sabato 30 giugno 2018

ACCABADORA









Michela Murgia
ACCABADORA
Einaudi
2009, cartonato
164 pagine, 18 euro

In spagnolo, "acabar" vuol dire "finire". E in sardo "accabadora" è colei che finisce. Misericordiosamente, però: la donna che scivola nottetempo nella camera del moribondo e con un cuscino premuto sulla bocca allevia le sue sofferenze, chiamata dai parenti stessi, non è un'assassina. Tra le pagine più belle del libro c'è la spiegazione che delle sue azioni dà Bonaria Urrai, appunto l'accabadora, alla figlia adottiva Maria Listru: "Io sono stata l'ultima madre che alcuni hanno visto". Non si nasce da soli, e a volte c'è bisogno di qualcuno che aiuti a morire. Per quanto mi riguarda, il discorso di Bonaria Urrai andrebbe imparato a memoria, compresa la frase "Non dire mai: io di quest'acqua non ne bevo". Maria se ne rende conto quando si troverà lei nelle condizioni di dover fare la stessa cosa. La "filla de anima", Maria, è stata adottata dalla sarta Bonaria perché alla vera madre (vedove entrambe) pesavano le quattro figlie e la Urrai non aveva mai partorito figli suoi, dunque, come si usava in Sardegna (il romanzo è ambientato a Soreni, paesino immaginario dell'isola, negli anni Cinquanta) l'ultima nata viene ceduta. Maria cresce senza nulla sospettare della "dolce morte" che Bonaria concede a chi ne ha bisogno, ma quando lo scopre (la vittima è un giovane a cui è stata amputata una gamba e che non vuol più vivere) fugge sul continente decisa a troncare ogni rapporto con la madre adottiva. Quando però Bonaria si ammala gravemente, torna in Sardegna e riconosce nella donna le qualità di una vera madre. Oltre alla grande tensione che, con una prosa pulita e dialoghi taglienti, Michela Murgia sa costruire all'interno della sua storia attorno ai due straordinari personaggi di Maria e, soprattutto, Bonaria, molto efficace risulta la ricostruzione di Soreni e della arcaica società rurale sarda, legata all'ancestrale e al tacito appartenere a una comunità dove il non detto e il non scritto regolano i rapporti fra e nelle famiglie. Il romanzo ha vinto il Premio Campiello nel 2010.

venerdì 29 giugno 2018

ZAGOR




Davide Morosinotto
ZAGOR
Sergio Bonelli Editore
2018, cartonato
260 pagine, 16 euro

