domenica 28 febbraio 2021

L'ARTE DI FRANCO BIGNOTTI

 

 
A cura di Walter Dorian
L'ARTE DI FRANCO BIGNOTTI
Zagorianità
brossura, 2020
350 pagine

Dopo un numero speciale, uscito nel 2019, dedicato a Franco Donatelli, la rivista "Zagorianità" ne propone uno su Franco Bignotti, un altro dei grandi autori di Zagor, e non solo. Anzi: la strepitosa copertina di Nando Esposito mostra lo Spirito con la Scure insieme ad altri quattro eroi del fumetto popolare italiano di cui Bignotti si è messo al servizio: Blek, Martin Mystère, Mister No, Capitan Miki. E ne mancano ancora: Hondo e il Ragazzo nel Far West, ad esempio. Quello curato da Walter Dorian è un vero e proprio libro a più mani, perché ospita i contributo di vari saggisti (lo stesso Dorian, Stefano Oddo, Maurizio Gasparetto, Angelo Vannucci, Marco Grassano, Marco Murineddu, Fabio Cenci, Giancarlo Orazi, Andrea Santambrogio, Fabio Rosica), e tre prefazioni: una mia, una di Alfredo Castelli, una di Giovanni Ticci. Castelli è, come al soluto, il più brillante. Ticci ricorda un amico, oltre che un maestro, perché fu proprio con Bignotti che Giovanni mosse i primi passi (realizzando con lui fumetti che formavano "Bignotticci"). Bignotti era un fulmine di guerra che però sapeva unire velocità di realizzazione (indispensabile nel fumetto seriale e popolare) a una grande qualità, unite alla capacità di raccontare. Un omaggio del genere era più che doveroso, e ringrazio gli artefici. Peraltro, nonostante si tratti di una pubblicazione amatoriale, lo standard è elevato, il corredo iconografico più che abbondante, la confezione assolutamente professionale.
Come accadde a Franco Donatelli, anche Bignotti venne precettato da Sergio Bonelli, per dar man forte a Gallieno Ferri che, dopo cinque anni di infaticabile lavoro, cominciava ad aver bisogno di aiuto per sostenere la produzione zagoriana. Donatelli arrivò sul finire del 1967, Bignotti qualche mese prima, a metà del 1966, con l’avventura “Il gigante ribelle”, scritta da Cesare Melloncelli (Collana Lampo, terza serie, n° 54). Per Bonelli, Bignotti era una garanzia. Infatti, lo aveva già sperimentato come affidabile e talentuoso collaboratore con “Un ragazzo nel Far West”, datato 1958. Nel libro-intervista “Come Tex non c’è nessuno”, Sergio Bonelli così risponde a Franco Busatta che gli chiede come avesse scelto il disegnatore per quel suo primo giovane eroe: «Lo scelsi sulla base di un incontro umano che creò subito tra noi un’ottima intesa lavorativa e che lo portò a diventare, in seguito, un insostituibile jolly per la casa editrice. In lui trovai, oltre che un ottimo professionista, un amico sempre pronto a dare una mano quando ce n’era bisogno». Infatti, in seguito Bignotti sarebbe stato utilizzato anche su Mister No e Martin Mystére, sempre riuscendo a entrare in sintonia con i personaggi e con i lettori, anche i più esigenti. Portano la firma di Bignotti, del resto, alcuni episodi memorabili dello Spirito con la Scure, da “Molok!” ad “Arrivano i samurai”, passando per “La rivolta dei trappers” fino alle sequenze finali de “L’ultima vittima”. Nonostante la sua velocità, la qualità della sua produzione risultava sempre più che dignitosa, spesso eccellente: ottima e abbondate, verrebbe da dire. Tant’è vero che disegnò anche Capitan Miki e Il grande Blek della EsseGesse per la Dardo e lavorò per la Lug di Lione e la Fleetway di Londra, in un frenetico susseguirsi di commissioni e di consegne. Negli anni Cinquanta ci furono anche le avventure western di Kansas Kid, della cui realizzazione grafica si occupò a un certo punto lo studio milanese di Rinaldo Dami, ovvero lo staff di quel Roy D’Amy autore di storie indimenticabili come, per fare un solo esempio, quella di Gordon Jim pubblicato dall’Audace nel 1952. Fra le tante collaborazioni bignottiane, una fra le meno conosciute è quella con Luciano Secchi, in arte Max Bunker: oltre ad aver illustrato alcuni brevi racconti apparsi su “Eureka”, Bignotti è anche riuscito a fare da inchiostratore a Magnus per vari episodi di Alan Ford, firmandosi con lo pseudonimo di Enrico Fanti. Fra i suoi allievi, oltre al nome di Giovanni Ticci, va ricordato anche quello di Claudio Villa: chiedete a lui, e anch’egli vi parlerà di Bignotti come di un secondo padre.

