sabato 22 giugno 2024

LE AVVENTURE DI OLIVER TWIST

 


 
 
Charles Dickens
LE AVVENTURE DI OLIVER TWIST
Rizzoli
brossurato, 1981
482 pagine, 5000 lire

Ci sono romanzi che si leggono da ragazzi e che poi, rileggendoli da adulti, sembrano tutt’altra cosa. “Le avventure di Oliver Twist” (o più propriamente “Oliver Twist”, dato che questo fu il titolo originario) è uno di questi. La prima impressione che ho ricavato dalla rilettura è che non si tratti in nessun modo di un libro per ragazzi. Perché accidenti mi venne dato in mano mentre frequentavo le elementari? Con ogni probabilità lo ebbi in regalo in una edizione purgata ed edulcorata, resta il fatto che veniva ritenuto un classico della letteratura per giovanissimi, al pari di “Pattini d’argento”, “Pel di Carota” e “Pollyanna”. A scanso di ogni equivoco, Charles Dickens si rivolgeva a un pubblico adulto. 
In secondo luogo, mi sono meravigliato di come Oliver Twist, il ragazzino il cui nome dà il titolo al romanzo, non ne sia il personaggio principale. Anzi, fra tutte le figure vividamente descritte e caratterizzate dall’autore, Oliver è la più sbiadita e insignificante. A pensarci bene, è addirittura la meno probabile: come può un bambino cresciuto in un orfanotrofio fra digiuni e percosse, restare incorrotto e incorruttibile, nutrire solo buoni sentimenti, dimostrare tutte le doti del figlio perfetto, proporsi come creatura adorabile? Se c’è un motivo per cui Oliver può attraversare l’inferno senza coprirsi di fuliggine, Dickens non ce lo spiega: non partecipiamo mai davvero ai pensieri del ragazzo, che sembra solo messo lì a dimostrare la cattiveria altrui. Vero è, tuttavia, che Oliver Twist è il primo bambino protagonista di un romanzo in lingua inglese. 
Ciò detto, il romanzo dello scrittore britannico, uscito a puntate mensili tra il 1837 e il 1939 sulla rivista “Bentley’s Miscellany” (e subito raccolto in volume), è ricchissimo di personaggi memorabili che sviluppano una trama non soltanto avvincente ma anche pregna di denunce sociali. L’affresco della Londra della prima metà dell’Ottocento è sconvolgente e drammatico, soprattutto antiromantico e contro ogni retorica celebrativa. La vita quotidiana per le strade sporche affollate di poveri, orfani, ammalati e criminali, affollate di una umanità disperata e abbrutita è descritta senza edulcorazioni, se non quelle riservate al sesso (prostituzione, promiscuità) a cui si allude senza esplicitare ciò che è comunque immediatamente chiaro. Lo stesso Oliver nasce da una relazione extraconiugale. Ci sono pagine crudelissime, come quella dell’uccisione di Nancy da parte di Bill Sikes, la morte dello stesso Sikes, l’impiccagione di Fagin, ma anche, nelle pagine iniziali, la fine di stenti di una giovane donna la cui madre anziana si chiede perché sia morta la figlia e non lei. 
Un’altra caratteristica del romanzo che mi è balzata agli occhi rileggendolo è il ricorso da parte dell’autore, assai più frequente di quanto si possa immaginare, al sarcasmo e all’ironia nel farsi beffe dell’ipocrisia della società dell’epoca, del suo sistema assistenziale ed educativo, ma anche di quello giudiziario. 
Personaggi memorabili, si diceva, e già ne abbiamo citati tre: il crudele Sikes, ladro e assassino; Nancy, la prostituta uccisa perché voleva redimersi; Fagin, il reclutatore di ragazzini da avviare sulla strada del crimine. Ma possiamo aggiungerci l’Artful Dodger, tradotto a volte maldestramente come “Trappolone” o più congruamente “l’Astuto Briccone” in altre occasioni; Monks, che trama perché il passato della madre di Oliver (Agnes Fleming, morta nel partorirlo) non venga mai scoperto; mister Bumble e sua moglie, la signora Corney, squallidi e corrotti nonostante la loro apparenza di persone per bene e i loro incarichi pubblici. Si sono discusse e studiate le fonti di ispirazione da cui Dickens attinse (per Fagin è stato citato lo Shylock di Shakespeare), resta il fatto che la rielaborazione dell’autore dà frutti originali. E poi i “buoni”(fin troppo buoni, in verità) mister Brownlow, che alla fine adotta Oliver, e miss Rose Maylie, che si rivela essere sua zia per una serie di acrobazie dell’intreccio da feuilleton. Senza che Dickens faccia professione di fede, ci si vede lo zampino della Provvidenza e alla fine i buoni ottengono la loro giusta ricompensa e i cattivi la sacrosanta punizione. In questo, l’ l’autore (di cui “Oliver Twist” è un’opera giovanile, essendo stata scritta a venticinque anni di età, lui nato nel 1812) rivela sua concezione, tutto sommato vittoriana, del bene destinato alla vittoria sul male attraverso una faticosa redenzione. 
Ho usato la parola “feuilleton”: non va infatti dimenticata la formula della pubblicazione a puntate, che creò (sarebbe accaduto anche in seguito per altre opere di Dickens) una forte attesa da parte dei lettori, con tentativi da parte di alcuni di scrivere finali alternativi prima che uscisse quello ufficiale, e critiche da parte di detrattori (mi ricorda qualcosa) a cui lo scrittore cercava di rispondere e che gli davano un feedback immediato in corso d’opera. Chissà se Dickens ne fu influenzato.


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