martedì 31 luglio 2018

ARRIVANO I BONELLI KIDS




Tino Adamo
Luca Bertelé
Alfredo Castelli
Sergio Masperi
ARRIVANO I BONELLI KIDS
Sergio Bonelli Editore
2018, cartonato
100 pagine, 12 euro

Ancora! Ancora! Ancora! Cento pagine sono decisamente poche se devono essere condivise da un affollatissimo gruppo di protagonisti come i Bonelli Kids, con in più le irruzioni di Alf, il bambino più vecchio del mondo. Perciò, vogliamo altre strisce (che poi in realtà sono mezze tavole quadrate), altre gags, altri mini-eroi (già, dove sono Tex e Dylan Dog?). Ufficialmente, e questo è l'escamotage di partenza, i Bonelli Kids sono dei ragazzini che si vestono come i loro eroi dei fumetti preferiti, in pratica dei cosplayers - con la differenza che la maggior parte dei cosplayers non legge i fumetti dei personaggi da cui si travestono, ma al massimo ne hanno visto qualche cartone animato. I Bonelli Kids invece si identificano in tutto e per tutto in Zagor, Mister No, Dampyr, Morgan Lost, Martin Mystére, Cico, Java, Kurjak, Ringo, Nathan Never, più l'altra parte del cielo: Tesla, Diana, Angie, Sam. Però, escamotage a parte, i Bonelli Kids finiscono per essere dei personaggi a fumetti pure loro, adorabili nella loro esserlo in maniera metafumettistica. I personaggini, senza dubbio, sono la parodia dei loro modelli bonelliani, ma altrettanto indubbiamente vivono di vita propria riuscendo a essere godibili e fruibili anche se non si ha ben presente chi sia e che cosa faccia il personaggio originario. Qualcuno si è chiesto a chi siano indirizzate queste storielle: ai bambini? Ai ragazzi? Agli adolescenti? Ai giovani? Ai grandi? Ai vecchi? Mi sembra una domanda oziosa: sono felicemente intergenerazionali. Quel che più conta, le battute fanno ridere. Dunque una gran bella (e riuscita) alchimia a cui sicuramente hanno giovato la sapienza comica e l'esperienza fumettistica di Alfredo Castelli, giustamente finito tra i Kids pure lui, catalizzatore delle energie positive di Tino Adamo e Sergio Gasperi (autori di fumetti in proprio ma anche grafici in forza alla Sergio Bonelli Editore). Un plauso finale e particolare va al genio e alla sintesi dei disegni di Luca Bertelé. Vedere per credere. Poi, dopo che si è visto, attenti però. Vien voglia di leggerne ancora, magari prima in Rete, come è successo per questa prima ottantina di tavole, poi in volume.

domenica 29 luglio 2018

VIVIANE L'INFERMIERA



Filippo Pieri
Cryx
VIVIANE L'INFERMIERA
Sbam!Libri
2018, brossura
64 pagine, 9.50