venerdì 26 febbraio 2021

LA GROTTA SACRA

 

 


Da giorno 11 febbraio 2021 è in distribuzione, negli shop on line e nelle fumetterie o nelle librerie (almeno in quelle più vispe, presso le altre si può ordinare), il quinto volume cartonato di "Zagor: le origini". Molto presto, entro aprile, uscirà il sesto e ultimo. "La grotta sacra" porta la mia firma per i testi e propone i disegni di una autentica guest star, Giovanni Freghieri (storico disegnatore di Dylan Dog e Martin Mystére), che ha saputo mettersi al servizio del personaggio restandone poi a tal punto conquistato da aver chiesto di poter disegnare altre avventure dello Spirito con la Scure (e lo abbiamo accontentato con la miniserie "Zagor Darkwood Novels"). Ls bella copertina è di Michele Rubini, i colori di Luca Saponti.
 
Il volume propone una versione rivista e corretta dello Speciale Zagor n° 13, “Darkwood Anno Zero”, dell’aprile 2001, disegnato da Gallieno Ferri e sceneggiato dal sottoscritto per celebrare i primi quaranta anni del personaggio. Tuttavia, sempre nell’ottica di unire in una unica narrazione i fatti del passato dello Spirito con la Scure disseminati in tutta una serie di pubblicazioni,  ci sono importanti elementi tratti appunto dal romanzo di Davide Morosinotto, "Zagor", oltre a precisi riferimenti a “La foresta degli agguati”, l’avventura di esordio. C’è infatti il primo, drammatico scontro con il malvagio Kanoxen, intenzionato a risvegliare gli spiriti del male: una lotta, quella fra i due, che rappresenta il banco di prova per tutte le imprese future dell'eroe.
 
"Darkwood Anno Zero" giunse a celebrare i quaranta anni dello Spirito con la Scure. Lo spunto di partenza era stato cercare di spiegare che cosa significhi il simbolo sulla casacca dello Spirito con la Scure, che rappresenta un’aquila stagliata contro il disco del sole. Io e Gallieno Ferri lo facemmo immaginando appunto l’incontro di Patrick Wilding con la bellissima Shyer, una strega indiana con il dono della chiaroveggenza, destinata a istruirlo sui misteri della spiritualità pellerossa e a investirlo della sua missione, aiutandolo a trovare il suo posto nella Ruota della Medicina.  Nella logica interna della miniserie, “La grotta sacra” serve appunto far confrontare Patrick Wilding con il lato magico della realtà e con la complessa spiritualità indiana. Indubbiamente il nostro eroe ha sempre dimostrato di conoscere bene l’indole religiosa dei pellerossa e l’intimo legame dei nativi con la magia più ancestrale, quella legata allo “spirito della terra”: bisognava capire chi lo avesse iniziato a certe conoscenze, dove essere acquisito la particolare sensibilità che Zagor ha sempre dimostrato. 
 

 
Che l'eroe avesse doti particolari quanto a "percezioni" lo si vede, peraltro, proprio nella prima avventura del 1961 (basterà guardare la striscia riprodotta qua sopra. . Nessun potere magico, per carità (Zagor non ne ha), ma certo anche il fatto di trovarsi sempre al centro delle più incredibili avventure testmonia una certa presposizione, una funzione da "catalizzatore".  In ogni caso, "La grotta sacra" è l'unico eoisodio, all’interno della miniserie, che potrebbero essere etichettato come “fantasy” (mentre nella serie regolare, come sappiamo, per una precisa scelta di Sergio Bonelli, ribadita più volte in molte interviste, le storie “fantastiche” si alternano con maggior frequenza a quelle “realistiche”).
 
L’importanza di Shyer nella saga zagoriana si capisce ancor meglio nel corso di altre storie, dove si spiega la sua appartenenza a una sorellanza risalente addirittura ad Atlantide, la stessa a cui rimanda il mito delle amazzoni, ma che ha le sue radici in tempi ancora più antichi, quelli in cui è nato lo sciamanesimo femminile. In “Darkwood Anno Zero” ancora Shyer sembra, per quanto carismatica e affascinante, ancora soltanto una sorta di strega, o di fata Morgana. In un altro racconto, “La progenie del male” (n° 550), pubblicato nella serie regolare nel 2011 e cioè in occasione del cinquantennale del personaggio, la sciamana viene inquadrata ina prospettiva assai più ampia e si preannuncia che Zagor si metterà alla ricerca delle Amazzoni, una comunità di donne guerriere di origine atlantidea, collegate alla sorellanza che il nostro eroe scopre a Machu Picchu, da cui si sono scisse in passato. 
 
