domenica 31 agosto 2025

NECROMANTICA MUSA BLUES

 
 
Stefano Fantelli
NECROMANTICA MUSA BLUES
Cut-Up Publishing
2025, cartonato
110 pagine, 19.90 euro
Illustrazioni di Paolo Massagli

La nota biografica in appendice ci informa che Stefano Fantelli, “scrittore e sceneggiatore di genere dark e new weird, conosciuto anche con lo pseudonimo di El Brujo, Active Member della Horror Writers Association, ha pubblicato più di venti libri tra romanzi, raccolte di racconti e graphic novel”. Aggiungo, io che lo conosco, come abbia scritto storie pure di Zagor e molti altri fumetti, sceneggiato per il cinema, coordinato le pubblicazioni Cut-Up Publishing, organizzato eventi. Gli mancava soltanto di cimentarsi nella poesia, ed ecco il suo esordio anche questo ambito. Anche poeta, in sostanza. Tuttavia, fedele al suo personaggio, la raccolta “NecRomantica Musa Blues” (la R maiuscola all’interno del titolo è significativa) non propone al lettore, inclito o meno che sia, liriche nell’accezione più ricorrente e immediata del termine, componimenti cioè votati al sublime letterario e alla bellezza formale (bellezza che, in generale, come dice Dostoevskij, è sempre un enigma). La silloge (ecco che l’inclito lettore apprezzerà il vocabolo) raccoglie piuttosto testi in cui il bello e il sublime si manifesta attraverso versi che cantano di artisti maledetti, eroi dei fumetti, sangue e colpa, lapidi cimiteriali, gioventù bruciata, divinità e miti oscuri, favole nere, eros e thanatos. Nessun riferimento diretto a Baudelaire e Bukowsky, e neppure a Carver (per quanto di certo tenuti presente); molti di più agli autori di testi di canzoni di gruppi o musicisti della scena dark punk, gothic, rock psichedelico, heavy metal, prog. Appunto come testi di canzoni Stefano Fantelli presenta i suoi componimenti fin dal titolo, ma soprattutto dal sottotitolo, “canzoni e ballate di morte e d’amore”.  In una conversazione con l’autore gli ho chiesto se la forma di “lyrics”, destinata cioè alla musica (“words of a song”, secondo il dizionario) sia soltanto una scelta stilistica o se davvero i suoi testi fossero stati scritti per venire musicati e incisi. Risponde Fantelli: “alcuni sono stati musicati ma non incisi. In generale, quando li ho scritti avevo in mente anche una melodia. Nessuno è stato inciso finora”.  L’idea che dei versi abbiano, fin dal momento della composizione, il rimando a una musica su cui appoggiarsi, porta a riflettere sulla notte dei tempi e sulla cetra (forse Rickembacker) di Omero. La poesia nasce cantata, anche quella italiana, che trae origine dai componimenti dei trovatori provenzali che, tra il XII e il XIV secolo, cominciarono a scrivere versi in volgare, in un neolatino chiamato lingua d'oc (oggi scomparsa, dato che il francese moderno deriva da un altro neolatino, la lingua d'oil). Quei versi venivano scritti per essere cantati. Non sappiamo esattamente quali fossero le melodie, ma la nostra storia letteraria nasce da lì. Gli eredi di questa tradizione, i veri poeti del nostro tempo sono proprio gli autor idei testi delle canzoni. La poesia accademica e austera, quella di coloro che non scrivono per la gente, non raggiunge quasi più il cuore di nessuno. Sono i testi delle canzoni che hanno assunto il compito svolto in passato dalla poesia, nella società: sono loro che descrivono i moti dell'animo, che assolvono una funzione catartica o liberatoria, o che incitano a reagire, o illuminano di nuova luce il reale o veicolano idee o semplicemente fanno sognare. Sono i versi dei parolieri e dei cantautori che passano di bocca in bocca, vengono imparati a memoria, ripetuti nelle riunioni fra amici, rimuginati nei momenti di solitudine. Ognuno ha la sua canzone che almeno una volta lo ha fatto piangere. Di certo quanto detto porta a concludere che ci piacerebbe ascoltare i testi di “NecRomantica” messi in musica. “El Brujo, lo stregone che scriveva versi chilometrici / cambiò un giorno il suo agente con uno della narcotici”, scrive di sé Fantelli (in “Dark Jazz”), che resta pur sempre uomo di penna (intinta nel cianuro) e non di chitarra, e quindi ci consegna poesie-racconti, testi autobiografici, pagine di diario. Immagino che possa considerarsi l’unico poeta che ha dedicato dei versi a Gwen Stacy, e che spiega le sue fonti di ispirazione scrivendo: “noi che leggevamo Lovecraft, Pirandello e Zagor”. Applausi per lui ma anche per il disegnatore Paolo Massagli, chiamato a illustrare il volume.