Quando mi sono incontrato con Davide Morosinotto nel mio ufficio presso redazione milanese di Zagor, temo di averlo trattato senza tenere nella giusta considerazione il suo curriculum di autore pluripremiato per i suoi romanzi per ragazzi. O meglio, "young adults", come si dice adesso. Nel momento in cui abbiamo fatto il nostro brainstorming non aveva ancora vinto il Premio Andersen 2017 (l'avrebbe fatto di lì a poco) ma aveva comunque un palmares da campione. Non che l'abbia trattato sgarbatamente come fanno i sergenti istruttori dei marines, anzi, ma mi sono concentrato sulla bozza del suo romanzo per il quale mi ero appuntato diversi suggerimenti. Ho vestito, insomma, i panni dell'editor. Il principale suggerimento è stato questo: "caro Davide, il nostro protagonista non può chiamarsi Zagor, perché Patrick Wilding assume il nome di Za-Gor-Te-Nay (Spirito con la Scure in una immaginaria lingua algonkina) solo dopo l'incontro con i Sullivan, quando decide di indossare il suo pittoresco costume e presentarsi agli indiani di Darkwood, mentre le vicende da te narrate si svolgono prima". E questo costituiva un bel problema. Tuttavia, il brainstorming l'ha risolto: ho suggerito che qualcuno avesse chiamato "Spirito con la Scure" già in precedenza, e che Patrick l'avesse perciò ripescato successivamente. Di suo, Davide ha aggiunto nel romanzo (oltre a tutto il resto) anche il perché Zagor avrebbe poi adottato "aaahhyyaaak" con grido di battaglia. Dal nostro incontro è nata anche l'idea di inserire nella narrazione brani di un immaginario diario di "Wandering" Fitzy. Alla fine, quel che è venuto fuori è decisamente un buon lavoro. Rispettoso del character di Nolitta & Ferri ma anche innovativo e soprattutto adatto al target 12-18 anni che è appunto la fascia identificata dalla definizione "young adults", lettori che fortunatamente oggi frequentano le librerie (reali o on line) a differenza di un paio di generazioni perdute nel recente passato. Morisinotto, con uno stile adatto al suo pubblico, secco e tagliente, racconta prima il dramma nel passato di Zagor, quello che ben conosciamo delle stragi del Clear Water e del Silver Lake, poi il tormento del demone-lupo che si agita nel petto del giovane eroe. Un tormento che fortunatamente si placa, scoprirà Patrick nel finale del romanzo, aiutando gli altri. Davide non aveva avuto alcuna indicazione di scrivere un libro western piuttosto che orrorifico e fantastico, eppure, da vero conoscitore di Zagor, ha scelto quel tipo di commistione fra i generi che è tipica del personaggio (con buona pace di quelli che la contestano e pretenderebbero solo avventure di trappers, indiani e soldati), con molti rimandi ai temi della saga a fumetti. C'è la vecchia frontiera e ci sono i pellerossa,ma c'è anche un mistero, quello di mostri che emergono dal bitume fuoriuscito da una spaccatura nella terra simile alla "Grande Ferita" che avevo inventato io per "Darkwood Anno Zero". E proprio a "Darkwood Anno Zero" si riallaccia il bel finale, in cui compare Shyer, un personaggio a me molto caro e non solo perché l'ho inventato io. Il romanzo si inserisce in una collana inaugurata dalla Sergio Bonelli Editore proprio con questo e altri due titoli (dedicati a Gea e a Martin Mystere) in cui gli eroi a fumetti della Casa editrice milanese vengono proposti sottoforma di romanzi che li raccontano da adolescenti. Il titolo dedicato a Zagor è, da un certo punto di vista, anche un "romanzo di formazione" proprio per questo: mostra un importante passaggio della crescita di Pat,

venerdì 22 giugno 2018

LA LETTERA SBAGLIATA






Walter S. Masterman
LA LETTERA SBAGLIATA
Polillo Editore
2018, brossurato
184 pagine, 15.40 euro

Premessa: quando in libreria vi imbattete nei libri color arancio della collana "I bassotti" della Polillo, prestategli attenzione, leggete i risvolti di copertina per capire se possono fare al caso vostro e se vi piacciono portateveli a casa. Insomma, meritano di essere quanto meno presi in mano e valutati. Si tratta di gialli (l'arancione di copertina fornisce un indizio) "vecchia maniera", pubblicati soprattutto fra il 1920 e il 1940, di provenienza quasi sempre angloamericana, talvolta di autori noti, ma più spesso ignoti (o dimenticati) e dunque da scoprire (o riscoprire). I polizieschi "classici" per quanto mi riguarda battono alla grande i thriller contemporanei e non c'è Paula Howkins o Joël Dicker che tengano di fronte a John Dickson Carr. L'inglese Walter S. Masterman (1876-1946) non è propriamente un maestro riconosciuto ma ha saputo farsi valere. Peraltro si è inventato scrittore di gialli dopo aver trascorso vari anni in galera e questa sua prima opera, "The wrong letter" venne elogiata da Gilbert Keith Chesterton (il creatore di Padre Brown). Mi unisco all'elogio solo per un aspetto: la geniale soluzione fortuna da Masterman al classico mistero della camera chiusa.Ciò che infatti mi ha convinto all'acquisto è stata la frase nell'aletta di copertina che diceva così: "'La lettera sbagliata', finora inedito in Italia, è uno dei più sorprendenti delitti della camera chiusa della storia del giallo". Dato che colleziono tutti i romanzi che propongono questo tipo di enigma (il cadavere di un assassinato viene trovato in una stanza deserta sigillata dall'interno) non mi sono lasciato sfuggire questo nuovo pezzo. E in effetti in meccanismo che spiega l'impossibile è originale e convincente. Un po' meno il resto del giallo, basato sulla morte del Ministro dell'Interno inglese che scopriamo vivere in una casa in compagnia della sola governante, abituato ad aprire personalmente la porta a chiunque bussi e ad andare a imbucare da solo lettere nella buca della posta (senza segretari e guardie del corpo) e senza che venga descritto il realistico clamore che un omicidio del genere può provocare a Londra. Insomma, sarebbe stato più credibile se la vittima fosse stato uno qualunque. A parte questo, il giallo è divertente, l'assassino davvero insospettabile, e tutti gli indizi vengono forniti al lettore perché arrivi da solo alla soluzione che il sovrintendente Sinclair di Scotand Yard fornisce nel penultimo capitolo.