Anche se certi ammiccamenti ai manga, nei disegni di Cristiano Corsani (in arte Cryx), indubbiamente ci sono, più Ruko Tatase la procace Viviane l'Infermiera rimanda a Gloria Guida o a Edwige Fenech, che evidentemente sono invece nell'immaginario di Filippo Pieri insieme a tutta la casistica cine-comica e fumetto-comica degli arzilli vecchietti della Casa di Riposo (a partire da quelli, appunto, di Villa Arzilla, sia-com televisiva degli anni Novanta). Ruko Tatase, per capirci, è l’infermiera assistente del dottor Sawaru Ogekurie nella “Clinica dell’Amore”, serie a fumetti creata dal giapponese Haruka Inui nel 1987. Da noi ormai non ci sono più i sexy fumetti, viva il Giappone dove ancora ci sono. In Italia sono persino sparite ai cinema le commedie erotiche, come “L’infermiera di notte” (1979) dove il dottor Nicola Pischella (Lino Banfi) assume per fare da badante notturna al vecchio zio Saverio (Mario Carotenuto) la bella Angela (Gloria Guida). Risate e strip tease erano garantiti, bei tempi che furono. Fuori dai cinema si potevano anche esporre quei manifesti un po’ scollacciati che oggi causerebbero l’intervento della buoncostume allertata dall’Associazione Genitori e dall’Esercito della Salvezza. Con evidente sprezzo del pericolo, Filippo Pieri e Cryx propongono oggi la loro versione di quel tipo di commedia sexy che ha fatto la storia del cinema italiano quando ancora i film incassavano qualche spicciolo. Ovviamente partono da una infermiera, oggetto da sempre di fantasie erotiche maschili. Ruko Tatase incontra Banfi e Carotenuto: come non esserne contenti? Viviane tuttavia non è maliziosa, né tantomeno lasciva e perversa, ma beatamente serafica nella naturale e istintiva ostentazione delle proprie forme. Fra gli influssi ci metterei anche quelli de “Il Vernacoliere”, e viene in mente Luana, la baby sitter di Daniele Caluri, “portatrice sana di topa” (per dirla con Mario Cardinali) e felicemente svampita e inconsapevole (o disinteressata alla cosa) dei ferormoni femminili dalle lei emanati e delle reazioni testosteroniche altrui. Come nelle disavventure di Caluri, anche in quelle di Pieri e Cryx si ride con trovate scatologiche, si possono vedere vomiti e rigurgiti, erezioni sotto i pantaloni, viva la libertà della frittatona di cipolle, birra ghiacciata e del rutto libero. A Casa Nova si può perfino vedere uccidere a pistolettate un pappagallo senza che accorra Edoardo Stoppa. Che liberazione, quella dal politicamente corretto e dal perbenismo imperante. Perbenismo di cui, per loro fortuna, possono essere esentati i vari Principe, Macao e Jesus, gli arzilli e impenitenti ottuagenari di Casa Nova, toscanamente simili ai vecchietti pisani del Bar Lume di Marco Malvaldi (Pilade, Amelio, Emo) ma anche e forse soprattutto ai Mascetti, Melandri, Necchi e Sassaroli, i protagonisti di Amici Miei – Atto III (1985), il film di Nanni Loy in cui i goliardi di Monicelli si ritirano tutti in un ospizio senza perdere la voglia di fare le loro zingarate. Alla fine la serie a fumetti di Pieri e Cryx, a dispetto del titolo, finisce per avere come protagonista non tanto la procace infermiera Viviana, quanto il teatrino di personaggi: il mafioso Don, la cinica e avida direttrice Gabriella Kaputt, l’inserviente di colore Paco, il focoso Raulo e il per nulla focoso dottor Noè. Tanti character che interagiscono dando vita a divertenti episodi di due pagine. Onore al merito al coraggioso editore che investe nell'humor su carta. Per la cronaca, la prefazione al libro è mia.

sabato 28 luglio 2018

IL LUNGO VIAGGIO DI VITTORINI


Raffaele Crovi
IL LUNGO VIAGGIO DI VITTORINI
Biografia – Marsilio
Collana Gli Specchi
Prima edizione 1998
brossurato - 484 pagine -  lire 32.000

Si legge come un romanzo, benché sia una “biografia critica” molto rigorosa e nonostante i temi trattati non siano acqua fresca: letteratura, cultura, politica, società, storia. Merito della penna di Raffaele Crovi, che conobbe Vittorini in gioventù e fu suo assistente negli ultimi giorni del maestro. E se c’è un difetto del libro, è proprio quello di non dare abbastanza spazio ai rapporti fra Crovi e Vittorini, come se per pudore l’autore della biografia non abbia voluto descriverli meglio, limitandosi ad accennarvi. La figura di Elio Vittorini è senza dubbio importantissima e la sua vita, o meglio, il suo “lungo viaggio” è costellato di tappe davvero importanti, degne di nota, piene di ammaestramenti in nuce. L’amicizia con Malaparte, la collaborazione con riviste fasciste, poi il passaggio sul fronte comunista dopo lo scoppiare della Guerra di Spagna, la vita clandestina durante la Resistenza, il periodo del dopoguerra con la creazione del Politecnico e la rottura con Togliatti che voleva manovrare la rivista e pretendeva di omologare tutti gli intellettuali (Vittorini si sottrasse), quindi la direzione di varie collane di libri, di riviste (una su tutte, il "Politecnico") e l’attività da talent-scout. Il tutto intessuto con la scrittura di romanzi e racconti (il suo capolavoro, secondo me, è "Conversazione in Sicilia")  con tanti progetti realizzati quanti quelli abortiti, ma anche quelli realizzati pieni di riscritture e ripensamenti; e poi la vita privata, le vacanze al mare, la prima moglie, poi il divorzio, la seconda moglie, i vari figli, la morte drammatica del primogenito; e anche le difficoltà economiche, la ricerca delle collaborazioni negli anni precedenti la Guerra. E gli amici, i rapporti epistolari con intellettuali italiani e stranieri. Un intellettuale vero, uno di cui si sente la mancanza. Quante cose da dire, da ricostruire, da scrivere. Raffaele Crovi lo fa con grande abilità di narratore: il biografo che tutti vorremmo avere, perché per incuriosire non ricorre ai pettegolezzi. Anche di lui si sente la mancanza.


