Giovanni Lilliu
SARDEGNA NURAGICA
Il Maestrale
brossurato, 2019
146 pagine, 13 euro
Giovanni Lilliu (1914-2012), archeologo di fama internazionale, è stato uno dei più illustri studiosi delle antichità sarde e uno dei primi a far conoscere, in ambito accademico e anche divulgativo, al di là delle leggende e del velo di mistero, la complessità delle civiltà che si svilupparono in Sardegna dal paleolitico fino all'età dei nuraghi. Questo agile libretto, che ha l'apparenza di una guida turistica (ricco com'è di illustrazioni), è un compendio portatile dei suoi principali scritti. Quel che colpisce il profano è la ricchezza di resti, molti ancora da studiare e chissà quanti da scoprire, che gli antichi sardi hanno lasciato: resti che non si limitano, e già sarebbe tanto, alle migliaia e migliaia di nuraghi (dal vocabolo "nur", mucchio o accumulo) che costellano la Sardegna in ogni direzione, ma comprendono anche domus de janas (case delle fate, tombe ipogee), dolmen e menhir, resti di capanne e di interi villaggi, luoghi di culto, statue colossali, tombe dei giganti (sepolcri collettive di grandi dimensioni), uno ziggurat, bronzi che raffigurano personaggi dei vari ceto sociali. Gli stessi nuraghi, il lascito più evidente degli antichi popoli, non hanno forme e strutture riconducibili a un unico modello replicato, ma dimostrano una evoluzione (e dunque raccontano una storia) lungo i secoli, tra il 1800 e il 300 avanti Cristo. Ce ne sono di più antichi e più recenti, a un solo piano, a due piani, a tre piani, isolati o al centro di un complesso di dimensioni notevoli, ma anche costruiti a forma di corridoio. Lilliu descrive le tipologie dei resti che ci sono pervenuti, facendoci stupire per la varietà e la diffusione sul territorio. Non si inoltra però nella descrizione più elaborata del popolo (o dei popoli, visti i 1500 anni di storia attraversati dai nuragici) dei nuragici, non parla degli Shardana, citati dalle fonti egizie del II millennio a.C, come facenti parte della coalizione dei popoli del Mare: la loro identificazione con gli antichi sardi è ancora oggetto di dibattito archeologico. Li cita, però, in un passaggio a pagina 94, come "Sherdanw" e dice che sono scolpiti in monumenti dell'antico Egitto. Dunque, lo studioso si tiene sul concreto: dai bronzetti sappiamo che c'erano guerrieri (molti arcieri), fedeli di divinità sotterrare che portavano offerte agli dei (ex-voto), signori con il mantello e il bastone del comando. Le torri più alte dei nuraghi erano soprattutto il simbolo di un potere, un luogo del comando attorno a cui cui stringeva per difendersi. Tutto questo finì con l'arrivo dei romani (o forse prima), e seguì l'oblio sulla più antica (incredibilmente antica) cultura italiana, della quale si parla sempre poco (incredibilmente poco), mentre ci sarebbe da studiare, scavare, indagare, per riportare alla luce non soltanto i reperti, ma la storia di un popolo che rivaleggiò con gli egizi e i fenici.
SARDEGNA NURAGICA
Il Maestrale
brossurato, 2019
146 pagine, 13 euro
Giovanni Lilliu (1914-2012), archeologo di fama internazionale, è stato uno dei più illustri studiosi delle antichità sarde e uno dei primi a far conoscere, in ambito accademico e anche divulgativo, al di là delle leggende e del velo di mistero, la complessità delle civiltà che si svilupparono in Sardegna dal paleolitico fino all'età dei nuraghi. Questo agile libretto, che ha l'apparenza di una guida turistica (ricco com'è di illustrazioni), è un compendio portatile dei suoi principali scritti. Quel che colpisce il profano è la ricchezza di resti, molti ancora da studiare e chissà quanti da scoprire, che gli antichi sardi hanno lasciato: resti che non si limitano, e già sarebbe tanto, alle migliaia e migliaia di nuraghi (dal vocabolo "nur", mucchio o accumulo) che costellano la Sardegna in ogni direzione, ma comprendono anche domus de janas (case delle fate, tombe ipogee), dolmen e menhir, resti di capanne e di interi villaggi, luoghi di culto, statue colossali, tombe dei giganti (sepolcri collettive di grandi dimensioni), uno ziggurat, bronzi che raffigurano personaggi dei vari ceto sociali. Gli stessi nuraghi, il lascito più evidente degli antichi popoli, non hanno forme e strutture riconducibili a un unico modello replicato, ma dimostrano una evoluzione (e dunque raccontano una storia) lungo i secoli, tra il 1800 e il 300 avanti Cristo. Ce ne sono di più antichi e più recenti, a un solo piano, a due piani, a tre piani, isolati o al centro di un complesso di dimensioni notevoli, ma anche costruiti a forma di corridoio. Lilliu descrive le tipologie dei resti che ci sono pervenuti, facendoci stupire per la varietà e la diffusione sul territorio. Non si inoltra però nella descrizione più elaborata del popolo (o dei popoli, visti i 1500 anni di storia attraversati dai nuragici) dei nuragici, non parla degli Shardana, citati dalle fonti egizie del II millennio a.C, come facenti parte della coalizione dei popoli del Mare: la loro identificazione con gli antichi sardi è ancora oggetto di dibattito archeologico. Li cita, però, in un passaggio a pagina 94, come "Sherdanw" e dice che sono scolpiti in monumenti dell'antico Egitto. Dunque, lo studioso si tiene sul concreto: dai bronzetti sappiamo che c'erano guerrieri (molti arcieri), fedeli di divinità sotterrare che portavano offerte agli dei (ex-voto), signori con il mantello e il bastone del comando. Le torri più alte dei nuraghi erano soprattutto il simbolo di un potere, un luogo del comando attorno a cui cui stringeva per difendersi. Tutto questo finì con l'arrivo dei romani (o forse prima), e seguì l'oblio sulla più antica (incredibilmente antica) cultura italiana, della quale si parla sempre poco (incredibilmente poco), mentre ci sarebbe da studiare, scavare, indagare, per riportare alla luce non soltanto i reperti, ma la storia di un popolo che rivaleggiò con gli egizi e i fenici.
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