giovedì 28 agosto 2025

VERITIERE MEMORIE DEL DOCTEUR MYSTERE



 
Alfredo Castelli
Lucio Filippucci
VERITIERE MEMORIE DEL DOCTEUR MYSTERE
Sergio Bonelli Editore
2024, cartonato
256 pagine, 32 euro

Sulle pagine del n° 397 (marzo 2023) di Martin Mystère,  Alfredo Castelli scriveva: “Dopo aver vagabondato per parecchi anni in varie Case editrici e straniere, Docteur Mystère è tornato all’ovile e presto (non subitissimo, ma siamo così felici dell’avvenimento che non vedevamo l’ora di annunciarlo) uscirà un ricco volume di formato oblungo con tre storie mai ristampate da venti anni, riviste e integrate con nuove tavole”. Castelli (classe 1947) ci ha poi lasciato nel febbraio 2024, senza vedere pubblicato il tomo “oblungo”, dato alle stampe nel novembre dello stesso anno. Il formato è effettivamente singolare (lo vedete nella foto qui sopra) ma funzionale alla riproposta delle avventure di Docteur Mystère sottoforma di strisce simili a quelle pubblicate, dagli inizi del Novecento in poi, sui giornali quotidiani americani (le “daily strips”). Una soluzione grafica senza dubbio adatta al tipo di racconto, volutamente ma solo apparentemente retrò sia dal punto di vista grafico che da quello delle trame. Dico “solo apparentemente” perché poi basta leggere per rendersi conto di come sotto la patina vintage si celano (neanche troppo) elementi narrativi del tutto contemporanei: contaminazioni multimediali, paradossi, citazioni, audaci collegamenti, camei, easter eggs e inside jokes, omaggi e parodie, il tutto confezionato con una libertà di ispirazione e di espressione invidiabile e magistrale.
Scrive Carlo Recagno nella sua introduzione: “Si tratta di avventure scanzonate, da non prendere troppo sul serio, con quell’umorismo al limite del demenziale che Castelli non poteva inserire nella serie ‘Martin Mystère’, un eroe che doveva mantenersi ‘serio’. Storie nelle quali i protagonisti nei loro viaggi incontravano bizzarri personaggi tra realtà e invenzione letteraria, prendendo in giro i luoghi comuni dei romanzi d’avventura dell’Ottocento e del primo Novecento. Storie in cui i personaggi del ‘Mago di Oz’ si fondevano con quelli di ‘Miracolo a Milano’, con il protagonista del ‘Fantasma dell’Opera’ che aiutava a sconfiggere il mefistofelico Fu Manchu. E come se non bastasse, il nemico giurato del Docteur era un improbabile Maresciallo Radetzky trasformato in uno sgangherato genio del male da cartone animato, che aveva come animale da compagnia un topo”.
Ma chi è il Docteur Mystère? E che c’entrano lui e il suo assistente Cigale con Martin Mystère, il personaggio creato da Alfredo Castelli nel 1982 e che gli è sopravvissuto? L’ho spiegato in una recensione pubblicata su questo blog a proposito di un volume edito da Cut-Up Publishing, intitolato “I due dottori”,  che potete leggere cliccando sul titolo colorato. Ne riporto qui di seguito i punti essenziali, che cercherò di riepilogare.
Lo scrittore francese Paul Deleutre (1856-1915), che si firmava con lo pseudonimo di Paul d'Ivoi, fu autore di molti romanzi e racconti d'avventura che si inserivano nel filone dei "Viaggi straordinari" di Jules Verne. Fra questi, pubblicò nel 1900 il romanzo "Docteur Mystère", illustrato (come all'epoca si usava) con tavole di Louis Bombled. Protagonista ne era un ricco e presumibilmente nobile indiano, il cui vero nome rimane ignoto e che si fa chiamare così come risulta dal titolo in copertina. Costui, caratterizzato da una cultura enciclopedica e dal fatto di viaggiare su un "Hotel Elettrico" di sua invenzione, ha come assistente un giovane francese, trovatello, soprannominato