Ne “La progenie del male” viene citata la "lingua degli antichi", ispirata da Umberto Eco che nel suo saggio "La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea" (1993) cita l'arcaica lingua aymara (un idioma andino parlato ancora oggi) per la sua struttura paragonabile a quella di un linguaggio informatico, al punto che sembra appunto costruita in laboratorio. La scrittrice spagnola Matilde Asensi ha dedicato all’argomento un romanzo molto avvincente, intitolato “L’origine perduta” (2003). Quando Zagor, ne “La progenie del male” comunica con la misteriosa "Matrice"  lo fa appunto parlando in aymara, che scopre di aver inconsciamente appreso proprio durante il suo soggiorno con Shyer, che lo ha reso depositario di conoscenze di cui lui stesso non è consapevole, destinate però a riemergere al momento opportuno (come accade, infatti, nel corso del lungo viaggio in Sud America, destinato a concludersi in Antartide, pubblicato sulla collana Zenith tra il 212 e il 2014). E sempre in quella lingua sono le arcane parole che Shyer pronuncia nel corso del rito con il quale, ne “La grotta sacra”, cura le ferite del giovane Pat. Per gioco, potete anche cercarne la traduzione. 
Su questo blog ne abbiamo parlato alre volte, per esempio  qui: http://morenoburattini.blogspot.com/2012/07/cuzco.html



domenica 21 febbraio 2021

TENENTE MARLO

 
 

 
Claudio Nizzi
TENENTE MARLO
Allagalla
cartonato, 2020
256 pagine, 30 euro


Allagalla prosegue la meritoria opera di ristampare, in volumi di pregio, praticamente tutta l'opera omnia di Claudio Nizzi extra bonelliana, e cioè tranne Tex e Nick Raider (in casa Bonelli, il versatile scrittore di Fiumalbo ha all'attivo anche alcune avventure di Mister No e la miniserie di Leo Pulp - anche se, in realtà, un episodio di Nick Raider, Allagalla è riuscita a pubblicarlo). Dopo aver riproposto in volume l'intera saga di Larry Yuma, varie riduzioni a fumetti in classici della letteratura, e un volume di storie brevi, tutti lavori originariamente pubblicati sul "Giornalino", ecco la raccolta completa degli episodi del Tenente Marlo, sceneggiati tra il 1977 e il 1980 sempre per la rivista delle Paoline. Un vero e proprio poliziesco d'autore, perché oltre ai testi di Nizzi si aggiungono le strepitose tavole di Sergio Zaniboni (1937-2017), un maestro del fumetto, noto soprattutto per Diabolik ma che qui, potendo esibirsi sul più ampio palcoscenico delle tavole di grande formate, riesce a dimostrare tutto il suo incredibile talento. Il tratto di Zaniboni caratterizza i "telefilm a fumetti" del Tenente Marlo come un prodotto duro e maturo, al di là del target del "Giornalino", settimanale per ragazzi pubblicato da una Casa editrice cattolica, dunque attenta ai contenuti dal punto di vista confessionale. Forse anche per questo, complice anche le difficoltà di Zaniboni nel realizzare in contemporanea Marlo e Diabolik, dopo una ventina di episodi (di lunghezza variabile tra le otto e le dodici tavole), Nizzi passa a realizzare un poliziesco più scanzonato, Rosco & Sonny, realizzato da Giancarlo Alessandrini. La saga di Mike Marlo è chiaramente alla base di Nick Raider per l'ambientazione americana e la caratterizzazione dei personaggi che ruotano attorno al 77° Distretto (numero che non può non far pensare anche all'87° Distretto dei gialli di Ed McBain). Non c'è solo il meccanismo poliziesco che Nizzi riesce a sviluppare, facendo miracoli, nelle pochissime pagine a disposizione, ma anche, nonostante gli spazi ristretti, è evidente lo sforzo dell'autore per dotare Marlo di un background personale, come la relazione con Mauren, vedova di un poliziotto ucciso, divenuta la sua compagna. "Oh, Mike! ...Perché la vedova di un poliziotto doveva attaccarsi così proprio a un altro poliziotto?" pensa la donna nella prima puntata. E nella seconda, dice: "Capisci perché non voglio sposarti? Ho paura, ogni volta che squilla il telefono mi sembra di tornare a sette anni fa, quando andrai a rispondere e mi dissero che Bob era rimasto ferito in uno scontro a fuoco e io capii che era morto." "Passerà, Mauren. Col tempo. Io non ho fretta". Strano, questo rapporto al di fuori dal matrimonio in avventure pubblicate negli anni Settanta su un settimanale cattolico. Anche se, a dire il vero, oggi fa più effetto il tabagismo di Marlo, che è sempre con la sigaretta in bocca. In appendice al volume, Paolo Zaniboni, figlio e collaboratore di Sergio, parla di suoi padre (con un interessante corredo di immagini anche della vita privata).

