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venerdì 5 marzo 2021

LETTERE DALLA FINE DEL MONDO


 
 
Massimiliano Parente
Giorgio Vallortigara
LETTERE DALLA FINE DEL MONDO
La nave di Teseo
2021, brossurato
288 pagine, 18 euro

Scrive Massimiliano Parente a pagina 250: "Se questo nostro epistolario diventerà un libro, mi aspetto già le critiche che gli saranno mosse, perché a recensirlo saranno comunque persone credenti, letterati credenti, scienziati non credenti ma che non vogliono offendere le credenze, e comunque irreparabilmente ottimisti, oppure ruffiani. Tu te la caverai, perché hai un linguaggio gentile che sembra (sembra!) lasciare delle aperture, io no, perché non ho mezzi termini, e dunque sarò definito, come sempre, nichilista, materialista, eccetera, tutte queste belle invenzioni degli spiritualisti (sebbene non abbia mai visto uno spiritualista dire le sue idee spiritualiste facendo a meno della materia del suo cervello)". E in effetti è così: benché entrambi (uno scrittore che voleva essere uno scienziato e uno scienziato che voleva essere uno scrittore) siano su posizioni simili riguardo al trascendente (Vallortigara è autore anche di un saggio, "Nati per credere", in cui si studiano i meccanismi biologici della fede), il modo di porsi e proporsi dei due è differente. Parente è sempre lo straordinario e irrefrenabile polemista di "Scemocrazia" (ne ho parlato qui http://utilisputidiriflessione.blogspot.com/.../scemocraz...), vittima di un pessimismo cosmico che gli fa sembrare (come dargli torto, del resto?) senza senso l'esistenza umana e il cosmo intero, senza possibilità di appello, e assurdi, se non grotteschi, i peana in onore della vita, da lui intesa come nient'altro che un divenire casuale privo di scopo. Vallortigara, senza cercare di dare alla realtà un senso che non ha, gioca però a fare l'antropologo nel villaggio degli indigeni. Scrive: "Una volta si diceva: o fai l'antropologo o fai il missionario. Se aderisci ai riti della tribù, le credenze le puoi studiare dall'interno (e aderire ai riti non significa riconoscercisi), e questo è il lavoro dello scienziato. Diverso è fare il missionario, il quale le credenze della tribù aspira a cambiarle. Non sono interessato a fare il missionario. Questione di gusti. Mi interessa, e molto, capire perché le persone credono quello che credono, ma non sento alcuna spinta a modificarne le credenze". Vallortigara non crede che la vita abbia un senso a priori, ma che glielo diamo noi perpetuandola. Il senso della vita è viverla. Il dibattito fra i due è vivace e talvolta elettrizzante, con continue citazioni letterarie e rimandi a esperimenti di studiosi riguardanti le convenzioni sociali e le credenze più diffuse (rapporti tra i sessi, atteggiamenti antiscientifici, la morte, l'amore, la bellezza, l'arte), spiegate su basi biologiche. Parente rifiuta di datare le sue lettere con il calendario che conta gli anni dalla nascita di Cristo e lo da dal 1859, anno della pubblicazione de "L'origine della specie" di Charles Darwin, e quindi il 2020 AD diventa il 161 DD. Del resto, come dice Richard Dawkings, più volte citato, di fronte alle eterne domande "chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?" bisognerebbe eliminare tutte le rispose date prima di Darwin. Una lettura stimolante, che invita a leggere la ricca bibliografia a cui rimandano le note.

mercoledì 18 luglio 2018

GAVINANA



Gabriele Strufaldi
GAVINANA
Associazione Domenico Achilli
2018, brossurato
150 pagine, p.n.i.

La cosa che colpisce leggendo libri quale questo di Gabriele Strufaldi, è come si sia persa la memoria della storia locale mancando documenti e certezza di testimonianze e come questa evanescenza di ricordi riguardi anche anni insospettabilmente recenti. Peraltro, mancano spesso anche indagini archeologiche condotte sul posto e, soprattutto, nel posto giusto. Perciò ecco che, allo stato attuale delle conoscenze, risulta persino difficile stabilire a quando risalga il campanile di Gavinana,  borgo sulla Montagna Pistoiese dove, nel 1530, si combatté la celebre battaglia in cui perse la vita il capitano fiorentino Francesco Ferrucci e con lui finì la Repubblica nata a Firenze dopo la cacciata dei Medici del 1527. Una località, dunque, di importanza storica riguardo la quale ci si aspetterebbe una conoscenza approfondita. Invece risulta impossibile stabilire persino l'aspetto che il paese ai tempi della battaglia. Gabriele Strufaldi, che in passato è stato anche sindaco di San Marcello (il comune nel cui territorio si trova Gavinana) confronta fra di loro tutte le testimonianze note e le risultanze di scavi sporadici eseguiti in passato, valuta le ipotesi fatte o che si possono fare, e arriva a porre più dubbi di quanti giunga a risolverne: il che si rivela utile e costruttivo perché indica in quali direzioni indagare. L'autore formula però almeno una teoria di cui si dice ragionevolmente sicuro, argomentandola in modo ineccepibile (pur in mancanza di riscontri definitivi e certi): il nucleo originale del paese non si sarebbe trovato né nell'attuale zona chiamata Castello, né avrebbe circondato la pieve romanica (datata attorno al 1100), vale a dire le due tesi prevalenti in passato, ma si può forse circoscrivere in quella parte di Gavinana che oggi si identifica con il Collecchio, attorno all'attuale Palazzo Achilli. Personalmente, lette le motivazioni, mi trovo d'accordo. Accanto a questa ricostruzione storica, Strufaldi traccia le vicende della donazione (o meglio, dell'eredità) di Domenico Achilli alla comunità gavinanese, depredata da consorterie e da infedeli amministratori, e anche del Teatro, vanto degli abitanti, costruito su base volontaria da muratori e operai del paese all'inizio del Novecento, e di recente abbattuto dopo un lungo abbandono. Il saggio è destinato soprattutto ai paesani e resterà come un importante testo che fa il punto della situazione in attesa di una ripartenza degli studi e delle indagini: non a caso l'edizione è curata da una (benemerita) associazione locale. Una maggiore chiarezza a vantaggio dei non gavinanesi e una più ampia parte iconografica avrebbe favorito la diffusione anche al di fuori della cerchia delle mura del borgo, dovunque in passato si siano effettivamente trovate. 

