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giovedì 26 aprile 2018

OH DIO MIO!


Anat Gov
OH DIO MIO!
Giuntina
2016, brossurato,
100 pagine, 10 euro

Scritto come un testo teatrale ma sicuramente da leggersi anche e soprattutto come un testo letterario (del resto i testi teatrali fanno parte a pieno titolo della letteratura), "Oh Dio mio!" è un piccolo capolavoro di umorismo yiddish ma certamente non si può etichettare come scritto comico. Anzi, il drammatico prevale, visti i temi trattati. L'autrice, israeliana di Tiberiade (1953-2012), mette in scena l'incontro impossibile tra un psicoterapeuta, Ella, madre di un ragazzo autistico di dodici anni anni, Lior, e un insolito paziente venuto a farsi psicanalizzare, che si rivela essere Dio. Il Creatore fa un po' di fatica a convincere Ella che si tratta proprio di Lui, ma poi, di fronte all'evidenza di tante cose di lei che solo Colui Che E' può sapere, la psicologa accetta il dato di fatto e, con grande professionalità comincia il suo lavoro. Dio sembra vittima di una sindrome depressiva, dato che le cose, con l'Uomo, non sono andate per il verso giusto. Ella scava con metodo freudiano cercando di capire se alla base del mal di vivere divino ci siano i genitori assenti, e provoca con veri e propri colpi ai fianchi la reazione del paziente, messo sotto accusa. Tanto per cominciare, perché il Creatore ha voluto creare? Si sentiva solo? "Cerchi di ricordare il momento prima della decisione". E poi, possibile che creato l'Uomo, al primo sgarro sia stato così brutalmente punito e abbandonato? E i dieci comandamenti? Perché il primo non è "non uccidere" ma "non avrai altro Dio all'infuori di me"? Paura dell'abbandono? E che dire dell'odio verso le donne, fatte partorire con dolore? Gelosia perché Adamo preferiva Eva a Lui? Dio finisce quasi per perdere le staffe. Alla base della depressione divina sembra esserci il pasticciaccio brutto accaduto con Giobbe. Prima di quel fatto, Dio interveniva, parlava, era presente; dopo, quasi scompare dalla Bibbia. Non parla più. Che accadde, veramente? Alla fine, però, anche Ella si rende conto di venire psicanalizzata da Dio, per il dramma che vive con il figlio autistico. E sembra che il confronto sia terapeutico per entrambi. Dio non può fare a meno dell'uomo e l'uomo non può fare a meno di Dio?

lunedì 22 maggio 2017

CAPIRE ISRAELE IN 60 GIORNI (E ANCHE MENO)





CAPIRE ISRAELE IN 60 GIORNI (E ANCHE MENO)
di Sarah Glidden
Rizzoli Lizard
2011, 220 pagine, 
brossurato, euro 17.50 

Sarah Glidden, americana di origine ebraica, classe 1980, debutta con il suo primo libro (pluripremiato) di "graphic journalism".  Lo fa raccontando, attraverso il medium fumetto che si conferma in grado di veicolare qualsiasi contenuto, un suo viaggio alla scoperta di Israele, voluto e desiderato per cercare di capire il perché dei suoi stessi pregiudizi. L'occasione le è offerta da una iniziativa del governo di Tel Aviv, il progetto Taglit, che offre ai giovani ebrei di tutto il mondo un viaggio gratis, guidato attraverso un percorso di tappe obbligate, perché conoscano la Terra dei loro antichi antenati e la realtà dello stato nato dal sionismo. Dal 1999 al 2007 (anno in cui si svolge il viaggio della Glidden) oltre 120.000 ragazzi di tutto il mondo avevano già approfittato dell'opportunità. Sarah, nata a Boston in una famiglia ebraica non osservante, si considera di sinistra (disprezza per partito preso chiunque simpatizzi per i repubblicani) ed è piena di pregiudizi contro Israele. E' anche fidanzata con un giovane musulmano, il quale teme che lei possa tornare dal suo viaggio con idee antipalestinesi, cosa su cui la ragazza, prima di partire, lo rassicura. Perciò, per tutto il viaggio, ascoltando le spiegazioni che le vengono date a proposito del muro che isola gli israeliani dai palestinesi ("gli attentati sono calati da due alla settimana a quattro all'anno") o sull'occupazione delle alture del Golan ("erano rampe missilistiche da cui la Siria bersagliava i villaggi ebraici situati più in basso"), la ragazza si rifiuta di essere indottrinata, vede dappertutto la propaganda governativa, cerca di porsi domande critiche, non accetta passivamente nessuna versione dei fatti. Però, piano piano, il suo muro ideologico comincia a fessurarsi e addirittura si commuove ascoltando la storia dei primi Kibbutz ("quanto di più comunista esista al mondo") o visitando il tempio della Shoa. Alla fine del viaggio, ha capito il punto di vista israeliano dei fatti, e pur senza diventare antipalestinese si rende conto, soprattutto, che diversamente da ciò che credeva (in ossequio a una certa vulgata) esiste appunto una versione dei fatti, non meno vera, anche di parte ebraica. Il suo biglietto da lasciare nel Muro del Pianto dice: "Che venga la pace fra israeliani e palestinesi", ma gli si strappa mentre cerca di infilarlo tra le fessure, cosa che le fa bagnare di lacrime il volto. Tornando a Boston, a chi le chiede "Allora, com'è?", lei risponde confusa: "Beh, ecco...".