sabato 20 febbraio 2021

53 STORIE BREVI

 

 


 

Claudio Nizzi
53 STORIE BREVI
Allagalla
cartonato, 2020
410 pagine, 45 euro


Un vero tomo enciclopedico, questo, di grande formato, come si conviene del resto non soltanto al nome dell'autore che spicca in copertina, Claudio Nizzi, ma anche a quelli dei tredici disegnatori delle cinquantatré storie brevi contenute nel volume. Tredici nomi tra cui brillano delle autentiche stelle (ognuno scelga i preferiti): Carlo Boscarato, Alessandro Chiarolla, Santo d'Amico, Pietro Gamba, Ruggero Giovannini, Sandro Lobalzo, Attilio Micheluzzi, Nino Musio, Renato Polese, Nadir Quinto, Antonio Sciotti, Sergio Zaniboni, Nevio Zeccara. La raccolta raduna racconti di cinque o sei tavole ciascuno, con eccezioni di poco più lunghe, ogni tavola però di una decina di vignette, pubblicati sul settimanale "Il giornalino", delle Edizioni Paoline, tra il 1969 e il 1972 (con tre casi invece più recenti (degli anni Ottanta e Novanta). Spiega Claudio Nizzi, che nella sceneggiatura di storie per "Il Giornalino" è stato prolifico tanto quanto in quelle di Tex: "Quando, nel 1966, chiuse i battenti 'Il Vittorioso', smisi di scrivere fumetti e per i successivi tre anni collaborai con racconti e romanzetti a riviste femminili. Nel 1969 il direttore de 'Il Giornalino' (settimanale per il quale in passato avevo scritto novelle e servizi tipo 'Il mistero dei salmoni' o 'La vita dei castori') mi comunicò che la rivista si trasferiva da Roma a Milano - rinnovata nel formato e nei contenuti - e che gli servivano storie a fumetti molto brevi. Lasciai le riviste femminili e accettai l'offerta del 'Giornalino'. Sul tipo di storie avevo libertà completa: potevano essere d'ambientazione storica (che ho sempre evitato) o moderna, avventurosa, western, poliziesche, di fantascienza (sempre evitata). Unica condizione, rispettare i canoni educativi di una rivista destinata ai ragazzi, per di più cattolica". Claudio Nizzi, con grande professionalità, riesce a giostrarsi bene nel limiti delle poche tavole a disposizione, dimostrandosi perfettamente capace di caratterizzare personaggi e presentare situazioni sempre diverse nonostante la brevità dei racconti. I disegnatori, ognuno con il proprio stile, lo assecondano abilmente, anche loro riuscendo a trarre il massimo dalle vignette concesse. Sfogliando il volume, si viene colti dalla nostalgia per questo tipo di fumetti, per le riviste dove venivano pubblicati, per la libertà di spaziare concessa agli autori.

venerdì 12 febbraio 2021

L'UOMO VESTITO DI NERO

 
 