venerdì 23 febbraio 2018

MORTALITA'





MORTALITA'
di Christopher Hitchens
Piemme, 
2012, 100 pagine
cartonato, 12 euro

"Tra le più lucide e illuminanti pagine sulla condizione umana": così il New York Times ha recensito questo aureo libretto che raccoglie gli ultimi scritti di Hitchens, giornalista, polemista, intellettuale e conferenziere. Di lui, Richard Dawkins ha detto: "era il più grande oratore del nostro tempo", per la sua capacità di catturare e infiammare le platee. Ne abbiamo parlato, qui e sul blog, a proposito del libro "Processo a Dio", che raccoglie la discussione svoltasi durante un celebre dibattito televisivo dello scrittore con Tony Blair a proposito della religione, e ancora dopo parlando del saggio "La posizione della missionaria" in cui Hitchens puntava l'indice contro Madre Teresa di Calcutta (potete ritrovare tutte e due le mie recensioni da qualche parte nel mare magnum di "Freddo cane in questa palude"). Ma, soprattutto, Hitchens è l'autore del fondamentale "Dio non è grande" (fondamentale anche per chi crede, perché non si può prescindere dal considerare le idee dello scrittore, e nel caso replicare). Nel giugno 2009, mentre era impegnato nel tour promozionale della sua autobiografia "Hitch 22" (anch'essa imperdibile, edita in Italia da Einaudi), al giornalista viene diagnosticato un tumore all'esofago andato in metastasi. Nei successivi diciotto mesi, Hitchens racconta su "Vanity Fair" tutte le fasi della lotta contro il male (anche se scrive: "non sono io che combatto il cancro, è il cancro che combatte contro di me"), mettendo per scritto in modo lucido e impietoso sia le descrizioni delle sofferenze sia il dipanarsi delle sue riflessioni sulla vita e sulla morte. Gli articoli sono stati appunto raccolti in questo libro, e non smentiscono in nulla il grande talento dell'autore sia come polemista (formidabili le sue risposte a chi sosteneva che la sua malattia fosse una punizione divina e ne gioiva) sia come indagatore in campo letterario, filosofico, sociologico, politico. Commoventi gli ultimi appunti rimasti incompleti, raccolti nel capitolo conclusivo, tra cui questo aforisma che racconta tutto di lui: "Se mi converto sarà perché è meglio che muoia un credente che un ateo". Hitchens è morto nel dicembre 2011.


sabato 15 luglio 2017

IL CASO O LA SPERANZA?



IL CASO O LA SPERANZA?
UN DIBATTITO SENZA DIPLOMAZIA
di Paolo Flores D'Arcais e Vito Mancuso
Garzanti
2013, 160 pagine, 14 euro

Davvero senza esclusione di colpi, questo scontro fra filosofi sul sempiterno tema del rapporto fra la fede e la scienza. Flores D'Arcais (ex leader sessantottino e direttore della rivista "Micromega") invita Mancuso (il controverso ma illuminato e illuminante teologo laico de "L'anima e il suo destino") a dialogare su Dio e sulla trascendenza e ne viene fuori un testo bellissimo da leggere e da meditare. Tutt'altro che facile, va detto: i due contendenti sono preparatissimi in campo sia filosofico che scientifico, e le citazioni dotte si alternano a riferimenti culturali di amplissimo respiro, sia a pensatori del passato (questi, più facili da cogliere) che nostri contemporanei (questi, più ostici ma di grande interesse). Tuttavia, il botta e risposta tra i due agguerriti disputanti è efficace e coinvolgente e il saggio basta a se stesso, cioè si può leggere anche senza aver letto Wittgenstein o Kant (di cui si parla spesso). Volendo riassumere in nuce le posizioni dei due, Mancuso non difende alcun dogma della Chiesa Cattolica ma semplicemente (se "semplicemente" si può dire in questo caso) la fede in un Dio creatore che guida l'evoluzione in direzione del Bene; Flores D'Arcais, dal canto suo, professa la non necessità di un ente divino per spiegare un universo che si spiega da solo e che, anzi, testimonia piuttosto l'insussistenza di qualunque prova di una trascendenza che vada al di là delle leggi fisiche (quelle che conosciamo e quelle che conosceremo). Mancuso scrive: "All'interno di questo mondo dai molti possibili significati io credo un Dio e nell'anima immortale perché credo al bene e all'amore come significato ultimo dell'essere e della vita; credo in Dio e nell'anima immortale in quanto attribuisco al bene e all'amore il primato ontologico, e non solo etico, della vita". D'Arcais risponde: "Nulla da obiettare, fatti pure il tuo film ma non lo spacciare però come un 'sapere'". Da leggere, se vi attizza l'argomento.