mercoledì 25 luglio 2018

SESSANTOTTO E DINTORNI



Davide Barzi
Oskar
SESSANTOTTO E DINTORNI
Cut-Up
2018, cartonato
64 pagine, 18.90 euro

A partire dal 2004, Davide Barzi (sceneggiatore) e Oscar Scalco in arte Oskar (disegnatore) hanno collaborato a lungo (quando si dice le eccellenze italiane all'estero) con la casa editrice belga P&T Production / Joker Editions, realizzando (in perfetto stile franco-belga) numerose tavole a fumetti pubblicati su volumi antologici. Nel 2008 venne loro proposto di pubblicare un libro tutto da soli, e furono così raccolte in quarantotto pagine le disavventure di Hubert e Leopoldine, e dei loro quattro figli, cioè della famiglia protagonista del volume "Les Sixties", ovvero "Sessantotto e dintorni" finalmente (nel 2018) arrivato anche in Italia, con dieci tavole in più, inedite presso i cugini d'Oltralpe. Le vicende raccontate, con gag lunghe ciascuna una tavola di quattro strisce in perfetto stile bedé, percorrono, stagione dopo stagione, i dieci anni cruciali dell'evoluzione della società europea che vanno dal 1959 al 1969. Avrebbe dovuto esserci una seconda serie intitolata "Les Seventies" che poi non si fece ma che appunto con le tavole inedite è accennata nel libro italiano. Ogni sketch gioca su un qualche elemento legato alla storia o alla cronaca (soprattutto riguardo il costume) degli anni Sessanta: si comincia con il trasferimento dalla campagna in città della famiglia di Hubert, per poi passare a raccontare, vicenda dopo vicenda, attraverso l'arrivo degli elettrodomestici, delle minigonne, dei capelli lunghi, dell'uomo sulla Luna. Le gag sono simpatiche e ci si affeziona ai personaggi (ce ne sono altri, oltre a quelli già citati, come la padrona di casa e il disastroso figlio). A rendere più divertenti le storielle ci pensano i disegni di Oskar, deliziosamente francesi al servizio appunto della committenza ma anche della godibilità del racconto (ah, che nostalgia di fumetti così).

lunedì 23 luglio 2018

FRANKENSTEIN ILLUSTRATO






Alfredo Castelli
FRANKENSTEIN ILLUSTRATO
AC Press Edizioni
2018, brossurato
100 pagine, 9.90 euro

In occasione dei duecento anni dalla prima edizione del "Frankenstein" di Mary Shelley, Alfredo Castelli conclude e manda in stampa un saggio, intitolato "Frankenstein illustrato", da lui progettato (e iniziato a realizzare) nel 1970. All'epoca, il giovanissimo Zio Alfy (non ancora Buon Vecchio) aveva proposto la pubblicazione a Gino Sansoni, con il quale collaborava e per il quale aveva appena realizzato con Giorgio Montorio una versione a strisce proprio del romanzo della Shelley, per la collana "I classici a fumetti", primo adattamento disegnato uscito nel nostro Paese (riproposto oggi nel volume). "Per varie ragioni" (che Castelli non elenca dunque suscitando sospetti), il libro all'epoca non si fece, ma ecco che a distanza di 48 anni riesce a trovare la strada della libreria. Il progetto originario prevedeva una disamina completa su tutte le versioni letterarie (romanzi e racconti apocrifi), film, cartoni animati, parodie, adattamenti teatrali e quant'altro si potesse accostare a Frankenstein. Il saggio finalmente completato si limita invece alle versioni per lo schermo, dal 1910 a oggi. Del resto, "Frankenstein illustrato" è uscito in occasione di Etna Comics 2018 a corredo e complementi di un ricchissimo catalogo curato da Marco Grasso relativo a una mostra per i duecento anni del mito, catalogo in cui si elencano i millesima fumetti ispirati alla Creatura per antonomasia, tra cui Molok, avversario di Zagor in una storia scritta proprio da Castelli. Fra le curiosità che si scoprono leggendo "Frankenstein illustrato", oltre alla puntuale segnalazione dei film porno frankensteiniani, è come la terza pellicola della storia ispirato all'opera della Shelley, "Il mostro di Frankenstein", del 1921, sia italiano (regia di Eugenio Testa): la sorpresa consiste nel fatto che all'epoca il romanzo da cui fu tratti non era conosciuto nel nostro Paese, essendo la prima traduzione datata 1944. Il motivo per cui un capolavoro della letteratura inglese del 1818 sia rimasto inedito in Italia per più di cento anni è un vero mistero. Castelli come sempre è un maestro nel compilare cronologie e schedature e nel raccontare aneddoti.