 
Stephen King
L'UOMO VESTITO DI NERO
Sperling & Kupfer
cartonato, 2020
130 pagine


Nel 2002, tra i racconti contenti nell'antologia "Tutto è fatidico", Stephen King inseriva anche "L'uomo vestito di nero", che sarebbe vinto due importanti premi , il "World Fantasy Award" e "O.Henry Award", con grande meraviglia dello stesso scrittore - come lui stesso confessa nella postfazione. In effetti, da ringhiano, un po' me ne meraviglio anch'io dato che, tutto sommato, "L'uomo vestito di nero" non mi era sembrato il migliore della raccolta. La trama, in fin dei conti, è soltanto quella di un bambino a cui un giorno pare di incontrare l'Uomo Nero e la paura se la ricorda tutta la vita. A distanza di diciotto anni, la storia viene riproposta in una edizione a parte, impreziosita da due valori aggiunti: le illustrazioni di di Ana Juan, e il racconto "Il giovane signor Brown", di Nathaniel Hawthorne, che King reputa non solo una delle sue fonti di ispirazione, ma uno dei racconti più belli della letteratura americana - e che, in effetti, è molto ma molto bello. Protagonista de "L'uomo vestito di nero" è Gary, uomo ormai molto avanti con gli anni, che scrive, non sapendo chi leggerà le sue parole ma solo per liberarsi di una angoscia che lo attanaglia (perché la scrittura è anche liberazione),a proposito di un accadimento della sua infanzia, da cui venne traumatizzato, il cui ricordo lo ossessiona da una vita. Accadimento in realtà molto semplice, all'apparenza: da ragazzino, Gary va a pescare lungi un torrente, spingendosi un po' oltre il punto che i genitori gli avevamo raccomandato di non superare (tutti i bambini hanno il senso di colpa di aver fatto quello che la mamma ha detto di non fare), e lì si imbatte in una figura misteriosa di nero vestita, nei cui occhi brillano le fiamme dell'inferno. L'Uomo Nero gli dice che sua madre è morta, in seguito a una punta di ape, la stessa cosa cioè che ha ucciso poco tempo prima il fratello di Gary, e che è affamato, per cui lo divorerà. Gary fugge a rotta di collo, sfugge all'inseguitore, si imbatte nel padre che lo rassicura sulla sorte della mamma e con lui torna sul luogo dell'incontro: l'Uomo Nero non c'è più, ma il padre, turbato dallo strano odore di zolfo, preferisce non cercare oltre e riporta il figlio a casa. Gary cresce e invecchia sempre nel terrore che il Diavolo possa tornare a cercarlo, più affamato di prima. Il tema è dunque quello delle paure infantili e dei traumi che lasciano. Si potrebbe leggerci anche il senso di angoscia che colpisce i sopravvissuti: di due fratelli, Gary è quello rimasto vivo. Perché lui sì e l'altro no? Forse è scampato alle grinfie della morte che sta cercando anche lui? L'Uomo Nero mette paura al ragazzino anche facendogli credere che gli è morta la mamma: ecco la paura dell'abbandono. Insomma, l'infanzia non è proprio de tutto serena. L'Uomo Nero è sempre in agguato. "Il giovane signor Brown", di Nathaniel Hawthorne, è invece un apologo sul farisaismo del puritanesimo: la comunità puritana apparentemente perfetta in cui il giovane Brown vive si rivela composta in realtà (o forse non del tutto in realtà, ma in sogno o visione) da appartenenti a una setta di adoratori del demonio, ma all'apparenza sono tutti dei buoni cristiani.

mercoledì 10 febbraio 2021

NOVISSIMI LIMERICK PISTOIESI

 
 

 
Paolo Beneforti
NOVISSIMI LIMERICK PISTOIESI
Autoproduzione
2019, brossura
110 pagine, p.n.i.


Cominciamo con lo spiegare, innanzitutto, cos'è un limerick. Si tratta sostanzialmente di un breve componimento poetico in cinque versi, le cui rigide regole vennero stabilite dal poeta inglese Edward Lear (1812-1888) nella seconda metà dell'Ottocento. Limerick è anche una città dell'Irlanda ma non c'entra niente (o forse c'entra ma non è ben chiaro come). Si tratta di poesiole umoristiche, perlopiù nonsense, ognuna delle quali indica un personaggio e il suo luogo di provenienza, giocando con le rime (che seguono dunque lo schema AABBA) a costruirne un ritratto bislacco. Il primo verso introduce il protagonista, l'ultimo lo saluta, a volte caratterizzandolo con un aggettivo in più. Nella metrica inglese, i primi due versi e l'ultimo contano tre piedi (quindi tre accenti), il terzo e il quarto soltanto due. Dato che un esempio vale più di mille spiegazioni, ecco dunque in limerick tratto dalla raccolta di cui stiamo per parlare.

Un prete infervorato di Momigno
girava con lo sguardo sempre arcigno.
"Fanno quel che gli pare
poi si vengono a confessare!"
Pensava quel prete su a Momigno.

