Yuval Noah Harari
HOMO DEUS
Bompiani
Brossurato, 2019
550 pagine
Una lettura affascinante e inquietante al tempo stesso. “Difficile immaginare qualcuno che nel leggere questo libro non provi ogni tanto un brivido di vertigine”, ha scritto “The Guardian”, e io sostituirei “ogni tanto” con “a ogni pagina”. Yuval Noah Harari (1976), saggista israeliano, storico laureato a d Oxford e titolare di una cattedra di storia all’università di Gerusalemme, attivista per i diritti civili e animalista, potrebbe anche fregiarsi del titolo di “futurologo” con cui venne etichettato Roberto Vacca dopo aver scritto, nel 1971, “Il medioevo prossimo venturo”: entrambi cercano di prevedere l’evoluzione della civiltà e della società umana (il sottotitolo di "Homo Deus" è "Breve storia del futuro"). Rispetto alle ipotesi dello studioso italiano, però, il saggio di quello israeliano non prevede una regressione della civiltà per la degradazione dei massimi sistemi destinati a divenire insostenibili, ma uno scontro fra uomo e intelligenze artificiali. Semplificando al massimo, secondo Harari si possono interpretare gli organismi viventi come algoritmi (che cos’è il DNA se non una serie di istruzioni?) e la vita come un processo di elaborazione dati. I computer sono ormai in grado di imparare da soli, correggere i propri errori, trovare strade e soluzioni alternative prima e meglio di come possano fare i cervelli umani, perciò “algoritmi non coscienti e inconsapevoli ma dotati di grande intelligenza potranno presto conoscerci meglio di quanto noi conosciamo noi stessi”, scrive Harari. E’ singolare che il nome Harari ricordi quello di Hari Seldon, lo scienziato nato dalla fantasia di Isaac Asimov, protagonista della saga fantascientifica “Fondazione”, il cui primo volume venne pubblicato nel 1951: Seldon ritiene che il corso della Storia, o meglio, il comportamento di grandi masse di persone (l’umanità nel suo complesso), si possa prevedere su base matematica, disponendo dei dati necessari. Impossibile non notare come l’elaborazione dei “big data” già permetta ai giorni nostri di fare previsioni attendibili sulle scelte non degli utenti di Internet e dei social. Harari esamina lo sviluppo storico della civiltà dell’Homo Sapiens, divenuta ormai la specie dominante sulla Terra con il potete di vita e di morte sulle altre creature e sul destino dell’intero pianeta: siamo già “Homo Deus”. Che cosa accadrà, adesso? Nessuno dice che la nostra evoluzione sia finita, e potrebbe anche accadere che siamo destinati a trasformarci in qualcosa di molto diverso, forse a essere sostituiti da intelligenze nate come artificiali ma in grado di prendere il nostro posto come noi abbiamo fatto con gli uomini di Neanderthal. Il che potrebbe non essere un male e rappresentare anzi l’approdo finale all’immortalità e alla felicità eterna. Di nuovo, viene in mente Asimov con il suo racconto “Biliardo darwiniano” (Darwinian Pool Room, 1950), in cui si ipotizza che la naturale evoluzione dell’essere umano siano i robot. Ma c’è qualcosa di ancora più clamoroso. A pagina 466, Harari scrive: “Gli umani sono meri strumenti per creare un sistema cosmico di elaborazione dati che sarebbe come Dio. Potrebbe alla fine espandersi dal pianeta Terra e invadere l’intera galassia e perfino tutto l’universo. Sarebbe dovunque e controllerebbe tutto quanto, gli uomini sono destinati a fondersi in Lui”. Ora, andate a rileggere uno dei caposaldi asimoviani, il racconto “L’ultima domanda” (The Last Question, 1956): è diviso in sette parti, ognuna delle quali immagina una sempre maggiore evoluzione della scienza e dell’umanità, finché gli uomini si fondono con la coscienza di un elaboratore dati divenuto ormai in grado di fare tutto, compreso creare un nuovo universo.