venerdì 15 giugno 2018

LAVENNDER




Giacomo Bevilacqua
LAVENNDER
Sergio Bonelli Editore
cartonato,150 pagine
2017, 23 euro


Una bella edizione da libreria per un thriller tropicale già apparso nella collana da edicola "Le Storie". Anzi, mi piacerebbe che sempre più spesso le cose migliori pubblicate da quella testata venissero riproposte in versione cartonata di grande formato. Nel caso di "Lavennder" colpisce favorevolmente l'ottima prova di un autore completo, Giacono Bevilacqua, che dopo il successo ottenuto come fumettista umoristico grazie al suo "A Panda piace" si è rivelato perfettamente in grado di scrivere e disegnare anche in modo realistico e di uscire dalla Rete (che è sì un palcoscenico, ma anche una gabbia). Lode per la capacità di raccontare in modo chiaro e coinvolgente senza astrusità criptiche (finalmente uno che cerca di farsi capire invece di mirare a disorientare), e che per giunta, cosa sempre più rara, disegna il mare azzurro, gli alberi verdi e la pelle rosa, colorando con delicatezza senza coprire le linee mere delle figure. La vicenda, avventurosa ed horror al tempo stesso, è tesa ed emozionante: una coppia di giovani fidanzati scopre sul Web la possibilità di trascorrere una vacanza su un'isola deserta, dove vengono accompagnati per vivere in perfetta solitudine pescandosi il pesce per i pasti e dormendo in una tenda. Però, l'isola non è così disabitata come era stato loro promessa...

