Piero Meldini
L’AVVOCATA DELLE VERTIGINI
Adelphi
1994, brossurato
128 pagine, 20.000
Un giallo decisamente insolito, questo in cui mi sono imbattuto per caso pescandolo in una bacheca di book crossing. Si tratta del romanzo di esordio in campo narrativo, di Pietro Meldini, riminese (classe 1941), saggista e psicanalista ma anche esperto di iconografia, che con “L’avvocata delle vertigini” vinse il Premio Bagutta come miglior opera prima. In seguito avrebbe scritto altri cinque romanzi (molto più nutriti l’elenco dei suoi saggi, di vario argomenti, partendo da una disamina dei rapporti tra Mussolini e Freud fino a un trattato sulla cucina romagnola). Perché ho cominciato dicendo che si tratta di un giallo decisamente insolito? Perché il protagonista, Vincenzo Dominici, è un agiografo da anni impegnato nella ricerca di documenti riguardanti una (inesistente, nella realtà) Beata Isabetta, protettrice di coloro che soffrono di vertigini, con lo scopo di scriverne una biografia. Le fonti sono, purtroppo per lui, piuttosto rare. Un giorno, però, l’archivista di una biblioteca gli fornisce un testo cinquecentesco, fino a quel momento sconosciuto, da lui trovato nascosto in una miscellanea, con una nota vergata a mano a mo’ di titolo che dice: “Vite Beate Issabecte”. Solo che il documento è illeggibile, perché scritto in codice. La decifrazione del testo finisce per rivelarsi sconvolgente per lo studioso: si tratta di un elenco di profezie riguardati chi lo tradurrà, che culminano con la morte di una donna innocente. Dominici stenta a crederci, ma una per una le profezie si avverano tutte, compresa quella riguardante la vittima senza colpa. Un monsignore bibliofilo, Berlinghieri, e il vescovo del luogo cercano di aiutare il giudice Bosio incaricato delle indagini, mentre l’agiografo pare caduto nel vortice della follia. Ciò che appare incredibile è che la profezia scritta in codice risulta davvero, senza dubbio alcuno, risalente al Cinquecento, e realmente descrive fatti piuttosto insoliti destinati ad accadere secoli dopo. La spiegazione congegnata da Meldini è intrigante e convincente, e vale il tempo speso per arrivarci. La contaminazione fra il giallo, l’arte e i misteri del passato risolti nel presente fa venire in mente “La tavola fiamminga” di Arturo Perez Reverte, che resta però diversi gradini superiore.
L’AVVOCATA DELLE VERTIGINI
Adelphi
1994, brossurato
128 pagine, 20.000
Un giallo decisamente insolito, questo in cui mi sono imbattuto per caso pescandolo in una bacheca di book crossing. Si tratta del romanzo di esordio in campo narrativo, di Pietro Meldini, riminese (classe 1941), saggista e psicanalista ma anche esperto di iconografia, che con “L’avvocata delle vertigini” vinse il Premio Bagutta come miglior opera prima. In seguito avrebbe scritto altri cinque romanzi (molto più nutriti l’elenco dei suoi saggi, di vario argomenti, partendo da una disamina dei rapporti tra Mussolini e Freud fino a un trattato sulla cucina romagnola). Perché ho cominciato dicendo che si tratta di un giallo decisamente insolito? Perché il protagonista, Vincenzo Dominici, è un agiografo da anni impegnato nella ricerca di documenti riguardanti una (inesistente, nella realtà) Beata Isabetta, protettrice di coloro che soffrono di vertigini, con lo scopo di scriverne una biografia. Le fonti sono, purtroppo per lui, piuttosto rare. Un giorno, però, l’archivista di una biblioteca gli fornisce un testo cinquecentesco, fino a quel momento sconosciuto, da lui trovato nascosto in una miscellanea, con una nota vergata a mano a mo’ di titolo che dice: “Vite Beate Issabecte”. Solo che il documento è illeggibile, perché scritto in codice. La decifrazione del testo finisce per rivelarsi sconvolgente per lo studioso: si tratta di un elenco di profezie riguardati chi lo tradurrà, che culminano con la morte di una donna innocente. Dominici stenta a crederci, ma una per una le profezie si avverano tutte, compresa quella riguardante la vittima senza colpa. Un monsignore bibliofilo, Berlinghieri, e il vescovo del luogo cercano di aiutare il giudice Bosio incaricato delle indagini, mentre l’agiografo pare caduto nel vortice della follia. Ciò che appare incredibile è che la profezia scritta in codice risulta davvero, senza dubbio alcuno, risalente al Cinquecento, e realmente descrive fatti piuttosto insoliti destinati ad accadere secoli dopo. La spiegazione congegnata da Meldini è intrigante e convincente, e vale il tempo speso per arrivarci. La contaminazione fra il giallo, l’arte e i misteri del passato risolti nel presente fa venire in mente “La tavola fiamminga” di Arturo Perez Reverte, che resta però diversi gradini superiore.
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