L'esempio serve anche a segnalare la caratteristica principale dei limerick di Paolo Beneforti, libraio ma anche disegnatore pistoiese: hanno per protagonisti personaggi abitanti ciascuno in una diversa località in provincia di Pistoia (con excursus pisani). Località scelte in funzione, per lo più, del loro buffo nome. Spiega Beneforti nella sua introduzione: "Tra i nomi delle frazioni dei comuni italiani si annoverano suoni di rara bellezza. Strangolagalli. Malocchio. Femminamorta. Ficarazzi. Ma ancora più suggestivi, secondo me, sono quei toponimi senza alcun legame apparente con parole italiane in uso: Fiobbo. Strappa. Botro. Aprite la cartina di un qualunque comune italiano e trovate nomi capaci di generare musiche, novelle, video in 3D. Vere poesie dadaiste di una parola sola".
Come giustamente nota l'autore, i limerick, presentando personaggi sempre diversi, si prestano in modo straordinario a venire illustrati visualizzando il protagonista. E difatti, ecco Beneforti (che ha talento di vignettista e caricaturista da vendere) affiancare a ogni composizione un suo schizzo. Il fatto che la raccolta si intitoli "Novissimi limerick pistoiesi" non significa che ne esista una precedente rispetto alla quale le composizioni contenute sono più nuove. Però, l'autore non esclude di dare un seguito alla cosa, realizzando altri limerick con le frazioni e le località mancanti. L'unico difetto di questo aureo opuscolo è che è non ha un editore ed è autoprodotto. Provate a chiederlo alla libreria Les Bouquinistes in via dei Cancellieri 5, a Pistoia.

lunedì 8 febbraio 2021

IL CODICE DELLA VENDETTA

 

 
 
Pasquale Ruju
IL CODICE DELLA VENDETTA
Edizioni e/o
2021, brossurato
240 pagine, 17 euro


"Zanna e io ci facciamo compagnia da quattro anni, tre libri e più di seicento pagine. Un bel viaggio, sul serio. Talmente bello che vien voglia di ripartire." Così scrive Pasquale Ruju (sceneggiatore di fumetti, prima che scrittore di noir) nei suo ringraziamenti finali. In effetti Francesco Livio Zannargiu, in arte Franco Zanna, ha ormai all'attivo tre avventure, a partire da "Nero di mare" (2017) a cui ha fatto seguito "Stagione di cenere", prima di questo "Il codice della vendetta" (c'è un romanzo di esordio, "Un caso come gli altri", in cui Zanna non compare). Il protagonista è un fotoreporter attivo in Sardegna, sul jet set delle ville dei VIP e dei locali alla moda, ma non ha la vocazione del paparazzo. Lo fa per vivere, dopo aver cominciato come cronista di nera ma aver pestato i piedi a qualcuno di troppo, che per vendetta lo ha costretto a lasciare sul Continente la moglie e la figlia, contro cui erano state minacciate ritorsioni, e a ritirarsi a vivere una vita randagia e solitaria sull'Isola, senza poter spiegare niente neppure a loro, che per anni lo hanno considerato una sorta di disertore (i retroscena ci erano stati spiegati in "Nero di mare"). Adesso, a Zanna si offre la possibilità di riallacciare i rapporti con  la famiglia e saldare il conto a Alfio Di Girolamo, detto il Catanese, killer di mafia, uno dei responsabili della sua via crucis. La vendetta ha un preciso codice barbaricino, addirittura studiato e messo su carta negli anni Cinquanta dal giurista e filosofo Antonio Pigliaru: deve essere implacabile ma proporzionata al male subito, e riservata solo a chi davvero il male lo ha fatto, senza ombra di dubbio. Per questo Zio Gonario, parente di Franco Zanna e bandito sardo gentiluomo che vive un clandestinità, fa riflettere il nipote sull'opportunità e sulle conseguenze dei suoi propositi. Oltre a Gonario, che già conoscevamo, tornano sulla scena altri personaggi (oltre Carla e Valentina, la moglie e la figlia del fotografo) come Irene, la direttrice dell'agenzia per cui Zanna lavora, e Cosima, la barista di Porto Sabore, là dove Franco vive nella sua Catapecchia (un personaggio pure lei, volendo) in compagnia di Gatto, che però ci tiene a restare selvatico. La trama della vendetta si intreccia alle indagini di Zanna su quanto realmente accaduto durante una festa esclusiva in cui un Soggetto non precisato, pezzo grosso delle cronache mondane, è stato derubato. Come conseguenza, la sua fidanzata sudamericana, Delicia Flores, viene uccisa da dei pericolosi narcotrafficanti. Ma seguono altre due vittime, in un susseguirsi di colpi di scena, inseguimenti e agguati, mentre il Catanese, da preda designata della vendetta di Zanna, rischia di diventarne il cacciatore. Bravo Ruju a tenere alta la tensione, e a architettare una trama credibile attorno a un protagonista molto umano, senza superpoteri.