giovedì 14 giugno 2018

TEX SECONDO NIZZI



Roberto Guarino
TEX SECONDO NIZZI
Allagalla
2012, brossurato
224 pagine, 23 euro

Ecco un raro caso in cui un libro-intervista, quale questo è, possa essere attribuito tanto all’intervistatore quanto all’intervistato, perché le domande di Roberto Guarino (inesauribili, informate, intelligenti e articolate) riescono a inquadrare esaustivamente il personaggio Claudio Nizzi al pari delle sue puntuali e convincenti risposte. Guarino giustifica così, in apertura, il suo interesse verso lo sceneggiatore modenese (interesse nato, va da sé, da una precedente passione per Tex): “Claudio Nizzi è probabilmente il più importante e prolifico sceneggiatore italiano di fumetti. In cinquant’anni di attività è stato una delle colonne di riviste per ragazzi come Il Vittorioso e Il Giornalino, ha scritto centinaia di albi di Tex e ha trovato anche il tempo per creare nuovi personagggi come Nick Raider e Leo Pulp. Hanno disegnato le sue storie alcuni tra i più grandi disegnatori italiani e stranieri, da Attilio Micheluzzi a Joe Kubert, da Aurelio Galleppini a Ernesto Garcia Seijas, da Renzo Calegari a Jordi Bernet, da Giovanni Ticci a José Ortiz, da Gianni De Luca a Sergio Toppi”.  Alla lista io aggiungerei anche Magnus.
Un articolo del critico Andrea Sani pubblicato sul n° 6 rivista Dime Press (febbraio 1994) esaminava le storie di Tex realizzate in tandem da Claudio Villa e Claudio Nizzi: l’uno erede di Aurelio Galleppini, l’altro di Giovanni Luigi Bonelli. Storie che, secondo il commentatore, “possono tranquillamente collocarsi ai vertici della produzione fumettistica italiana contemporanea, al di là di ogni distinzione tra fumetto popolare e d’autore”. L’arrivo di Nizzi precedette di due anni quello di Villa, ma la logica in cui entrambi entrarono a far parte della squadra texiana più o meno nello stesso periodo fu necessità per l’editore di avvalersi di nuovi collaboratori, necessità dovuta sia ai problemi di salute di Giovanni Luigi Bonelli e di Galep (dovuti al fattore anagrafico di coloro che per trent’anni erano stati gli inossidabili facitori di Tex), sia per rinfrescare le caratteristiche delle storie e dei disegni.  
Claudio Nizzi, nato a Setif (Algeria) nel 1938, esordisce come autore di fumetti nel 1960, sulle pagine del Vittorioso. Datato 1969 è l'inizio della sua collaborazione con Il Giornalino, per le cui pagine crea personaggi di grande successo come Larry Yuma e Capitan Erik, mentre per Il Messaggero dei Ragazzi scrive Mino e Lia. Nel 1980 abbandona il suo precedente impiego presso la Fiat e viene assunto come redattore dalle Edizioni Paoline, quale responsabile del settore fumetti. Nel 1981 crea Rosco & Sonny. Subito dopo è la volta di Nicoletta. Notevoli anche alcune sue sceneggiature basate su classici della letteratura per ragazzi. Nel 1987 Nizzi passa stabilmente alla Sergio Bonelli Editore. Con Bonelli l'autore aveva già iniziato a collaborare fin dal 1981: inizialmente con storie di Mister No, quindi con soggetti e sceneggiature di Tex. Per lungo tempo il lavoro di Nizzi per Aquila della Notte è rimasto anonimo, poi sono giunti i meritati riconoscimenti e la designazione quale "erede" ufficiale di Gian Luigi Bonelli. Nel 1988 Claudio Nizzi ha ideato Nick Raider, la prima serie "gialla" della casa editrice milanese.
Sull’albo di TuttoTex n° 196, così scrive Sergio Bonelli: “Il primo episodio scritto da Nizzi pubblicato nel Tex Gigante si intitolava ‘La valanga d’acqua’, era disegnato da Erio Nicolò e iniziò a pagina 53 del numero 273 (anche se, in realtà il primo soggetto che Claudio elaborò per noi, ‘Il ritorno del Carnicero’, uscì per secondo). Per quel che mi riguarda la scelta di Nizzi come continuatore del personaggio di papà Bonelli non nacque casualmente: ero infatti sempre stato un suo ammiratore sin dai tempi in cui, sulle pagine de Il Giornalino, inventava avventurosissime trame per Larry Yuma”. 
E racconta invece Nizzi, in una intervista: “All’inizio della collaborazione a Tex fui avvertito che ‘per un certo periodo di tempo’ non avrei potuto firmare le mie storie. Il timore di Sergio Bonelli era che i lettori, abituati da sempre al fatidico ‘Text by G.L.Bonelli’, potessero reagire negativamente. La preoccupazione era legittima. In seguito, però, quando il ‘certo periodo di tempo’ cominciava a durare troppo, il non firmare mi pesò parecchio. A un certo punto, tra me e Sergio Bonelli cominciò un braccio di ferro. E finalmente, dopo un’astinenza di cinque anni, apparve la mia firma nel Texone di Buzzelli del 1988, e dal dicembre di quello stesso nella serie normale. Per fortuna la mia firma non ha fatto scappare nessuno”. 