domenica 22 luglio 2018

STORIE DELL'ANNO MILLE




Tonino Guerra
Luigi Malerba
STORIE DELL'ANNO MILLE
Bompiani
1972, 224 pagine

Peccato che questo capolavoro, scritto nel 1972 da due mostri sacri della letteratura e del cinema, Tonino Guerra e Luigi Malerba, sia stato dimenticato (perlomeno, non se ne sente più parlare): quando lo lessi per la prima volta, appunto ai tempi della scuola - nell'edizione scolastica che adesso ho recuperato e letto di nuovo - "Storie dell'Anno Mille" veniva almeno consigliato ai ragazzi delle Medie inferiori; oggi non saprei se venga ancora fatto leggere - nel caso, dovrebbe. Mi chiedo anche (e non lo so) se nelle intenzioni dei due autori, che scrivono un libro leggero e profondo al tempo stesso, il pubblico a cui rivolgersi fosse proprio quello dei più giovani (a me pare che possano fruire più consapevolmente gli adulti). In ogni caso si tratta tanti racconti cuciti insieme, che  narrano le disavventure di una sgangherata combriccola di morti di fame: Millemosche, Pannocchia e Carestia. 
Siamo nel più buio Medio Evo. I tre si incontrano dopo essere scampati a una battaglia. Millemosche, che sostiene di essere un cavaliere, aiuta gli altri due a uscire da un pozzo, e quelli si mettono a fare la sua stessa strada. L'imperativo principale è  trovare qualcosa da mangiare, e con la fame dovranno fare i conti tutti e tre per tutta la durata del racconto. All'inizio pensando di vendere lo sterco per fare soldi. Poi incontrano tre frati e rubano loro i vestiti. Incontrano il Papa che li scambia per frati veri e pretende di essere confessato da Millemosche (indimenticabile la sequenza in cui Millemosca ascolta la confessione del Papa e capisce solo "us, um, ibus, orum").  Riparano in un convento, celebre per vendere come reliquia i peli della barba di un famoso santo (peli miracolosamente inesauribili, mentre altrettanto muracolosamente ai frati del monastero non cresceva mai la barba). Costretti a lasciare il convento dopo un fallito tentativo di mangiarsi il maiale dei monaci, si arruolano in un esercito di mercenari impegnato nell'assedio di un castello. Millemosche diventa il "braccio destro" del generale, in senso reale: avendo perso l'arto in battaglia, il comandente vuole qualcuno che gli cammini legato alle spalle e usi il braccio al posto suo: ma quando Millemosche schiaffeggia incautamente il feudatario che finanzia l'assedio, è costretto alla fuga con Pannocchia e Carestia. I tre vanno a caccia di mucche e i contadini vogliono bruciarli sul rogo. Arriva un temporale che spenge il rogo, e una donna offre loro ospitalità. Si accorgono che è lebbrosa e scappono a rotta di collo. Un fiume li porta fino al mare, dove si imbattono nei pirati saraceni, e fuggono inseguiti anche da quelli. Non c'è un vero e proprio finale: ma esiste un seguito intitolato "Nuove Storie dell'Anno Mille". E' un romanzo che si legge d'un fiato, con grande divertimento. Mancano le risate più grasse, ma il sorriso largo sulle labbra è costante. Gli episodi sono brevi, cuciti insieme con grande senso del ritmo. Al di là dell'umorismo leggero e spesso surreale, è evidente l'intento degli autori di smitizzare la Storia con la S maiuscola, e farsi beffa delle Grandi Vicende del Grande Medioevo, quelle che hanno per protagonisti i Grandi Re, i Grandi Guerrieri, i Grandi Papi. Qui la storia è terra terra, fatta di fame, di povertà, di miseria, di lotte per una noce marcia e di roghi e di lebbra e di peste. Il linguaggio scelto da Guerra e Malerba è apparentemente semplice, in realtà innovativo e sperimentale, ma ricco di efficacia. Frizzanti e vivacissimi i dialoghi. "Certo che i piedi sono un disastro. Sarebbe meglio non averceli. - Giusto. Se uno non ha i piedi non ha nemmeno il mal di piedi. - A me piacerebbe di non avere la pancia, così non avrei più fame. - E la schiena? A che cosa serve? Solo per avere il mal di schiena. Anche quella sarebbe meglio non avercela - A me sono i pensieri che mi disturbano. Penso troppo e poi mi viene il mal di testa. Mi piacerebbe non averci la testa".



