Arturo Pérez-Reverte
LA TAVOLA FIAMMINGA
Bompiani
Brossurato, 1999
320 pagine - lire 26.000
Grande scrittore, Pérez-Reverte (1951), fin dagli esordi. “La tavola fiamminga” è del 1990, terza opera narrativa dopo “L’ussaro” (1986) e “Il maestro di scherma” (1988). Abilissimo nelle ricostruzioni storiche (di grande successo il ciclo del suo “Capitan Alatriste”), l’autore spagnolo eccelle anche nel giallo. Lo dimostra appunto in questa sua opera in cui le indagini per scoprire un assassino costituiscono l'asse portante e assolutamente dominante della narrazione. Tuttavia, per quanto la storia di detection costituisca l'oggetto del romanzo, non si tratta di un giallo tradizionale. Del resto, a posteriori, è facile capire che non avrebbe potuto esserlo: Pérez-Reverte è un autore con una propria cifra stilistica personale e inconfondibile, e le sue trame poggiano sempre su una robusta documentazione e su una straordinaria cultura, quasi una erudizione, per rimanda continuamente al passato, alla letteratura, alla musica, alla pittura. Se nel "Club Dumas" al centro del romanzo ci sono i libri antichi, qui c'è una tavola dipinta alla fine del Quattrocento da un pittore fiammingo, Pieter Van Huys, raffigurante due giocatori di scacchi e una dama in nero che li osserva dallo sfondo. Julia, la restauratrice chiamata a intervenire sul quadro in vista di un'asta miliardaria scopre che lo stesso pittore, cinquecento anni prima, aveva celato sotto i colori una scritta: "Quis necavit equitem", e cioè: chi ha ucciso il cavaliere? Ricostruendo la storia del quadro e identificando le figure, storiche, che vi compaiono, Julia appura che uno dei due personaggi maschili era morto da poco quando la tavola fu dipinta, ucciso misteriosamente per colpa di una congiura di palazzo. Poiché la vittima fu amico del pittore, è chiaro che Van Huys volle indicare chi lo aveva ucciso proprio utilizzando il quadro. Un vecchio amico di Julia, un antiquario omosessuale di nome Cesar, ritiene che la soluzione dell'enigma sua nella scacchiera che compare nel dipinto, e mette la ragazza in contatto con Munoz, esperto scacchista. Costui, sia pure con qualche difficoltà, ricostruisce la partita che si sta giocando nel quadro e scopre chi é che ha "mangiato" l'unico cavallo, quello bianco, che manca nella scacchiera raffigurata. Si scopre chi è stato giocando la partita a ritroso e si giunge alla soluzione del giallo di cinque secoli prima. Però, intanto, qualcuno interessato al quadro uccide anche nel presente, attorno a Julia, e ben presto è chiaro che è qualcuno che continua a identificarsi con colui che "mangia" personaggi facilmente identificabili con altri pezzi, come Menchu Roch, attempata ninfomane gallerista, amica di Julia, il cui cognome significa appunto "Torre”. Molto cerebrale la spiegazione del perché e del percome, al pari della descrizione delle mosse degli scacchi, fatte con il corredo di schemi illustrati, e l'illustrazione della filosofia sottile della partita che si sta giocando. Tutto assolutamente intrigante.
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