Cigale, ed è giunto in Europa per compiervi una missione misteriosa. Mentre il Docteur non compare più, se non di sfuggita, in altri romanzi di d'Ivoi, Cigale invece diviene protagonista di una serie tutta sua. Trascorso quasi un secolo, nel 1994, Alfredo Castelli scopre in una libreria antiquaria una edizione di "Docteur Mystère", si incuriosisce per la corrispondenza del nome del personaggio principale con quello di Martin Mystère, l'eroe a fumetti da lui creato, e decide di inserire il ricco indiano di d'Ivoy nella saga del suo Detective dell'Impossibile, facendone un antenato. Come conciliare, però, i tratti somatici WASP di Martin con le sembianze etniche tipiche dell'India del Docteur? In una storia del 1996 Castelli spiega che Cigale era stato adottato dal suo mentore, assumendone come cognome proprio "Mystère". Quindi Martin Mystère si rivela essere discendente dal trovatello francese e giustamente può avere i capelli biondi. Il Buon Vecchio Zio Alfy non si ferma qui: nel 1998 trasforma il Docteur Mystére e Cigale in protagonisti di avventure scritte ex novo (da lui e da Carlo Recagno) pubblicate in albi fuori serie del Buon Vecchio Zio Marty (gli Almanacchi del Mistero) e ristampate poi in volumi cartonati, in Italia e all’estero (con apparizioni persino su spillati distribuiti in occasione di fiere e su quotidiani). Le caratteristiche dei due personaggi, ricreati graficamente da Lucio Filippucci, risultano un po' diverse da quelle degli eroi di d'Ivoi, ma resta il sapore della letteratura d'appendice e il fascino dell'ambientazione ottocentesca o d'inizio Novecento, il tutto contaminato con un sottofondo di brioso umorismo, un pizzico di elementi sexy, ed esotismo.
Il tomo “oblungo” dal titolo “Veritiere memorie del Docteur Mystère raccontate da lui medesimo ai famosi artisti Castelli & Filippucci” raccoglie, nel formato “a striscia” di cui si è detto, le ultime tre avventure che non erano ancora state ristampate. La prima, datata dicembre 1988, apparve in prima edizione sull’ “Almanacco del Mistero 1999, e fin dal titolo (“Gli scorridori del Selvaggio West”) dichiara l’intenzione di vedere il Docteur Mystére, Cigale e il loro “Hotel Elettrico” (una specie di camper-autotreno) alle prese con gli stereotipi del western. Stereotipi che Castelli stravolge non soltanto trascinando Radetzky nel Lontano Ovest ma anche svelando che Calamity Jane è in realtà l’italianissima Bella Gigogin. La seconda storia, “Gli orrori del castello maledetto”, pubblicata per la prima volta sull’ “Almanacco del Mistero 2004”, ha per scenari quelli gotici dei racconti di paura ambientati sui Carpazi o in Transilvania, con un tenebroso maniero abitato da un vampiro e un gobbo di nome Igor. Non mancano il solito Radtzky e il suo topo. La terza avventura, “La donna caduta dal cielo” (pubblicato inizialmente sullo speciale “Martin Mystère: Generazioni” del 2003), ambientata nella Londra dickensiana, non porta la firma di Castelli, sostituito ai testi (fornendo un’ottima prova) da Carlo Recagno, il quale, da appassionato “trekker” qual è, inserisce nella storia collegamenti con i viaggi nel tempo e, appunto, a Star Trek, riuscendo a farci stare anche due personaggi tolti di peso dalla saga mysteriana, Dee e Kelly.  Ogni storia è introdotta da un brevissimo prologo in cui compare Martin Mystère che riceve, in modo sempre originale e diverso, un plico inviatogli dallo zio Paul,  contenente il resoconto dell'avventura che sta per cominciare, spacciato come un estratto dai "veritieri" diari dell'antenato Docteur. Confido in altri volumi “oblunghi”.


