Eugenio Pilla
MICHELANGELO BUONARROTI
Edizioni Paoline
brossurato, 1959
190 pagine, 780 lire
Di solito sono di bocca buona e i libri che recensisco mi piacciono quasi tutti, in toto o in buona parte. Mi è difficile, però, dire alcunché di positivo in questa scalcagnata biografia di Michelangelo Buonarroti. Già dalle prime righe è facile intuire che non è proprio il rigore accademico a sostenere il testo. Descrivendo l'infanzia dell'artista, l'autore esordisce così: "Appena mosse i primi passi, il bamberottolo sgambettava per l'aia. Talora si divertiva con gli anitroccoli e con le tortorelle. Il pacchierotto cresceva robusto e vispo da sembrare il moto perpetuo". Bamberottolo? Pacchierotto? Anitroccoli e tortorelle? Dopodiché si procede per aneddoti da spigolature della Settimana Enigmistica. Si sottolinea ogni tre per due l'estrema religiosità di Michelangelo e lo si raffigura come il più devoto dei devoti, tutto teso verso l'estasi mistica. Che il Buonarroti sia stato credente, non ci sono dubbi, ma la sua fu una fede tormentata. Di questo non si rende conto. A chi contestava la giovinezza della Vergine della Pietà, apparentemente di minor età del Cristo suo figlio, secondo il biografo Michelangelo avrebbe obiettato che dipendeva dalla sua castità, perché le caste si conservano giovani più a lungo delle non caste. L'interpretazione di qualsiasi opera d'arte viene volta in modo da risultare edificante. Parlando delle rime amorose si precisa che sono rivolte verso Vittoria Colonna, verso cui il Buonarroti avrebbe provato, beninteso, solo "amore platonico"; non tenta neppure accennando una interpretazione omosessuale di quel versi, in realtà indirizzati ad almeno un paio di intimi amici - e molto espliciti. Il colmo lo si raggiunge quando, accennando a un dipinto giudicato "indecente", raffigurante Leda, si sottolinea come "andò perduto". "Ecco il destino di certe opere non eseguite secondo le leggi della morale cattolica: esse cadono, o presto o tardi, tra le mani di chi, per coscienza e provvidenzialmente le distrugge affinché non facciano del male": questo il commento del Pilla. Pilla che si dilunga sull'arte di Michelangelo, giustamente esaltandolo sia come pittore, che come scultore, che come architetto, che come poeta, ma che sbarella clamorosamente quando deve trattare di storia e di politica. Michelangelo, ad esempio, da fiorentino qual era, fu un repubblicano o un filo mediceo? Ah, saperlo. A un certo punto, decidendo di non poter tacere almeno del contributo dato dall'artista alla difesa di Firenze durante l'assedio del 1529-1530, quando progettò le fortificazioni della città, il Pilla spiega che i Medici tornarono al potere a causa del tradimento di Malatesta Baglioni (mercenario perugino incaricato della difesa delle mura urbane) segretamente accordatosi con il papa Leone X in favore della restaurazione medicea. Ma assolutamente no! Leone X fu sì, un papa dei Medici, ma morì nel 1521. Ai tempi dell'assedio a cui partecipò Michelangelo era papa Clemente VII, altro pontefice mediceo, ma siamo una decina d'anni dopo. Ovviamente, il Pilla nulla dice della poco onorevole fuga del Buonarroti quando la situazione si fece critica, neppure per elogiare il suo ritorno dopo l'ultimatum dei fiorentini che, se non fosse rientrato, gli avrebbero confiscato i beni. Leggendo svarioni simili vien da dubitare di tutto. Quasi certamente Eugenio Pilla doveva essere un prete o comunque un religioso (D. Eugenio Pilla, viene indicato) e il fatto che la biografia sia edita dai Paolini serve forse a giustificare in minima parte la "faziosità" confessionale del testo. Ma di sicuro ci sono studiosi e biografi in abito talare che licenziano testi di assoluto rigore. Ecco, diciamo che l'autore non è fra questi.
