne "Lo zoo pazzo", più semplice da capire per il target giovanile della rivista. Ricordo di aver letto la strip con grande divertimento proprio lì. Di che cosa si tratta? Lo spiego per i pochissimi che non lo sappiano: ogni gag di Gomboli & Mattioli consiste in una domanda riguardante un animale e in una esilarante risposta disegnata. Ne ho sempre ricordata una: "Perché le falene volano vicino alla fiamma delle candele?". Una falena tutta bruciata risponde: "Perché siamo cretine". Cito proprio questa battuta perché sembra mancare nel volume della Nona Arte che le raccoglie. Del resto, il sottotitolo dice: "Tutte (o quasi) le Animalìe: 1972/2019". Non sono proprio tutte, dunque, ma di certo sono tante, tra cui alcune recenti e inedite, e che bello che ci sia questa antologia. Sul genio grafico di Mattioli non c'è bisogno di dire niente altro se non questo: Massimo ci ha lasciati nel 2019 ed è stata perdita incommensurabile per tutti noi che lo abbiamo amato.

giovedì 16 aprile 2020

AMIAMOCI IN FRETTA



Achille Campanile
AMIAMOCI IN FRETTA
Rizzoli
cartonato, 1962
330 pagine, 1900 lire



Questo esilarante romanzo di Achille Campanile, risalente al 1933 ma poi rivisto e aggiornato nel 1962, fa parte del filone surreale della produzione del grande umorista. Tuttavia la trama si snoda secondo un filo logico, anche se di una logica folle ed esilarante, e i personaggi, di cui ci viene offerto un campionario inesauribile, hanno tutti un loro perché. Per darne l'idea basterà accennare al cane muto Snob, che abbaia mostrando un cartello su cui c'è scritto BAU BAU, o al serial killer chiamato Il Filantropo Integrale, che uccide solo le persone che gli sembrano afflitte per farle smettere di soffrire, dunque a fin di bene. Il meccanismo narrativo si mette in moto con i motori del "Fulminante VIII", un bastimento partito per non si sa dove e che a un certo punto naufraga (ma in realtà no, prende il volo una volta alleggerito del peso dei naufraghi) nel pressi del regno di Hermosa, governata (si fa per dire) dal Re Armando, che ogni mattina decide lui che giorno è (e di solito è il giorno del suo compleanno). Ci sono gag indimenticabili. Una prevede che gli amici del povero Capecelatro, che si suppone morto nel naufragio del "Fulminante I", si raccontino l'un l'altro le barzellette di cui lo scomparso era un formidabile inventore e, appunto perché le di lui battute ricordano loro il defunto, anziché ridere si mettono a piangere. Il fatto che ci sia un "Fulminante VIII" dopo i naufragi dei "Fulminanti" precedenti non significa che il nome porti sfortuna: come dice l'armatore, deridendo questa supposizione, le sue navi affondano tutte qualunque nome abbiano. Il re di un Paese vicino a Hermosa che non ha uno sbocco sul mare, a un certo punto, va da re Armando a chiedergli un attracco per le navi, e si presenta chiedendogli: "Mi dai un bacino?". Intende: un bacino di carenaggio, ma si crea un malinteso da scompisciarsi dal ridere. Una curiosità: la copertina è attribuita a Carlo Thole. Si tratta, evidentemente, di Karol ai suoi esordi.

martedì 14 aprile 2020

STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE





Bepi Vigna - Sergio Giardo
STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE
Sergio Bonelli Editore
2019, cartonato
146 pagine, 19 euro