mercoledì 18 luglio 2018

GAVINANA



Gabriele Strufaldi
GAVINANA
Associazione Domenico Achilli
2018, brossurato
150 pagine, p.n.i.

La cosa che colpisce leggendo libri quale questo di Gabriele Strufaldi, è come si sia persa la memoria della storia locale mancando documenti e certezza di testimonianze e come questa evanescenza di ricordi riguardi anche anni insospettabilmente recenti. Peraltro, mancano spesso anche indagini archeologiche condotte sul posto e, soprattutto, nel posto giusto. Perciò ecco che, allo stato attuale delle conoscenze, risulta persino difficile stabilire a quando risalga il campanile di Gavinana,  borgo sulla Montagna Pistoiese dove, nel 1530, si combatté la celebre battaglia in cui perse la vita il capitano fiorentino Francesco Ferrucci e con lui finì la Repubblica nata a Firenze dopo la cacciata dei Medici del 1527. Una località, dunque, di importanza storica riguardo la quale ci si aspetterebbe una conoscenza approfondita. Invece risulta impossibile stabilire persino l'aspetto che il paese ai tempi della battaglia. Gabriele Strufaldi, che in passato è stato anche sindaco di San Marcello (il comune nel cui territorio si trova Gavinana) confronta fra di loro tutte le testimonianze note e le risultanze di scavi sporadici eseguiti in passato, valuta le ipotesi fatte o che si possono fare, e arriva a porre più dubbi di quanti giunga a risolverne: il che si rivela utile e costruttivo perché indica in quali direzioni indagare. L'autore formula però almeno una teoria di cui si dice ragionevolmente sicuro, argomentandola in modo ineccepibile (pur in mancanza di riscontri definitivi e certi): il nucleo originale del paese non si sarebbe trovato né nell'attuale zona chiamata Castello, né avrebbe circondato la pieve romanica (datata attorno al 1100), vale a dire le due tesi prevalenti in passato, ma si può forse circoscrivere in quella parte di Gavinana che oggi si identifica con il Collecchio, attorno all'attuale Palazzo Achilli. Personalmente, lette le motivazioni, mi trovo d'accordo. Accanto a questa ricostruzione storica, Strufaldi traccia le vicende della donazione (o meglio, dell'eredità) di Domenico Achilli alla comunità gavinanese, depredata da consorterie e da infedeli amministratori, e anche del Teatro, vanto degli abitanti, costruito su base volontaria da muratori e operai del paese all'inizio del Novecento, e di recente abbattuto dopo un lungo abbandono. Il saggio è destinato soprattutto ai paesani e resterà come un importante testo che fa il punto della situazione in attesa di una ripartenza degli studi e delle indagini: non a caso l'edizione è curata da una (benemerita) associazione locale. Una maggiore chiarezza a vantaggio dei non gavinanesi e una più ampia parte iconografica avrebbe favorito la diffusione anche al di fuori della cerchia delle mura del borgo, dovunque in passato si siano effettivamente trovate. 

lunedì 16 luglio 2018

GHIGO LO SFIGO




Laura Pipimpa Stroppi
GHIGO LO SFIGO
Sbam!Libri
brossurato, 2018,
64 pagine, 9.50 euro