MICHELANGELO BUONARROTI
Edizioni Paoline
brossurato, 1959
190 pagine, 780 lire
Di solito sono di bocca buona e i libri che recensisco mi piacciono quasi tutti, in toto o in buona parte. Mi è difficile, però, dire alcunché di positivo in questa scalcagnata biografia di Michelangelo Buonarroti. Già dalle prime righe è facile intuire che non è proprio il rigore accademico a sostenere il testo. Descrivendo l'infanzia dell'artista, l'autore esordisce così: "Appena mosse i primi passi, il bamberottolo sgambettava per l'aia. Talora si divertiva con gli anitroccoli e con le tortorelle. Il pacchierotto cresceva robusto e vispo da sembrare il moto perpetuo". Bamberottolo? Pacchierotto? Anitroccoli e tortorelle? Dopodiché si procede per aneddoti da spigolature della Settimana Enigmistica. Si sottolinea ogni tre per due l'estrema religiosità di Michelangelo e lo si raffigura come il più devoto dei devoti, tutto teso verso l'estasi mistica. Che il Buonarroti sia stato credente, non ci sono dubbi, ma la sua fu una fede tormentata. Di questo non si rende conto. A chi contestava la giovinezza della Vergine della Pietà, apparentemente di minor età del Cristo suo figlio, secondo il biografo Michelangelo avrebbe obiettato che dipendeva dalla sua castità, perché le caste si conservano giovani più a lungo delle non caste. L'interpretazione di qualsiasi opera d'arte viene volta in modo da risultare edificante. Parlando delle rime amorose si precisa che sono rivolte verso Vittoria Colonna, verso cui il Buonarroti avrebbe provato, beninteso, solo "amore platonico"; non tenta neppure accennando una interpretazione omosessuale di quel versi, in realtà indirizzati ad almeno un paio di intimi amici - e molto espliciti. Il colmo lo si raggiunge quando, accennando a un dipinto giudicato "indecente", raffigurante Leda, si sottolinea come "andò perduto". "Ecco il destino di certe opere non eseguite secondo le leggi della morale cattolica: esse cadono, o presto o tardi, tra le mani di chi, per coscienza e provvidenzialmente le distrugge affinché non facciano del male": questo il commento del Pilla. Pilla che si dilunga sull'arte di Michelangelo, giustamente esaltandolo sia come pittore, che come scultore, che come architetto, che come poeta, ma che sbarella clamorosamente quando deve trattare di storia e di politica. Michelangelo, ad esempio, da fiorentino qual era, fu un repubblicano o un filo mediceo? Ah, saperlo. A un certo punto, decidendo di non poter tacere almeno del contributo dato dall'artista alla difesa di Firenze durante l'assedio del 1529-1530, quando progettò le fortificazioni della città, il Pilla spiega che i Medici tornarono al potere a causa del tradimento di Malatesta Baglioni (mercenario perugino incaricato della difesa delle mura urbane) segretamente accordatosi con il papa Leone X in favore della restaurazione medicea. Ma assolutamente no! Leone X fu sì, un papa dei Medici, ma morì nel 1521. Ai tempi dell'assedio a cui partecipò Michelangelo era papa Clemente VII, altro pontefice mediceo, ma siamo una decina d'anni dopo. Ovviamente, il Pilla nulla dice della poco onorevole fuga del Buonarroti quando la situazione si fece critica, neppure per elogiare il suo ritorno dopo l'ultimatum dei fiorentini che, se non fosse rientrato, gli avrebbero confiscato i beni. Leggendo svarioni simili vien da dubitare di tutto. Quasi certamente Eugenio Pilla doveva essere un prete o comunque un religioso (D. Eugenio Pilla, viene indicato) e il fatto che la biografia sia edita dai Paolini serve forse a giustificare in minima parte la "faziosità" confessionale del testo. Ma di sicuro ci sono studiosi e biografi in abito talare che licenziano testi di assoluto rigore. Ecco, diciamo che l'autore non è fra questi.
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