Realizzato in collaborazione con le Agenzie Spaziali italiana ed europea nel quadro di un'operazione di promozione delle attività astronautiche del Bel Paese e del Vecchio Continente, questo bel volume racconta dell'incontro fra Nathan Nevere (personaggio immaginario) e Luca Parmitano (personaggio reale) nella Stazione Spaziale Internazionale, di cui Parmitano è stato anche il comandante dopo aver compiuto numerose missioni come astronauta. Il bello è che Nathan Never è da sempre il personaggio dei fumetti preferito da AstroLuca, il quale pare sia stato particolarmente felice di vedersi raffigurato come personaggio nella storia a fumetti scritta da Bepi Vigna (uno dei tre creatori dell'Agente Alfa, con Michele Medda e Antonio Serra) e disegnata da Sergio Giardo (attuale copertinista degli albi di Nathan Never). La storia, semplice ma efficace, vede l'Agente Alfa (e l'equipaggio che con lui, nel suo tempo spostato nel futuro rispetto alla nostra realtà, sta collaudando un nuovo tipo di velivolo spaziale) rimanere vittima di un vortice temporale e venire messo in pericolo da un ignoto sabotatore. Tornato nel passato e trovatosi di fronte la Stazione Spaziale con Parmitano a bordo, Nathan Never riceve l'aiuto che gli serve per tornare là da dove era partito, non senza aver dovuto faticare un bel po' per convincere gli astronauti del 2019 a credere alla sua storia. Alla fine del racconto ci sono alcune pagine di redazionali promozionali, tecnici e scientifici, che spiegano le attività di Asi ed Esa. Un bel volume, da conservare e da regalare.

sabato 11 aprile 2020

EROI A STRISCE





Alfredo Castelli
EROI A STRISCE
Nona Arte
2019, cartonato
192 pagine, euro 39,90


Diversamente da quanto è accaduto negli Stati Uniti, da noi in Italia le strisce a fumetti (comiche o avventurose) in appendice ai quotidiani non hanno mai avuto fortuna. Nella sua informatissima introduzione, Alfredo Castelli ricostruisce la storia delle sporadiche apparizioni delle strip sulle testate giornalistiche e individua in "Stampa Sera" il primo quotidiano che ospitò con regolarità una serie (tra il 1950 e il 1951): si trattava delle avventure a fumetti di Arsenio Lupin. "Paese Sera" nel 1953 ebbe il merito di pubblicare le prime strisce umoristiche italiane, alternando Geremia e il Gatto Filippo, di Pino Zac. Nel 1968 tenne anche a battesimo le Sturmtruppen. Ma, in generale, lo spazio concesso è sempre stato limitatissimo, soprattutto rispetto agli standard americani (e rispetto alla gloria della produzione "sindacata" d'Oltreoceano) e per poco tempo. Tuttavia, gli esperimenti non sono mancati. Di molti di questi è stato indiscusso protagonista proprio Alfredo Castelli, instancabile nel proporre strisce originali o adattamenti a strisce di fumetti celebri. Una selezione rappresentativa delle strip castelliane apparse sui quotidiani del Bel Paese (dal "Giorno" di Milano al "Piccolo" di Trieste, passando per "La Gazzetta del Popolo" e "La Notte") è stata raccolta in volume da Nona Arte, con un ricco apparato critico e un più che interessante corredo iconografico di supporto. Un analogo cartonato, targato però Sergio Bonelli Editore, aveva già riproposto la versione a strisce per i quotidiani di Martin Mystére (strisce riadattate e non identiche a quelle degli albi), questo nuovo tomo presenta tutti gli altri eroi:gli Aristocratici, Diabolik, Nick Carter, Zio Boris e l'incredibile Signor Max (che muore alla fine di ogni storia). Tanti i disegnatori chiamati a illustrare le strip: Barison, Coretti, Facciolo, Fagarazzi, Ghiddi, Giordano, Peroni, Silver, Siò, Tacconi, Tuis, Zaniboni. Per gli estimatori del Buon Vecchio Zio Alfy il volume è imperdibile; per i cultori del fumetto in generale, più che consigliato. Peccato solo per la riproduzione difficoltosa di certe vignette, essendo state ricavate, evidentemente, da materiale d'epoca.

mercoledì 8 aprile 2020

DIZIONARIO DELLA STUPIDITA'