Leggo Ghigo dal 1996, da quando cioè Laura Stroppi ha cominciato a disegnarlo, e continuo a ridere. Se accettate un consiglio, non perdetevi questa ultima raccolta, pubblicata dalla benemerita Sbam!Libri. Come scrivo nella mia introduzione (già, dato che l'introduzione è mia) tutto comincia con con cento lettere tutte uguali che la giovanissima Laura vergò di suo pugno e spedì appunto a Guido Silvestri, già celebre autore ed editore di Lupo Alberto. Nelle lettere c’era scritto, più o meno: “voglio fare la fumettista”. Seguivano poi suppliche e implorazioni per essere presa come sguattera di bottega presso Macchia Nera, la Casa editrice che stampava gli albi con i personaggi della Fattoria McKenzie. E fu appunto lì che io la conobbi, una volta che mi recai in via Ferruccio a Milano, per portare a Silver le mie sceneggiature di Cattivik (solo in seguito ne avrei scritte anche del Lupo). Già, perché la diciottenne Laura aveva fatto breccia nel cuore tenero di Guido e lavorava appunto come sguattera, preparando caffè e dando lo straccio per terra. Fra una lustrata al pavimento e una spolverata ai mobili, credo che Silver le desse anche da squadrare qualche foglio, da ripassare qualche inchiostro e da applicare qualche retino Ma del resto bisogna pure far gavetta, mica c’era Internet che oggi rende tutti famosi fin dal primo scarabocchio e basta scrivere “pio” in una vignetta che si hanno un milione di “mi piace”. A quei tempi c’era da disegnare con il lapis, il pennino e la china, e poi stampare le copie e cercare di venderle in edicola. C’erano ancora, le edicole. Lo so che i più giovani ne hanno soltanto sentito parlare, ma sono esistite. Insomma, la nostra Stroppi impara il mestiere. In effetti, continuando la fanciulla a fare gli occhioni lacrimosi, le vennero date delle storie di Lupo Alberto da realizzare. Ma già in quegli anni già aveva il suo personaggio nel cassetto, Ghigo lo Sfigo. Anzi, tirato fuori dal cassetto molto presto perché insieme ad altri ardimentosi giovani autori diede vita a una rivistina chiamata “L’isola che non c’è” su cui Ghigo era il piatto forte. Purtroppo, come era facilmente prevedibile “L’isola che non c’è” non la trovava nessuno e per se uno soprannominato lo Sfigo le cose sono più difficili che per gli altri. Tuttavia Laura non si è mai persa d’animo ed è riuscita a trovare ogni genere di contenitore e supporto per continuare a proporre il suo stralunato eroe ai lettori, fino ad arrivare al volume che stringete fra le mani. E, a nome di tutti quei lettori che si sono divertiti fin dagli esordi (gli esperti li datano nel 1996), lasciatemi ringraziarla per non essersi mai data per vinta e aver insistito nel deliziarci. Negli anni, Ghigo è cresciuto. Inizialmente era uno studentello caratterizzato da alcune mosche che gli volavano attorno. Pare che Laura avesse davvero, negli anni della scuola, un compagno così: allupato dalle ragazze e propenso a innamorarsi follemente, talvolta cinico ma sprovvisto di malizia, come chi non si rende conto della cattiveria che sta dicendo, svampito e privo di senso pratico. Poi è diventato un personaggio senza età, conservando la sua ilare leggerezza. Fu addirittura Bonvi a suggerirle di trasformare la caricatura di un amico in un personaggio a fumetti che avrebbe potuto vivere di vita propria (e scusate se è poco). L’autrice dice di vederlo con un suo alter ego: “è come se parlassi di me (e io non amo parlare di me)”, dice. Quindi Ghigo è una specie di confessione a fumetti, una valvola di sfogo: “sicuramente è un modo, molto efficace, di reinterpretare il mio vissuto quotidiano con il senso dell’umorismo. Mi piace vederlo come una mia versione pupazzata”. Originariamente lo Sfigo era protagonista di storielle di varie pagine, poi Laura ne ha sintetizzate la vicende in due, tre vignette ciascuna: “Ho cominciato a pensare a Ghigo in versione striscia per due motivi principali. Primo, io adoro la sintesi, sia nel disegno che nel testo. La strip mi corrisponde di più e rende il mio lavoro più facile e divertente. Sono poi dell’opinione che l’umoristico funzioni meglio con dei tempi narrativi brevi”, spiega la Pipimpa (così la nostra si fa chiamare su Facebook). “Pipimpa” in effetti potrebbe suonare stonato, vista la laurea in archeologia della nostra, le sue prestigiose collaborazioni, le tante illustrazioni, i volumi pubblicati e i premi vinti. E vista, soprattutto, la maturità della sua sintesi grafica: tanto di cappello. Dal 2010 Ghigo appare anche sulla rivista Skorpio, dove viene pubblicata anche un’altra striscia, realizzata in coppia con Giorgio Sommacal, “Rapa e Nui” (su testi di Giorgio Rasori), raccolta in volume sempre da Snam!Libri (guarda caso, con una mia introduzione).