mercoledì 20 agosto 2025

LA FUGA DEL SIGNOR MONDE

 

Georges Simenon
LA FUGA DEL SIGNOR MONDE
Adelphi
2011, brossura
160 pagine, 18 euro

La produzione letteraria di Georges Simenon (1903-1989) si divide in romanzi con Maigret e senza Maigret.  Entrambi i gruppi di opere sono sterminati: in totale, più di quattrocento titoli (senza contare racconti, articoli e saggistica). L’autore era in grado di scrivere ottanta pagine al giorno, senza che la quantità andasse a discapito della qualità. Si racconta di una telefonata di Alfred Hitchcock allo scrittore: “Monsieur Simenon è impegnato nella stesura di un romanzo”, spiega la segretaria. E il regista: “Va bene, attendo in linea”. 
I casi del celebre commissario iniziano a venire pubblicati nel 1931, ottenendo un grande successo di pubblico, pubblico che Simenon non volle mai deludere giungendo a dare alle stampe settantacinque romanzi  con protagonista Maigret. Parallelamente, però, firmò con regolarità anche quelli che lui definiva i romans durs: pur ritenendoli la sua produzione migliore, non rinnegò mai, giustamente, i suoi polizieschi. Insomma, ecco uno scrittore di genere che avrebbe meritato il Nobel per la Letteratura, che non ebbe forse proprio per la spocchia degli accademici svedesi messi di fronte a un autore (anche) di  gialli.  
Alcuni dei “romanzi duri” sono autentici capolavori: de “L’uomo che guardava passare i treni” (1938) abbiamo parlato in questo stesso spazio (come di molti altri). Cito questo titolo perché, in qualche modo, “La fuga del signor Monde” (1932) si può collegare alla fuga di Kees Popinga. C’è un altro paragone possibile, quello con “Il fu Mattia Pascal” (1904) di Luigi Pirandello, tolti i risvolti da commedia. In tutti questi casi un uomo improvvisamente scompare, fuggendo dalla gabbia della propria vita precedente, da una famiglia, da un trantran intollerabile. Norbert Monde è il più ricco dei tre, e si allontana da Parigi, a bordo di un treno, dopo aver cambiato aspetto, con trecentomila franchi appena ritirati in contanti dal proprio conto in banca. Un gesto improvviso, ma non inaspettato per lui che lo mette in atto: «Probabilmente lo aveva sognato spesso, o ci aveva pensato così tanto che adesso aveva l’impressione di compiere gesti già compiuti». A differenza di quella di Kees Popinga, l’uomo che guardava passare i treni, il signor Monde non va incontro a esperienze drammatiche, a parte il furto del denaro che subisce quasi subito ma che non lo turba più di tanto vista l’ansia di libertà che lo pervade. L’affascinante scrittura di Simenon, coinvolgente e musicale, ci incanta descrivendo non solo i moti dell’animo del protagonista ma i tanti ambienti che si trova ad attraversare (in particolare di Marsiglia e di Nizza) e la variegata umanità con cui entra in contatto, mentre a Parigi moglie e figli lo cercano. Da ricordare la figura dell’entraineuse Julie, con cui Monde instaura una relazione libera e senza vincoli. La fuga di Norbert si rivela un percorso di crescita interiore che gli fa raggiungere una piena consapevolezza di se stesso, e che giustifica il finale decisamente sorprendente. Un romanzo senza alcun elemento poliziesco (se non per la denuncia di scomparsa presentata alla Polizia dalla moglie del protagonista), non il migliore di Simenon, ma consigliabile come ogni romanzo dello scrittore belga.