Piergiorgio Odifreddi
DIZIONARIO DELLA STUPIDITA'
Rizzoli
cartonato, 2016
380 pagine, 18 euro



Oltre a essere un luminare in campo matematico, Piergiorgio Odifreddi (1950) è anche un bravo divulgatore scientifico e un eccellente polemista. Seguendolo nella sua rubrica su ogni numero de "Le Scienze" e lungo il percorso tracciato con i suoi numerosi libri (i libri di un matematico non possono che essere numerosi) lo si scopre esperto anche in campo filosofico e letterario. Quando polemizza, di solito se la prende con tre bersagli: la religione, gli Stati Uniti d'America e gli esponenti dei partiti politici che non sono ostili alla religione e agli Stati Uniti d'America. Se si riesce, e io ci riesco benissimo, a fargli la tara da questo punto di vista, è sempre interessante e piacevole leggerlo. Uno dei libri a sua firma che mi è piaciuto di più è "La Via Lattea", scritto con Sergio Valzania lungo il cammino di Santiago, percorso dai due autori riportando l'uno le proprie riflessioni da ateo, l'altro le proprie meditazioni da cattolico praticante. Il "Dizionario della stupidità" appartiene al filone polemico odifreddiano, e consiste in trecento voci, di una pagina ciascuna, da "Abitudini" a "Zichichi". Le voci possono essere appunto dedicate a persone (Yeats, Croce, Diderot, Berlusconi, Flaubert, papa Francesco...), a teorie scientifiche, economiche o filosofiche (creazionismo, capitalismo, esistenzialismo, metafisica, omeopatia, new age, etica...), alla religione (Dio, Padre Pio, Lucifero, miracoli, transustanziazione, Sacra Famiglia, Maometto...), a fenomeni sociali o di costume (droga, femminicidio, divorzio, crisi, Grande Fratello), o a quel che gli pare (funerali, donne, coincidenze, burocrazia, incompetenti...). Su ogni argomento, Odifreddi dice la sua evidenziando la stupidaggine di questo o quello e rimandando, nel suo commentare, ad altre voci del dizionario (questi rimandi finiscono per essere fastidiosi). Molti temi avrebbero avuto bisogno di ben più lunghe trattazioni, ma l'autore è inflessibile: qualunque sia la caratura dell'oggetto del contendere, lo spazio è di una pagina. Questo permette una lettura agevole anche andando avanti e indietro a spizzichi e bocconi. Talvolta (il più delle volte, per quanto mi riguarda) capita di essere d'accordo, altre volte verrebbe da obiettare. Ma il libro è di Odifreddi e non nostro, ed è giusto che sia lui a dire la sua. Del resto, nella prefazione l'autore ammette che si è tutti un po' stupidi a turno. Sulla stupidità della società che ci circonda è uscito, un paio di anni dopo, un altro libro: "Scemocrazia", di Massimiliano Parente. Ecco, volendo fare un confronto, il testo di Parente è meglio scritto, meglio argomentato e più divertente. A volte il professore matematico sembra un po' troppo saccente, uno di quelli che son tutti scemi tranne lui: il che magari è vero.

