GESU' MESSIA DI ISRAELE
di David Donnini
Uno Editori
2015, brossurato
180 pagine, 13.90 euro
Seguo da molti anni gli studi di David Donnini sulla figura storica di Gesù. Ritengo Donnini un ottimo divulgatore (anche se non accademico), estremamente chiaro nella disamina di argomenti molto complicati e di materie da maneggiare con cautela. Da trent'anni di occupa di religioni orientali e di storia delle origini del Cristianesimo. Ha viaggiato in lungo e in largo la Palestina, si è interessato dei manoscritti di Qumran, non propone letture aliene o di fantarcheologia della Bibbia (come il sempre meno credibile Mauro Biglino) ma si attiene al compito di compendiare quello che gli studi più aggiornati della letteratura scientifica nel campo della filologia biblica e delle ricostruzioni storiche sono giunte ad appurare. Sono stati compiuti infatti molti passi in avanti, negli ultimi decenni, nell'esegesi dei Vangeli dal punto di vista dell'attendibilità storica, e persino un libro Emmanuel Carrere, con il suo bestseller "Il Regno" ha di recente potuto ricostruire le biografie dell'evangelista Luca e del suo maestro Paolo di Tarso basandosi appunto sul nuovo quadro interpretativo che emerge dagli studi accademici non confessionali sul Nuovo Testamento. In questo stesso spazio abbiamo parlato di recente dell' ultimo saggio di Bart D. Ehrman, eminente biblista americano. Donnine non è apocalittico, non mette in dubbio la fede in Dio, ma si limita a questo intento: "desidero offrire ai lettori un'analisi divulgativa, cercando di evitare lo stile accademico che relega questo tipo di opere a un pubblico ristretto, in possesso di una preparazione specifica. Per troppo tempo, e troppo spesso ancora, le narrazioni evangeliche sono state pregiudizialmente ritenute verità indiscutibili, al punto da sorvolare superficialmente su alcune loro palesi contraddizioni, considerate come scusabili imprecisioni o innocenti distrazioni, del tutto ininfluenti. Si è preteso per secoli che i racconti della passione testimoniassero una serie di eventi accaduti realmente così come sono descritti, non vedendo, o fingendo di non vedere, che alcuni punti rappresentano delle contraddizioni o delle inverosimiglianze storiche così palesi da mettere in discussione tutto l'impianto. I cristiani oggi continuano spesso a conoscere i passi del Vangelo solo attraverso la lettura e il commento domenicale eseguiti dal sacerdote nel corso della messa. Ho notato che sovente i cristiani, proprio quelli che non mancano mai di frequentare gli appuntamenti liturgici, sono piuttosto ignoranti delle scritture e, tanto più, delle possibili contraddizioni che al loro interno sono contenute. E quando vengono loro fare notare, assumono un atteggiamento indifferente o sospettoso, se non di palese resistenza, affermando che 'esisterà senz'altro una spiegazione'. L'idea dell'infallibilità del Nuovo Testamento è un baluardo che tiene lontana ogni ombra di dubbio".
Fin qui Donnini. Personalmente non credo che sia blasfemo o eretico il ritenere i Vangeli frutto dell'opera di quattro (o più, com'è probabile) evangelisti e di secoli e secoli di copiature di amanuensi, in grado di aggiungere ed emendare parole o interi brani come capita in tutti i testi dell'antichità scritti a mano per migliaia di anni prima dell'invenzione della stampa. Non si mette in dubbio la storicità della figura del Cristo, né la grandezza del suo messaggio arrivato più o meno filtrato fino a noi, né la carismaticità della sua persona. Si tratta di capire cosa realmente successe in Palestina negli anni della sua predicazione, in quale contesto socio-politico essa avvenne, e come questi fatti possano essere stati raccontati nei secoli successivi dagli uomini che ne scrissero (nessuno dei quali testimone diretto). Ora, io non so se Bart D. Ehrman o David Donnini (come cento altri loro colleghi del medesimo avviso, più o meno sfumato) abbiano ragione: mi limito a prendere atto che esistono tesi diverse da quelle che mi hanno insegnato a catechismo. Per esempio, a me venne detto che Gesù non aveva fratelli, non era sposato, era originario di Nazareth e venne crocifisso dagli ebrei. Un sempre maggior numero di studiosi, a torto o a ragione, crede che invece avesse moglie, fratelli e figli, che possa essere nato e cresciuto a Gamala (Nazareth neppure esisteva), e che i responsabili della sua morte fossero, sic et sempliceter, i romani, i cui metodi spicci erano tali da portare al patibolo le teste calde fra gli ebrei (popolo ribelle quant'altro mai) con una frequenza e una facilità da far impressione. La versione secondo la quale, al contrario, Gesù fu vittima delle trame dei capi del suo stesso popolo e del voltafaccia degli ebrei (sui quali il suo sangue era destinato a ricadere) rientra, in questa logica, in un tentativo (iniziato da San Paolo, "inventore" del Cristianesimo) di separare i destini dei seguaci di Gesù da quelli degli Ebrei che, nel 70 dopo Cristo, vennero praticamente sterminati dai romani per chiudere con la loro guerriglia irriducibile. Se Gesù fosse stato visto come un ribelle giudeo, il Cristianesimo non avrebbe potuto diffondersi a Roma. Mi scuserà Donnini se banalizzo e riassumo in così poche frasi le articolate argomentazioni sa lui usate per compendiare studi ancora più complessi di una schiera di storici e biblisti.
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