sabato 26 novembre 2016

GESU' MESSIA DI ISRAELE




GESU' MESSIA DI ISRAELE
di David Donnini
Uno Editori
2015, brossurato
180 pagine, 13.90 euro

Seguo da molti anni gli studi di David Donnini sulla figura storica di Gesù. Ritengo Donnini un ottimo divulgatore (anche se non accademico), estremamente chiaro nella disamina di argomenti molto complicati e di materie da maneggiare con cautela. Da trent'anni di occupa di religioni orientali e di storia delle origini del Cristianesimo. Ha viaggiato in lungo e in largo la Palestina, si è interessato dei manoscritti di Qumran, non propone letture aliene o di fantarcheologia della Bibbia (come il sempre meno credibile Mauro Biglino) ma si attiene al compito di compendiare quello che gli studi più aggiornati della letteratura scientifica nel campo della filologia biblica e delle ricostruzioni storiche sono giunte ad appurare. Sono stati compiuti infatti molti passi in avanti, negli ultimi decenni, nell'esegesi dei Vangeli dal punto di vista dell'attendibilità storica, e persino un libro Emmanuel Carrere, con il suo bestseller "Il Regno" ha di recente potuto ricostruire le biografie dell'evangelista Luca e del suo maestro Paolo di Tarso basandosi appunto sul nuovo quadro interpretativo che emerge dagli studi accademici non confessionali sul Nuovo Testamento. In questo stesso spazio abbiamo parlato di recente dell' ultimo saggio di Bart D. Ehrman, eminente biblista americano. Donnine non è apocalittico, non mette in dubbio la fede in Dio, ma si limita a questo intento: "desidero offrire ai lettori un'analisi divulgativa, cercando di evitare lo stile accademico che relega questo tipo di opere a un pubblico ristretto, in possesso di una preparazione specifica. Per troppo tempo, e troppo spesso ancora, le narrazioni evangeliche sono state pregiudizialmente ritenute verità indiscutibili, al punto da sorvolare superficialmente su alcune loro palesi contraddizioni, considerate come scusabili imprecisioni o innocenti distrazioni, del tutto ininfluenti. Si è preteso per secoli che i racconti della passione testimoniassero una serie di eventi accaduti realmente così come sono descritti, non vedendo, o fingendo di non vedere, che alcuni punti rappresentano delle contraddizioni o delle inverosimiglianze storiche così palesi da mettere in discussione tutto l'impianto. I cristiani oggi continuano spesso a conoscere i passi del Vangelo solo attraverso la lettura e il commento domenicale eseguiti dal sacerdote nel corso della messa. Ho notato che sovente i cristiani, proprio quelli che non mancano mai di frequentare gli appuntamenti liturgici, sono piuttosto ignoranti delle scritture e, tanto più, delle possibili contraddizioni che al loro interno sono contenute. E quando vengono loro fare notare, assumono un atteggiamento indifferente o sospettoso, se non di palese resistenza, affermando che 'esisterà senz'altro una spiegazione'. L'idea dell'infallibilità del Nuovo Testamento è un baluardo che tiene lontana ogni ombra di dubbio".
Fin qui Donnini. Personalmente non credo che sia blasfemo o eretico il ritenere i Vangeli frutto dell'opera di quattro (o più, com'è probabile) evangelisti e di secoli e secoli di copiature di amanuensi, in grado di aggiungere ed emendare parole o interi brani come capita in tutti i testi dell'antichità scritti a mano per migliaia di anni prima dell'invenzione della stampa. Non si mette in dubbio la storicità della figura del Cristo, né la grandezza del suo messaggio arrivato più o meno filtrato fino a noi, né la carismaticità della sua persona. Si tratta di capire cosa realmente successe in Palestina negli anni della sua predicazione, in quale contesto socio-politico essa avvenne, e come questi fatti possano essere stati raccontati nei secoli successivi dagli uomini che ne scrissero (nessuno dei quali testimone diretto). Ora, io non so se Bart D. Ehrman o David Donnini (come cento altri loro colleghi del medesimo avviso, più o meno sfumato) abbiano ragione: mi limito a prendere atto che esistono tesi diverse da quelle che mi hanno insegnato a catechismo. Per esempio, a me venne detto che Gesù non aveva fratelli, non era sposato, era originario di Nazareth e venne crocifisso dagli ebrei. Un sempre maggior numero di studiosi, a torto o a ragione, crede che invece avesse moglie, fratelli e figli, che possa essere nato e cresciuto a Gamala (Nazareth neppure esisteva), e che i responsabili della sua morte fossero, sic et sempliceter, i romani, i cui metodi spicci erano tali da portare al patibolo le teste calde fra gli ebrei (popolo ribelle quant'altro mai) con una frequenza e una facilità da far impressione. La versione secondo la quale, al contrario, Gesù fu vittima delle trame dei capi del suo stesso popolo e del voltafaccia degli ebrei (sui quali il suo sangue era destinato a ricadere) rientra, in questa logica, in un tentativo (iniziato da San Paolo, "inventore" del Cristianesimo) di separare i destini dei seguaci di Gesù da quelli degli Ebrei che, nel 70 dopo Cristo, vennero praticamente sterminati dai romani per chiudere con la loro guerriglia irriducibile. Se Gesù fosse stato visto come un ribelle giudeo, il Cristianesimo non avrebbe potuto diffondersi a Roma. Mi scuserà Donnini se banalizzo e riassumo in così poche frasi le articolate argomentazioni sa lui usate per compendiare studi ancora più complessi di una schiera di storici e biblisti.