domenica 7 febbraio 2021

LA FAMIGLIA MANZONI

 
 

 
Natalia Ginzburg
LA FAMIGLIA MANZONI
Einaudi
cartonato, 1983
350 pagine, 18000 lire


Vent'anni dopo il suo "Lessico famigliare", Natalia Ginzburg ne scrive uno dedicato a un'altra famiglia, anch'essa piena di parenti e di amici importanti, colti nella loro intimità domestica: quella di Alessandro Manzoni. In realtà, come spiega l'autrice, e come ben sottolinea il titolo, la sua non è una ricostruzione incentrata sulla figura di Alessandro, l'autore dei "Promessi Sposi", che alla fine risulta solo uno dei personaggi in un ritratto di gruppo parecchio affollato, ma proprio su una famiglia intera seguita per oltre cento anni, dal 1762 (nascita di Giulia Beccaria, figlia di Cesare e madre di Alessandro), fino a 1907 (morte di Matildina, figlia di Vittoria, settima figlia di Alessandro). Come la famiglia di origine della Ginzburg, figlia dell'illustre biologo Giuseppe Levi e frequentata da gente come Filippo Turati, Cesare Pavese, Adriano Olivetti, la famiglia Manzoni, non particolarmente ricca e non nobile, finisce per essere al centro di un giro di illustri personaggi, da Carlo Imbonati a Claude Fauriel, da Niccolò Tommaso a Giuseppe Giusti, ma anche Massimo d'Azeglio e Antonio Rosmini. La Ginzburg non si sofferma né sulle opere letterarie di Alessandro Manzoni, né sugli accadimenti storici del Risorgimento, né sulle idee politiche dei personaggi. Se ne accenna, certo, ma solo perché parte del vissuto quotidiano. La conversione al cattolicesimo di Enrichetta Blondel (prima moglie di Alessandro), per esempio, viene analizzata principalmente per i forti dissapori che provocò tra lei e la famiglia di origine, calvinista. Stupiscono, proprio dal punto di vista del vissuto quotidiano, le assurde regole (impraticabili) dettate dall'abate Degola a Giulia Beccaria e alla stessa Enrichetta per il loro percorso di fede. All'autrice interessano soprattutto gli aspetti domestici: i soggiorni estivi in campagna, i viaggi, le frequentazioni, i rapporti tra il parentado. Alessandro Manzoni, alla fine del saggio, ne esce come una gran brava persona, moderno anche nei suoi frequenti attacchi di ansia, umano nella sua balbuzie. Odiosi, invece, un paio dei suoi nove figli, Filippo e soprattutto Enrico, che sperperano il denaro e mendicano senza vergogna assistenza paterna lasciano ovunque debili da pagare. Le pecore nere ci sono in ogni famiglia, insomma. Colpisce, leggendo, l'estrema frequenza in cui qualcuno si ammala, resta tra la vita e la morte, si riprende, ha ricadute. Del resto, tanti dei protagonisti, tormentati da malattie senza fine, muoiono giovani: Enrichetta Blondel a quarantadue anni, la prima figlia Giulietta a ventisei anni. Si resta sbalorditi dalle assurde cure a cui gli ammalati sono sottoposti (di continuo, per esempio, ai salassi con le sanguisughe) e da come i medici brancolino nel buio. Un aspetto negativo del saggio della Ginzburg, costruito esaminando i diari le memorie e l'epistolario dei protagonisti, il continuo ricorso a interminabili citazioni dalle loro lettere. Pagine e pagine di lettere scritte in un linguaggio il più delle volte noioso perché rispondente a un modo di esprimersi prolisso e formale. Si preferirebbe che la Ginzburg riassumesse, ricostruisse le vicende, filtrasse. Ci si rende conto, comunque, di come fossero proprio le lettere il principale modo attraversi il quale si conservavano i rapporti famigliari, almeno nelle famiglie i cui membri sapevano scrivere e potevano permettersi i soldi dei francobolli.

sabato 6 febbraio 2021

LA FINE DEL MONDO

 
 



 
Alfredo Castelli
Giovanni Freghieri
Tiziano Sclavi
LA FINE DEL MONDO
Sergio Bonelli Editore
cartonato, 2020
180 pagine, 19 euro