sabato 7 luglio 2018

LE GRANDI FAVOLE DI WALT DISNEY





Walt Disney
SILLY SYMPHONIES
LE GRANDI FAVOLE DI WALT DISNEY
Mondadori
cartonato, 1981
240 pagine, 30.000 lire

Quando, nel 1927, il cinema venne rivoluzionato dall'avvento del sonoro (accadde con il film "The Jazz Singer"), l'allora ventiseienne Walt Disney intuì immediatamente che musica e parole avrebbero potuto arricchire anche i cortometraggi animati che stava producendo, e provvide a dare personalmente la voce al suo Topolino. Il successo del personaggio aumentò a dismisura, perché la sonorizzazione si prestava a rendere ancora più godibili i cartoons, che anzi potevano giocare sugli effetti sonori ancor di più delle pellicole con attori in carne e ossa. Così, nel 1929 Disney mise in produzione una serie di corti di cui proprio la musica fosse la protagonista: il primo fu "The Skeleton Dance", curato da Ub Iwerks, basato sulla "Marcia dei nani" di Grieg: quattro scheletri usciti da un cimitero si esibivano in una serie di buffi balletti, salvo poi rientrare nelle loro bare. Tra il 1929 e il 1932 gli Studi Disney produssero ventotto di questi corti in bianco e nero, chiamati Silly Symphonies. Successivamente venne adottato il colore. In tutto, le Silly furono settantasei, durando fino al 1939 e vincendo otto Oscar. Se le prime Symphonies tendevano a suscitare emozioni grazie alla visualizzazione di quanto suggerivano le musiche scelte per fare da perno (come nel lungometraggio "Fantasia"), successivamente si puntò anche sul racconto di vere e proprie storie con una trama, pur narrata con il supporto fondamentale della musica, e quindi si usarono favole classiche (Il brutto anatroccolo, La cicala e la formica) o storie originali. Il volume "Le grandi favole di Walt Disney", libro strenna di grande formato della Mondadori datato 1981, propone una selezione di trame delle Silly Symphonies adattate a fiabe per bambini, con immagini tratte dai cartoni animati a colori a illustrare i brevi testi. Troviamo appunto gli adattamenti delle novelle della tradizione e il racconto delle vicende nate invece negli Studios. Una interessante introduzione e una cronologia delle animazioni aprono e chiudono il libro. Probabilmente i bambini, a cui venne destinato il volume, avranno apprezzato. Noi cultori disneyani avremmo preferito un librone in cui le Symphonies venissero analizzate una per una e in cui la scelta dei fotogrammi fosse migliore (la qualità della riproduzione non è particolarmente entusiasmante). Ma, del resto, non era questo l'intento dei curatori.

