Giorgio Scerbanenco
VENERE PRIVATA
Garzanti
2014, brossurato
250 pagine, 8.90 euro
Concludendo la lettura di “Venere privata” di Giorgio Scerbanenco mi è venuto immediato un paragone con Georges Simenon. La Milano di Duca Lamberti (l’investigatore sui generis scerbanenchiano) è osservata con occhi simili alla Parigi di Maigret, con attenzione alla reale topografia, ai nomi dei quartieri e delle strade, e le indagini sono condotte tra gente vera, descritta nelle miserie e nelle debolezze al di là delle differenze sociali. E poi ci sono l’alcol, il fumo, la prostituzione, la pornografia, le nevrosi, la polvere, il sudore, le stanze d’albergo e gli appartamenti. C’è la malavita, organizzata e non, c’è la quotidianità di una città calata nel tempo (per Scerbanenco, gli anni Sessanta). C’è una centrale di polizia che non è nel Quai des Orfèvres ma in via Fatebenefratelli, e ci sono i poliziotti ricorrenti e riconoscibili per tratti caratteriali diversi fra loro. C’è un personaggio carismatico burbero e taciturno, Duca Lamberti, in realtà parecchio più problematico di Julius Maigret e con una concezione un po’ particolare della giustizia, ma al pari del francese con le idee chiare su come affrontare le situazioni e gli interrogatori, su come leggere nella testa degli interlocutori al di là di ciò che dicono le apparenze o di ciò che essi vogliono dare a bere. Due grandi scrittori, Simenon e Scerbanenco, peraltro contemporanei, e altrettanto versatili e prolifici. Peccato che la saga di Duca Lamberti conti appena quattro romanzi contro i settantacinque di Maigret. Per fortuna c'è molto altro e il consiglio è di leggere quanto più Scerbanenco possibile, iniziando magari proprio da “Venere privata”. Lo scrittore milanese (ma solo d’adozione) è in realtà nato a Kiev nel 1911 (quando c’era ancora lo zar) da padre ucraino e da madre italiana. Dopo la rivoluzione, il padre venne ucciso (come molti insegnanti) dai bolscevichi e la madre tornò a Roma, sua città di origine, attraverso un rocambolesco rimpatrio via Odessa e Istanbul, portandosi dietro il figlio. Lo racconta lo stesso scrittore in un suo brillante articolo autobiografico che Garzanti pubblica in appendice al romanzo: “Io, Vladimir Scerbanenko”. Non ancora ventenne, dopo aver italianizzato il suo nome, Scerbanenco si trasferisce a Milano, dove non ha vita facile, sia per le condizioni economiche famigliari sia per lo stato di salute (viene ricoverato a lungo in sanatorio). Poi, le cose cambiano: comincia a scrivere racconti, novelle e romanzi (dei generi più disparati: western, rosa, fantascienza, poliziesco), a collaborare con riviste e Case editrici. Dal 1939 inizia a curare per “Grazia” la rubrica “La posta del cuore”: sono le migliaia di lettere che riceve a fornirgli la grande conoscenza (dimostrata poi dai suoi scritti) di ciò che vortica negli animi delle persone. A differenza di Simenon, vissuto ottantasei anni, Scerbanenco scompare prematuramente nel 1969. “Venere privata” è del 1966. All’inizio del romanzo, Duca Lamberti è appena uscito di prigione, dove ha scontato tre anni di reclusione. E’ anche stato radiato dall’albo dei medici, per lo stesso motivo che gli è costata la condanna: ha aiutato una paziente terminale a morire, praticandole una eutanasia. Si trova dunque nella condizione di dover ricominciare la vita da capo, avendo anche una sorella ragazza madre, Lorenza, da aiutare a mantenersi. Essendo figlio di un poliziotto (morto) di cui tutti, in via Fatebenefratelli, conservano stima e ricordo, può contare sull’amicizia del commissario Càrrua. L'ex medico accetta un incarico da un ricco imprenditore, che lo assume perché aiuti suo figlio, Davide Auseri, a uscire dalla dipendenza dall’alcol. Duca si rende conto che c’è qualcosa che spinge il giovane a bere: Davide si sente responsabile del suicidio di una ragazza, Alberta Radelli, avvenuto un anno prima. Della faccenda Davide non intende parlare, ma Lamberti lo spinge, con sapienza psicologica, a confidarsi. Duca ottiene dai suoi amici poliziotti maggiori informazioni sul caso, e scopre che non si tratta affatto di suicidio. Non solo: Alberta non è l’unica vittima. Salta fuori una torbida storia di sfruttamento della prostituzione. A risolvere il caso contribuisce in maniera fondamentale Livia Ussaro, una giovane donna bella, intraprendente e spigliata, con cui Lamberti sembra sul punto di iniziare una storia d’amore, ma che lui convince a prestarsi a essere usata come esca. Chissà se il nome di Livia dato da Camilleri alla fidanzata del suo Montalbano non derivi proprio dalla Ussaro scerbanenchiana, dato che anche la Livia di Duca Lamberti diviene una figura ricorrente nei successivi romanzi. “Venere privata” non ha però un lieto fine: gli assassini di Alberta pagano le loro colpe, ma ci sono risvolti tragici per l’ex-medico e la donna che ama pur dandole ancora del “lei”. Forse in questa disperazione di fondo c’è, in effetti, una delle più evidenti differenze fra Scerbanenco e Simenon.
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