Uno dei tratti distintivi delle sceneggiature di Claudio Nizzi è quello di riuscire a proseguire con taglio narrativo moderno la grande tradizione dei testi di Giovanni Luigi Bonelli, mettendone in pratica la lezione in maniera funzionale ed efficacissima.  “All’inizio i miei soggetti venivano sorvegliati molto - dichiara Nizzi su Dime Press n° 2 - sia perché ne scrivevo pochi (e senza fretta), sia perché bisognava essere sicuri che mi mantenessi nell’ortodossia più assoluta. A quei tempi eravamo ancora in tre a scrivere Tex: G.L.Bonelli, Sergio e io. In seguito Bonelli padre rallentò, poi anche Sergio, e io mi ritrovai a scrivere anche dieci storie contemporaneamente. Oggi, sia sotto la spinta dell’urgenza, sia perché mi sono ormai conquistato una certa affidabilità, i controlli si sono molto diradati, ma il ‘lavaggio del cervello’ iniziale funziona ancora (fin troppo!) e ci penso da solo a censurarmi per non uscire dai binari della tradizione. (...) Il tipico linguaggio di Tex è una delle grandi invenzioni di G.L.Bonelli, il mio segreto è di averlo studiato, così come ho studiato la psicologia del personaggio e il ritmo del racconto. Il fascino intramontabile di Tex è dovuto al rispetto di queste cose e dunque mi sembra doveroso rispettarle. Anche perché, se sgarri, Tex diventa un’altra cosa”. 
Diversamente da Nolitta che non può fare a meno di lasciar trasparire la propria originalità, il Nizzi del primo periodo texiano riesce magistralmente a mimetizzarsi facendo propri gli stilemi del creatore del personaggio, spolverandoli comunque quel tanto che basta per dare loro una rinfrescata. Il maggior mimetismo di Nizzi non tragga in inganno. E’ frutto della sua grande professionalità, non di pedissequa imitazione. Narratore robusto e di grande esperienza, abile negli intrecci da feuilleuton e più ancora nel mescolare il thriller con il western, Nizzi non è certo il clone di nessuno. In ogni caso,  la sua personalità ha finito per risultare evidente e, a posteriori, può essere facilmente vista trasparire anche dalle storie che all’epoca uscirono non firmate. Dopo che il suo nome ha cominciato ad apparire, anche la sua tecnica di sceneggiatura si è fatta più personale e riconoscibile, seppur sempre nel solco della tradizione. Già nella fondamentale storia disegnata da Ticci che racconta in flashback il primo incontro fra Tex e Tiger Jack (Furia Rossa, Tex n° 385 e seguenti, 1992) gli stacchi sono veloci, le didascalie risultano abolite o ridotte al minimo, gli stati d’animo vengono resi dal gioco di sguardi e dalla recitazione dei personaggi e insomma il “più acceso difensore dell’ortodossia texiana”, come Nizzi stesso si è definito, finisce per traghettare la serie verso moduli espressivi di grande (ma intelligente) modernità. Una storia come La ballata di Zeke Colter, pubblicata sull’Almanacco del West 1994, scritta per i disegni di Renzo Calegari, è un altro esempio di un ottimo racconto sceneggiato da un Nizzi volutamente più libero del solito dai vincoli dell’ortodossia, visto che si tratta di un albo al di fuori della serie regolare. 
Nell’arco di trent’anni (1982-2012) e di oltre trentamila tavole (tante ne ha sceneggiate Nizzi per Aquila della Notte) è inevitabile che ci siano stati degli alti e dei bassi, ma i capolavori sono tali appunto perché svettano. 
Rispondendo alle domande di Roberto Guarino, Claudio Nizzi racconta molto di sé, analizzando una per una tutte le sue storie di Tex e dimostrando una grande consapevolezza riguardo alla sua opera. Forse ci vorrebbe un altro libro in cui, con altrettanta puntualità, l’intervistatore spinga l’autore a dilungarsi anche sul resto della sua sterminata produzione, compresa quella libraria, perché i romanzi del ciclo di Borgo Torre hanno tutte le carte in regola per un successo travolgente e dispiace che limitatissima distribuzione del loro piccolo editore non abbia consentito ai quattro titoli una maggiore visibilità. In attesa, dunque, di una disamina di Larry Yuma o di Nicoletta, colpisce, già in questo libro, il talento dimostrato da Nizzi di mettersi al servizio sia del lettore, che del personaggio,  che del disegnatore. Del lettore, perché la varietà dei personaggi da lui creati per target molti diversi fra loro testimonia la capacità di parlare ai ragazzi come agli adulti o alle donne come agli uomini, e quella di far ridere, così come di commuovere o emozionare. Del personaggio, perché anche alle prese con characters non suoi, l’autore sa rispettarne le caratteristiche. Del disegnatore perché Nizzi, come lui stesso dice più volte, calibra le sue sceneggiature per valorizzare il tratto di chi le illustrerà, cercando di offrire al co-autore gli scenari, le situazioni e le atmosfere a lui più congeniali. Insomma, un grande professionista. Ma, talvolta, usando questo termine, si intende soltanto qualcuno che è del mestiere. E chi è padrone della tecnica non necessariamente è il miglior comunicatore delle emozioni. I capolavori texiani che abbiamo individuato e citato (e che sono soltanto alcuni fra quelli che potremmo ancora citare e individuare, aggiungendo magari all’elenco la prima storia della Tigre Nera, quella in cui Kit Willer perde la memoria, o il Texone di Magnus, così come molte altre), invece, dimostrano come  Nizzi sappia anche toccare il cuore e far accapponare la pelle.
Il libro-intervista di Guarino ha una mia prefazione.