lunedì 4 agosto 2025

LA SARDEGNA PREISTORICA

 
 
 

 
Paolo Melis
LA SARDEGNA PREISTORICA
Carlo Delfino Editore
2022, brossura
96 pagine, 10 euro

Durante una vacanza sulle spiagge nei pressi di Oristano, vicino ai resti della città di Tharros (fondata dai Cartaginesi nel VII secolo avanti Cristo), subito dopo una visita al Museo Archeologico di Cagliari, leggo tutto d'un fiato un breve libro sulla Sardegna preistorica, saggio ricco di illustrazioni che ha però l’unico difetto di finire prima di trattare della civiltà nuragica (del resto il titolo non lo prometteva). Quel che ho letto, mi conferma nella convinzione che la Sardegna sia la regione italiana cui più di ogni altra si dovrebbe scavare e indagare archeologicamente, essendo la terra con più misteri e con le più antiche civiltà. Paolo Melis consegna ai suoi lettori un compendio sintetico e divulgativo decisamente ben fatto, nonostante il breve spazio a disposizione. Non manca però una ricca bibliografia per chi volesse approfondire gli argomenti, così come molto utile si rivela il glossario  (da “Absidato” a “Ziggurath”) collocato in appendice. Leggendo apprendiamo come la Sardegna cominci a essere abitata dall’uomo a partire da circa mezzo milione di anni fa, probabilmente da gruppi di Homo Erectus, giunti attraversando il Tirreno grazie a una regressione marina  causata da una glaciazione del Pleistocene Medio, che portò a unire la parte più orientale della Corsica a quelle che adesso sono isole dell’Arcipelago Toscano, all’epoca unite al continente. Una seconda ondata di arrivi avvenne, sempre per un abbassamento del livello del mare, intorno a 165.000 anni fa, e una terza e ultima immigrazione via terra portò gli Homo Sapiens e i Neanderthaliani circa 70.000 anni avanti Cristo. Da quel momento in poi le acque smisero di abbassarsi e rialzarsi, la Sardegna restò circondata dal Mediterraneo e i successivi visitatori vi arrivarono in barca, dato che gli uomini dei Neolitico avevano scoperto la navigazione. Il più antico ritrovamento di resti umani sull’isola risale a 20.000 anni fa, ma numerosi sono i reperti litici o i segni di manipolazione dell’uomo di ossa di animali risalenti a epoche precedenti. La “Venere di Macomer”, raffigurazione della dea madre, è l’unica attestazione di arte paleolitica finora rinvenuta (12.000 anni fa). Paolo Melis elenca tutta una serie di Culture (quella di Bonuighinu, 5000 anni avanti Cristo; quella di Ozieri , 4000 anni, quella di Monte Claro, 3000 anni) caratterizzate dalla produzioni di vasi, punte di frecce, attrezzi, e da un progressivo aumentare delle decorazioni artistiche. Si parla poi delle caratteristiche degli insediamenti, con la forma delle capanne ricostruita grazie alle riproduzioni nelle tombe ipogee (le “domus de janas”), si accenna ai dolmen, ai menhir, alle mura ciclopiche, allo ziggurath di Monte d’Accorddi, chiaramente un luogo sacro, agli scavi di ossidiana, oggetto di commercio con altri popoli. Con l’età del rame si conclude il saggio di Melis, per proseguire la scoperta della storia sarda non resta che cercare notizie su un altro libro che riprenda dove si interrompe questo. Per esempio, potrebbe essere utile un saggio di cui abbiamo già parlato su questo stesso blog: "Sardegna nuragica", di Giovanni Lilliu