lunedì 6 aprile 2020

LUNA 2069




Leo Ortolani
LUNA 2069
Feltrinelli
2019, cartonato
242 pagine, 20 euro


Realizzato con la sponsorizzazione delle Agenzie Spaziali italiana ed europea in occasione del cinquantennale della conquista della Luna da parte dell'equipaggio di Apollo 11, questo divertente ma anche documentato e a tratti commovente volume a fumetti conferma il grande talento di Leo Ortolani, che si dimostra in grado di affrontare qualsiasi argomento (del resto, "Cinzia" aveva già tolto ogni dubbio in proposito, se mai ce ne fossero stati). "Luna 2069" ripercorre tutte le tappe della gara spaziale fra sovietici e americani negli anni Cinquanta e Sessanta, mentre porta avanti una storia contemporanea e una che si svolge ancora cinquant'anni più avanti nel tempo, nel 2069, quando già sul nostro satellite naturale ci saranno (così almeno viene pronosticato) le installazioni di una base lunare. Protagonisti del racconto sono l'astronauta italiano Fortunato (chiara controfigura di Luca Parmitano) e il miliardario Mask, interpretato da un simil Rat-Man (chiara controfigura del patron della Tesla, Egon Musk, tycoon con ambizioni di imprenditore dello spazio. Musk vuol battere le missioni governative sbarcando per primo sulla Luna nell'anno del cinquantennale e per farlo ingaggia Fortunato. Con grazia, poesia, umorismo, satira e alcune pagine di documentazione sulla stazione internazionale orbitante (di cui Parmitano è stato anche comandante), Ortolani porta avanti un racconto forse un po' più lento delle storie di Rat-Man ma, alla fine, godibilissimo.

mercoledì 1 aprile 2020

PIMPA, CIPPUTI E ALTRI PENSATORI





Francesco Tullio Altan

PIMPA, CIPPUTI E ALTRI PENSATORI
La Repubblica L'Espresso
2019, brossurato
170 pagine, 12.90 euro



Tra il 23 ottobre 2019 e il 12 gennaio 2020, a Roma, presso lo spazio espositivo Maxxi (Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo) si è tenuta una mostra dedicata a Carlo Tullio Altan (Treviso, 1942) e al suo straordinario lavoro come fumettista, pittore, illustratore, story-teller, umorista. Il catalogo, curato da Luca Raffaelli e Anne Palopoli è stato pubblicato da Franco Cosimo Panini Editore e successivamente distribuito in edicola in edizione economica su licenza dal gruppo Repubblica L'Estresso. Si tratta di un volume davvero interessante e divertente, che raccoglie dieci contributi critici di otto diversi saggisti (quattro sono firmati o cofirmati da Luca Raffaelli), a ancche e soprattutto una rassegna stupefacente di materiali grafici prodotti da Altan a partire dal 1973 (anno del suo debutto su "Linus" appena ventunenne) fino ai giorni nostri. Anzi, c'è sezione intitolata "Altan prima di Altan" in cui si mostrano quadri, illustrazioni e vignette che vanno dal 1969 al 1973 e che fanno parte della preistoria dell'artista. Il percorso iconografico è cronologico, e ai brevi saggi si alternano alcune interviste che ci offrono un ritratto dell'autore quale persona di grande umanità e simpatia.La galleria dei personaggi propriamente detti, a parte quelli anonimi seppur ricorrenti, delle millesima vignette satiriche, parte con "Trino", un dio che riceve l'ordine di creare l'universo da un altro dio (quasi trecento strisce realizzate tra il 1973 e il 1979), poi ci sono Cipputi, Colombo, Friz Melone, Ada, Franz, per citare alcuni nomi, e naturalmente quel capolavoro che è la Pimpa. Si scopre che il vero cognome di Francesco è Tullio-Altan, e che per comodità alla fine è rimasto solo Altan dato che tutti scambiavano Tullio per un nome. Divertente è anche leggere del lungo periodo trascorso in Brasile, dove l'artista ha conosciuto la moglie Mara e dove è nata la figlia, e dei suoi esordi su "Linus" avvenuti grazie a un agente, Ravoni della Quipos, che rappresentava in Italia molti autori sudamericani; Del Buono, direttore di Linus, in un primo momento credette cha Altan fosse brasiliano. Anche le prime cose della Pimpa viaggiarono per posta, sull'Atlantico. Riguardo alla sua militanza politica, Altan dichiara: "Nel Settantasette si dovevano avere opinioni sempre estreme, di cui non sempre si poteva essere convinti. Anche perché non sempre erano giuste. Con il tempo la mia visione si è fatta più moderata. All'inizio un po' meno, anche perché da giovani si fanno un po' di stupidaggini. L'età porta con sé un po' di esperienza. Si conoscono meglio tante cose. Dopo quarant'anni di lettura dei giornali e di n notiziari televisivi, ci capisco un po' di più".