HOMO DEUS
Bompiani
Brossurato, 2019
550 pagine
Una lettura affascinante e inquietante al tempo stesso. “Difficile immaginare qualcuno che nel leggere questo libro non provi ogni tanto un brivido di vertigine”, ha scritto “The Guardian”, e io sostituirei “ogni tanto” con “a ogni pagina”. Yuval Noah Harari (1976), saggista israeliano, storico laureato a d Oxford e titolare di una cattedra di storia all’università di Gerusalemme, attivista per i diritti civili e animalista, potrebbe anche fregiarsi del titolo di “futurologo” con cui venne etichettato Roberto Vacca dopo aver scritto, nel 1971, “Il medioevo prossimo venturo”: entrambi cercano di prevedere l’evoluzione della civiltà e della società umana (il sottotitolo di "Homo Deus" è "Breve storia del futuro"). Rispetto alle ipotesi dello studioso italiano, però, il saggio di quello israeliano non prevede una regressione della civiltà per la degradazione dei massimi sistemi destinati a divenire insostenibili, ma uno scontro fra uomo e intelligenze artificiali. Semplificando al massimo, secondo Harari si possono interpretare gli organismi viventi come algoritmi (che cos’è il DNA se non una serie di istruzioni?) e la vita come un processo di elaborazione dati. I computer sono ormai in grado di imparare da soli, correggere i propri errori, trovare strade e soluzioni alternative prima e meglio di come possano fare i cervelli umani, perciò “algoritmi non coscienti e inconsapevoli ma dotati di grande intelligenza potranno presto conoscerci meglio di quanto noi conosciamo noi stessi”, scrive Harari. E’ singolare che il nome Harari ricordi quello di Hari Seldon, lo scienziato nato dalla fantasia di Isaac Asimov, protagonista della saga fantascientifica “Fondazione”, il cui primo volume venne pubblicato nel 1951: Seldon ritiene che il corso della Storia, o meglio, il comportamento di grandi masse di persone (l’umanità nel suo complesso), si possa prevedere su base matematica, disponendo dei dati necessari. Impossibile non notare come l’elaborazione dei “big data” già permetta ai giorni nostri di fare previsioni attendibili sulle scelte non degli utenti di Internet e dei social. Harari esamina lo sviluppo storico della civiltà dell’Homo Sapiens, divenuta ormai la specie dominante sulla Terra con il potete di vita e di morte sulle altre creature e sul destino dell’intero pianeta: siamo già “Homo Deus”. Che cosa accadrà, adesso? Nessuno dice che la nostra evoluzione sia finita, e potrebbe anche accadere che siamo destinati a trasformarci in qualcosa di molto diverso, forse a essere sostituiti da intelligenze nate come artificiali ma in grado di prendere il nostro posto come noi abbiamo fatto con gli uomini di Neanderthal. Il che potrebbe non essere un male e rappresentare anzi l’approdo finale all’immortalità e alla felicità eterna. Di nuovo, viene in mente Asimov con il suo racconto “Biliardo darwiniano” (Darwinian Pool Room, 1950), in cui si ipotizza che la naturale evoluzione dell’essere umano siano i robot. Ma c’è qualcosa di ancora più clamoroso. A pagina 466, Harari scrive: “Gli umani sono meri strumenti per creare un sistema cosmico di elaborazione dati che sarebbe come Dio. Potrebbe alla fine espandersi dal pianeta Terra e invadere l’intera galassia e perfino tutto l’universo. Sarebbe dovunque e controllerebbe tutto quanto, gli uomini sono destinati a fondersi in Lui”. Ora, andate a rileggere uno dei caposaldi asimoviani, il racconto “L’ultima domanda” (The Last Question, 1956): è diviso in sette parti, ognuna delle quali immagina una sempre maggiore evoluzione della scienza e dell’umanità, finché gli uomini si fondono con la coscienza di un elaboratore dati divenuto ormai in grado di fare tutto, compreso creare un nuovo universo.
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