martedì 24 ottobre 2017

IL MAESTRO GIO' E MAU






Mautorr
IL MAESTRO GIO' E MAU
Algra Editore
brossurato, 2017
100 pagine, 12 euro

Mautorr sta per Maurizio Torrisi, di Catania. Il Mau del titolo è lui. Il Gio' invece è Giovanni Romanini, divenuto co-protaginista del fumetto di un allievo ideale, anche se non proprio ideale, dato che nessuno vorrebbe avere come allievo lo straripante Mau, ma ideale in quanto il Torrisi si è scelto come maestro il grande Romanini e cerca di ricavarne utili insegnamenti a distanza, interpellandolo (eufemismo per "rompendogli i coglioni") per telefono. Da queste lezioni di fumetto telefoniche nasce appunto un fumetto, questo, esilarante e "fumettoso" come pochi altri. Mautorr racconta se stesso e la sua voglia di fare il fumettista attraverso il suo grande amore per il fumetto, quello vero, quello vissuto e goduto negli anni in cui c'erano Magnus, Bonvi, Andrea Pazienza, i fumetti neri e quelli sexy. Il risultato, agli occhi di chi abbia lo stesso amore, è straordinario. In quegli anni Mautorr avrebbe avuto un successo stratosferico. Mi è stato chiesto di scrivere una prefazione, che ben volentieri ho scritto. Eccola qui di seguito.

HISTORIETAS AL TELEFONO
di Moreno Burattini

“Favole al telefono”, intitolò una volta Gianni Rodari una sua raccolta di racconti per bambini. “Historietas al cellulare” potrebbe oggi Maurizio Torrisi intitolare questa sua antologia di storie a fumetti, visto che spesso e volentieri le tavole lo mostrano al telefono con Giovanni Romanini, suo nume tutelare e mentore, ma anche considerando il fatto che “historietas” è il termine spagnolo con cui si definiscono, appunto, i fumetti. Guarda caso, spagnolo è Carlos Giménez, il fumettista che nel 1983 creò la serie “Los profesionales”, che racconta attraverso brevi aneddoti disegnati la vita tragicomica sua e dei suoi colleghi disegnatori (tra i quali Luis Garcia e Pepe Gonzàles) che durante gli anni Sessanta e Settanta lavoravano per l’agenzia Selecciones Ilustradas, costretti a ritmi assurdi e sottopagati.
In pratica, Giménez (da non confondere con l’argentino Juan) narra, in modo autoironico e spesso esilarante del proprio lavoro e dei suoi sforzi per realizzare fumetti nonostante le costrizioni e le difficoltà. “Los profesionales” è dunque un fumetto che parla di fumetto. Del resto, il fumetto può parlare di qualunque cosa, e a fumetti si può tenere il proprio diario come spiegare la fisica quantistica (c’è chi l’ha fatto: il fisico teorico Thibault Damour e il disegnatore Mathueu Burniat nel volume “Le mystére du monde quantique”, edito in Francia nel 2016 da Dargaud).
Un altro spagnolo, Paco Roca, è l’autore invece del graphic novel “L’inverno del disegnatore” (2011): anche in questo caso si raccontano le vicende di una casa editrice di fumetti e la vita dei suoi autori. Siamo nella Spagna franchista degli anni Cinquanta: fumetti della Bruguera vendono centinaia di migliaia di copie per numero, i suoi personaggi sono tra i più popolari. Però, i disegnatori che li realizzano vengono considerati semplici impiegati obbligati a consegnare le loro tavole secondo rigidi quantitativi in cambio di uno stipendio fisso, senza alcun tipo di riconoscimento del successo ottenuto.
Leggendo le pagine che seguono, se avete un minimo di infarinatura fumettistica, vi sembrerà subito chiaro come Maurizio Torrisi sia uno sfegatato appassionato di un paio di autori e di un eroe di carta: Bonvi, Magnus e Kriminal. Il primo, tanto per dare delle essenziali coordinate spazio temporali, è il creatore delle Sturmtruppen; il secondo, il disegnatore dei primi settantacinque albi di Alan Ford; il terzo, il più affascinante degli characters neri degli anni Sessanta. Ebbene, in uno dei suoi “Incubi di provincia”, Bonvi si immagina alle prese con i suoi personaggi che hanno preso vita mentre li sta disegnando. Convinto di essere impazzito, telefona (guarda caso) proprio a Magnus, il quale, illustrando se stesso nella striscia conclusiva di quella storia, è alle prese con Kriminal, anch’esso uscito come se fosse vero dalle tavole appoggiate sul tavolo da disegno. Insomma, tutto torna.
Con una differenza. Maurizio Torrisi è convinto di non saper disegnare, diversamente dai disegnatori fin qui citati.
In realtà, a sentir lui, a ripeterglielo come un mantra è proprio Giovanni Romani, al telefono: “Ricordati sempre che disegni come un cane, se tieni a mente questo senza offenderti imparerai qualcosa...ti sei offeso?". Al che Maurizio risponde: "No, no ...se Romanini dice che sono un cane, io mi metto ad abbaiare. Quindi insegnami, o maestro!”.
Tuttavia, tutti sanno che oggi come oggi saper disegnare non è affatto un requisito fondamentale, nel realizzare fumetti. Davide La Rosa, per esempio, pubblica opere come “Ugo Foscolo, Indagatore dell’Incubo” (una esilarante parodia delle parodie) che sembrano scarabocchiate, ma sono efficacissime, e di se stesso dice di essere il principale esponente di una scuola chiamata “disegnomalismo”. Sulla stessa linea si possono allineare (mi si scusi l’eccesso di semplificazione) autori come Sio, Labadessa o Daw. Non mi pare però che Torrisi possa essere accostato ai disegnomalisti, mentre senza dubbio si può affiancare, sia pure un passo indietro, a Zerocalcare: anche lui raffigura se stesso e il proprio mondo raccontandosi ai lettori sia come autore che come personaggio, prendendosi in giro ma anche scavando nelle proprie manie, nei propri deliri, nelle proprie ossessioni e perversioni, ma anche disegnando i propri sogni, come sul lettino dello psicanalista (e se ne potrebbe trarre una diagnosi non rassicurante). Da questo punto di vista metterei nel calderone anche i fumettisti underground, che poi tanto underground non sono (o non sono più): Robert Crumb, Gilbert Shelton, Peter Bagge, alternativi a tutto, anche al bel disegno. Di suo, Maurizio, ci aggiunge la descrizione (contagiosa) della sua grande passione per il fumetto: inteso come opera da disegnare, ma anche opera da leggere. Torrisi ha i suoi miti nel suo scaffale ideale, e sono gli eroi e le eroine dei fumetti popolari, quelli di una volta, di cui in tanti (più di quanto si creda) abbiamo la nostalgia. Tanta, nostalgia.

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