Nell’ottobre del 1990 e poi in quello del 1992 uscirono in edicola due albi speciali di Martin Mystère in coppia con Dylan Dog, scritti da Alfredo Castelli insieme a Tiziano Sclavi: “Ultima fermata: l’incubo!” e “La fine del mondo”. Le storie erano state precedute da apparizioni “cameo” negli albi regolari delle rispettive serie. Il team-up fra il Detective dell'Impossibile e l'Indagatore dell'Incubo era stato fortemente voluto dal BVZA, che riuscì a convincere Sergio Bonelli e il Tiz che, stando a quanto racconta Castelli stesso nella postfazione al volume cartonato che ha ristampato la prima avventura, non erano, inizialmente, del tutto entusiasti e che, in corso d'opera, pare avessero palesato qualche mugugno. Ma il redazionale dell'albo che pubblicò il secondo team-up rivela che cosa accadde: "Il primo DD & MM, in realtà, doveva rimanere un numero unico, ma le vendite stratosferiche e, soprattutto, le vostre lettere hanno convinto Bonelli a dargli un seguito". Se: "Ultima fermata l’incubo" (di cui abbiamo parlato in questo blog, come potete vedere cliccando) era stato scritto da Castelli e supervisionato da Sclavi, "La fine del mondo" venne scritto da Sclavi e supervisionato da Castelli: si è così potuto notare il differente approccio alla narrazione, decisamente più “martinmysteriano” in un caso e più “dylandoghiano” nell’altro”. Nel 2018 c'è stato un terzo team up, "L'abisso del male", scritto da Carlo Recagno (e allargato anche alla partecipazione di Zagor). Tutti e tre gli incontri sono stati realizzati graficamente da Giovanni Freghieri. Nel Nel 2019 e nel 2020 la Bonelli ha ripubblicato le prime due avventure in altrettanti volumi cartonati. Rileggendo "La fine del mondo" (che inizia esattamente là dove si era interrotto l'episodio precedente, ma che poi prende del tutto un'altra strada, anzi, parecchie altre strade) si nota come Sclavi, per scelta o per istinto, non abbia cercato in alcun modo di "mysterizzare" la sua storia (mentre Castelli si era sforzato di "dylaniare" la sua), dando vita a una sorta di Hellzapoppin' apparentemente senza né capo né coda, giocato comunque sui prodromi dell'Apocalisse e sulle visioni della Fine del Mondo, in cui la suggestione delle immagini e dei paradossi conta più che il senso logico e la sensatezza del narrato. Se Castelli, in Martin Mystère, offre tutta la documentazione utile al racconto, Sclavi a un certo punto, quasi provocatoriamente, inserisce alcune informazioni scientifiche su un animale inesistente, un insetto, ma precisa, rivolgendosi direttamente al lettore: "di biologia non so un granché". Tutta la storia è percorsa del resto da tentativi, riusciti, di marcare le differenze tra Dylan e Martin, che si riempiono di cazzotti a ogni più sospinto, e, pare di capire, fra Sclavi e Castelli. Scrive Franco Busatta nella sua postfazione: "Se questa storia non ha rappresentato la fine del mondo, di certo ha siglato la fine del loro sodalizio". Sodalizio di cui lo stesso Busatta traccia la storia, iniziato con qualche primo incontro al salone di Lucca, dove il giovane Tiziano andava da semplice lettore accompagnato dalla madre, e proseguito nella redazione del Corriere dei Ragazzi prima dello sbarco di entrambi, in tempi diversi, in casa Bonelli. "Quando i Nostri si ritrovarono a unire gli ingegni per mettere in cantiere questo team up, le loro carriere erano al top e le loro visioni autoriali, ormai perfettamente focalizzate, avevano preso strade molto lontane, per lo stile di scrittura e per il modo in cui l'immaginifico, la scienza, il fantastico e l'inconoscibile venivano trattati. Sempre lirico, elusivo e labirintico quello sclaviano, mentre quello castelliano si distingueva per la netta vocazione alla divulgazione. Non è quindi un caso, che dopo 'La fine del mondo', i loro due sentieri non si siano più incrociati, se non in maniera sporadica", scrive ancora Busatta. Una annotazione a proposito dell'insetto immaginario la cui estinzione (a causa di una imprevedibile pioggia nel deserto di Atacama, in Cile, dove non piove mai) causa la fine del mondo con la complicità degli alieni del pianeta AIW (acronimo anche di "Alice In Wonderland") e di un ragazzino dotato di poteri paranormali che si mette in contatto con loro grazie a un computer costruito con una vecchia macchina da scrivere e la tromba di un grammofono. L'insetto si chiama Pisum Alatum. Lo stesso nome dato da Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, a un rarissimo coleottero che Cico usa come esca per pescare nel classico zagoriano intitolato "Il mostro della laguna". Peccato che Giovanni Freghieri, per il resto inappuntabile, non gli abbia dato lo stesso aspetto