sabato 2 giugno 2018

FATTI DELLA STESSA PASTA




Alessandro Delfino
FATTI DELLA STESSA PASTA
Rotary Club Firenze-Bisenzio
brossurato, 142 pagine
p.n.i.


Per gli appassionati di soldatini ogni spiegazione è superflua, ma per i profani bisogna pur darla: dire che una statuina da collezione è "in pasta" significa far riferimento a un tipo di produzione tipico del periodo fra le due Guerre iniziato dalla ditta tedesca Elastolin che, in periodo di grave crisi economica, non potendo contate sul piombo o su altri materiali più nobili, iniziò a fabbricare soldatini con una miscela composta da cartapesta, colla e gesso, detta appunto "pasta". Dopo la Elastolin, visto il successo garantito dai prezzi bassi, ci furono ovviamente molte altre case produttrici che imitarono questo tipo di materiale. Vi basterà fare un giro su Internet per vedere quanto collezionismo c'è. Il volume pubblicato dal Rotary Club Firenze-Bisenzio, di cui fanno parte alcuni celebri collezionisti toscani tra cui il curatore Alessandro Delfino, propone una straordinaria galleria di immagini riguardanti un particolare settore di questo tipo di oggettistica: i soldatini raffiguranti personaggi dei fumetti. "Fatti della stessa pasta", appunto, come recita il titolo, cioè la materia di cui sono fatti i sogni, o le avventure che si possono sognare o, se volete, di cui è fatto il gioco. Non a caso uno dei testi introduttivi porta la firma di Sergio Bonelli il quale, in suo articolo intitolato "Il palcoscenico dei sogni", paragona i personaggi della saga di Tex a tanti ideali soldatini e ricorda la figura di Dino Battaglia, che di soldatini era un super esperto al punto da intagliarli direttamente in legno: "un suo guerriero Zulu, con la caratteristica corta lancia e il non meno caratteristico scudo, fa buona guardia sulla mia libreria, trasmettendomi il fascino di un mondo e di un tempo lontano". Nel libro sono rappresentati anche alcuni soldatini non in pasta, come appunto quello di Tex e dei suoi pards, messi in commercio in tempi recenti e realizzati in resina, però gran parte sono appunto più antichi (anni Quaranta o Cinquanta) e in stile Elastolin, anche se prodotti in Italia da aziende come la Chialli, la Xiloplasto o la Lineol. Sorprende vedere soldatini di Miki, di Blek, del Sergente York, di Pecos Bill, di Cino e Franco. Una gioia per gli occhi, come dimostrano le immagini allegate.




venerdì 1 giugno 2018

HO FREDDO








HO FREDDO

di Gianfranco Manfredi
Gargoyle Books

2008, cartonato
552, 16 euro

L'autore è proprio lo stesso di Magico Vento e Volto Nascosto, giusto per dirlo subito e non tornarci su. Alla base del romanzo (un applauso al grafico della copertina) ci sono le lunghe ricerche condotte da Manfredi su alcuni casi di morti misteriose e di ancora più misteriosi risvegli (o presunti tali) nella tomba, davvero accaduti nella seconda metà del Settecento, l'epoca in cui sono ambientate le vicende narrate nel libro, nel Rhode Island. Protagonisti del lungo e complicato racconto, sono tre forti personaggi destinati a colpire il lettore: Valcour e Aline de Valmont, due gemelli, appassionati e antesignani ricercatori scientifici in campo medico, e il reverendo battista Jan Vos, indagatore a suo modo della fenomenologia post mortem e delle credenze che si ingenerano a questo proposito nella popolazione. La prima metà del romanzo è davvero strepitosa. Valcour e Aline (soprattutto il primo) studiano il decorso di una particolare forma di tubercolosi denominata "consunzione" e scoprono come sia questa malattia a provocare attacchi di follia che portano le vittime a desiderare di nutrirsi di sangue. Il fatto che si tratti di una malattia infettiva che si trasmette fra i membri di una stessa famiglia, fa pensare che il primo defunto "chiami" gli altri nella tomba. Sono diversi i casi esaminati e risolti dopo che i misteri si erano sommati ai misteri, scatenando superstizioni e reazioni irrazionali nelle comunità colpite dal susseguirsi di tragici eventi. La tensione della prima parte non regge poi fino alle ultime pagine, quando gli avvenimenti tendono a ripetersi oppure a disperdersi verso altre direzioni non tutte ugualmente avvincenti. Formidabili comunque la documentazione e la ricostruzione di epoche e ambienti. Senz'altro un libro da non perdere.