venerdì 6 luglio 2018

IO E LEI



Edoardo Boncinelli
IO E LEI
Guanda
brossurato, 2017
192 pagine, 14 euro

Lui è Edoardo Boncinelli, classe 1941, genetista, uno dei più famosi e importanti biologi italiani, titolare di una rubrica fissa sul mensile "Le Scienze". Lei è la morte. "Io sono la mia coscienza", scrive lo scienziato, convinto pertanto che lui e la morte realmente non si incontreranno mai perché giungendo lei, lui se ne andrà. "Nella mia mente la morte non c'è, mentre c'è tanta, troppa vita. Questo non mi impedisce di meditarci sopra, anzi me lo facilita", dice Boncinelli. Ed eccolo dunque a proporci le sue riflessioni di uomo e di scienziato non credente: "Non ho mai creduto neppure un po', fin da quando mi ricordo, in n nessuna forma di religiosità. L'uomo si è costruito la religione immaginando l'esatto opposto della realtà, per compensarne i gravissimi difetti. Agli esordi della mia avventura intellettuale, il primo problema che mi venne in mente fu: perché mai Dio ci ha creati? La risposta del catechismo era, allora, che ci ha fatto per amore. Amore di che e di chi, per Lui che è l'Essere prefettissimo? Io Lo immaginavo superiore, onnisciente e onnipotente; non poteva avere quindi un di più o un di meno di amore. E poi chi lo autorizzava a pensare che le sue creature ne sarebbero state contente? Io certo non lo ero e comunque dubitavo che lo fossero anche altri, che infatti non facevano che lamentarsi. Che lo avesse fatto per bisogno di amore mi riusciva difficile da pensare. Come può aver bisogno di amore un ente perfetto e compiuto in se?". Altrettante perplessità suscitano in Boncinelli l'idea di onniscienza e onnipotenza (come può Dio voler fare una cosa e non farla nell'attimo stesso in cui la vuole e dunque volendo in un certo momento qualcosa che prima non voleva?) ma anche il concetto di Dio personale. Analizzando i propri dubbi, le riflessioni portano lo scienziato a scartare l'idea di una vita dopo la morte. Seguono poi pagine sulla definizione di vita dal punto di vista biologico (interessantissime quelle su gli esseri viventi che vivono lottando quotidianamente contro l'entropia a cui tende l'universo, "espellendo disordine" da se stessi, pompando "informazione"). Altrettanto interessanti le parti sulla spiegazione scientifica della morte: la natura è interessata unicamente a tenerci in vita, sani e robusti, fino all'età della riproduzione (dai 15 ai 30 anni), dopo non siamo programmati per resistere oltre. Se ci riusciamo, è tutto grasso che cola. Non mancano le riflessioni sull'etica, il comportamento e la morale. Boncinelli è convinto che il "comportarsi bene" non sia affatto conseguente alle regole dettate dalla religione. "Che merito ci sarebbe a comportarsi bene solamente per paura di una punizione di natura superiore? Anzi, se Dio non c'è ci corre l'obbligo di occuparci noi delle cose del mondo, come individui e come società. E' nella vita che si manifesta e si realizza la nostra idea della vita, e in niente altro".

domenica 1 luglio 2018

TUTTO QUESTO ACCADRA' IERI







Casty
Massimo Bonfatti
TUTTO QUESTO ACCADRA' IERI
Disney Panini Comics
cartonato, 2017
82 pagine, 30 euro

I classici meritano sempre delle edizioni de-luxe, anche quando, in realtà, sono recentissimi e sul fatto che davvero passeranno alla storia si può soltanto scommettere. Personalmente non ho mai avuto dubbi sulla "Storia e Gloria della Dinastia dei Paperi", sulla prima avventura di Paperinik, sulla biografia di Zio Paperone scritta e disegnata da Don Rosa. E nessuna esitazione mi ha colto nel giudicare un capolavoro "Tutto questo accadrà ieri" di Casty e Bonfatti fin dalla sua prima apparizione sulle pagine di Topolino. Già la presenza di Massimo Bonfatti, per la prima volta in versione disneyana, bastava ai miei occhi a garantire al racconto di Adrea Castellan (ottimo sceneggiatore ma anche eccellente disegnatore in proprio) una particolare rilevanza prima ancora di cominciare a leggere. A lettura ultimata, la rilevanza è risultata totale. A distanza di tempo, la riproposizione in volume cartonato con sopraccoperta-poster ha confermato le prime impressioni e anzi, rileggendo il tutto, ho notato cento altre sfumature che hanno aumentato la mia considerazione. Innanzitutto c'è un'idea alla base della storia: far incontrare il Topolino di oggi con quello degli anni Trenta (che viveva in un mondo piuttosto diverso, in cui per esempio Pippo non era affatto la "spalla" fondamentale dei giorni nostri). Poi c'è una storia ben congegnata, narrata con un tripudio di gag molto divertenti. Quindi, c'è Topolino (mentre si sa che in genere sono i Paperi a imperversare) e si tratta di un Topolino avventuroso. Per concludere ci sono i viaggi nel tempo e i paradossi temporali che a me piacciono sempre un sacco. Infine ci sono i disegni, realizzati in coppia da Casty e da Bonfatti ma dove il genio bonfattiano si vede eccome. Se dipendesse da me, Bonfatti sarebbe assunto in pianta stabile alla Disney e disegnerebbe tutte storie "d'epoca" in stile anni Trenta.