domenica 31 dicembre 2023

LA STORIA INFINITA

 
 
 

 
Michael Ende
LA STORIA INFINITA
Longanesi Editore 
1986
Collana La Gaja Scienza
Traduzione di Amina Pandolfi
cartonato - 450 pagine


Un libro che contiene tutti gli altri libri. Uno dei dieci da portare sull’isola deserta. Un libro che si può leggere ai bambini di sei anni, ed esserne partecipi, a sessanta, come loro e più di loro. Non c’è una sola storia da raccontare, ce ne sono infinite, e tutte senza fine. Fantàsia muore quando muore la fantasia, e quando nessuno più crede alle storie. Torna a vivere quando qualcuno ne trova altre da narrare e altri a cui narrarle. Ma nello stesso tempo,  la vita di ciascuno è una Storia Infinita dove ci si può perdere diventando cattivi, o redimersi raggiungendo la fonte dell’Acqua della Vita. Il romanzo di Michael Ende è geniale e complicatissimo, benché godibile a ogni livello. Che si tratti di un libro di idee è evidente fin dalla scelta degli inchiostri bicromatici, con il rosso per le parti in cui Bastiano Baldassarre Bucci (il ragazzo grassoccio protagonista del romanzo) si trova nella nostra realtà, e verdi per le parti ambientate a Fantàsia, prima e dopo la Nuova Creazione. Il libro che Bastiano ruba nel negozio del signor Coriandoli è lo stesso che il lettore stringe in mano mentre lo legge, come se noi stessi fossimo i protagonisti. E il coinvolgimento continua nei mille personaggi fantastici e tutti diversi ma potenti che si susseguono nei ventisei capitoli (uno per ogni lettera dell’alfabeto). La Storia Infinita insegna ciò che anche la vita (la personale storia infinita di ciascuno di noi, con i mille bivi e le mille storie incompiute che generano altre storie, da cui è composta) dovrebbe insegnare: a essere noi stessi. “Fa’ ciò che vuoi”, è il motto inciso su Auryn, l’amuleto magico che schiude tutte le porte, a Fantàsia. Fare ciò che si vuole genera Fantàsia ma degenera l’io, se finisce per significare solo “fare ciò che si desidera” e non “fare ciò che si è”. Perché, in fondo, ciò che la vita insegna è che più si è, meno si fa.

sabato 30 dicembre 2023

TRE UOMINI IN BARCA

 


 
Jerome Kapkla Jerome
TRE UOMINI IN BARCA
(PER NON PARLAR DEL CANE)
Feltrinelli
Universale Economica
Brossura, 2013
210 pagine, 8.50 euro


E’ dal 1889 che Three Men in a Boat (To Say Nothing of the Dog) fa ridere il mondo (almeno quello occidentale, poi può darsi che arabi, cinesi o polinesiani ridano di cose loro), e io non credo di aver mai letto nulla di più divertente. Sicuramente l’umorista inglese Jerome Kapkla Jerome, (Kapkla è una errata trascrizione anagrafica per Clapp) va considerato tra i benefattori dell’umanità. Nato nel 1859, scomparso nel 1927, in gioventù passò da un impiego all’altro facendo anche l’attore teatrale prima di lavorare come giornalista. Nel 1888 sposò Georgina Stanley Marris (da lui chiamata Ettie), strappandola a un precedente marito (evidentemente meno simpatico di lui), e la portò in una romantica luna di miele lungo il Tamigi risalendo e costeggiando il fiume per alcuni giorni a bordo di una barca a remi. Al ritorno, gli venne l’idea di scrivere una guida turistica per chi avesse voluto fare altrettanto, e propose al suo editore un manuale intitolato “La storia del Tamigi”. Per rendere più accattivanti le descrizioni storico e geografiche, Jerome cominciò però a intervallarle con aneddoti umoristici. L’editore ne fu così divertito che impose all’autore di ridurre al minimo la parte didascalica e dar spazio alla comicità quanto più possibile. “Tre uomini in barca”, insomma, nacque per caso. I tre uomini sono lo stesso Jerome (che narra in prima persona), più due suoi amici, Harris e George, e un fox terrier chiamato Montmorency, protagonista come gli altri a pieno titolo. Tutti e tre gli uomini in barca sono esistiti veramente, così come vengono descritti e caratterizzati: Harris si chiamava in realtà Carl Hentschel, George faceva di cognome Wingrave ed era davvero un impiegato di banca, per qualche tempo coinquilino di Jerome. L’equipaggio parte per una gita in barca risalendo il Tamigi, nonostante nessuno di loro sappia manovrare l’imbarcazione. Alla narrazione dei vari incidenti di percorso si unisce quella di episodi che tornano in mente all’autore, e che costellano il romanzo come divagazioni ricorrenti ed esilaranti. Indimenticabili l’episodio dello zio Podger che appende un quadro, quello dei formaggi trasportati in treno, quello della trota di gesso, quello della canzone comica tedesca. Ma chi potrebbe dimenticare l’incipit del romanzo, con Jerome che, leggendo una enciclopedia medica, scopre di avere, stando ai sintomi, tutte le malattie elencate tranne il ginocchio della lavandaia? L’umorismo di “Tre uomini in barca” non nasce da intrecci farseschi, ma dall'osservazione delle situazioni più comuni e quotidiane. Si può ridere, oggi, di ciò che faceva ridere nel 1889? Sì, perché Three Men in a Boat (To Say Nothing of the Dog) è un’opera senza tempo. Il successo fu immediate, tanto che soltanto in Gran Bretagna il libro vendette un milione e mezzo di copie. Nel 1900 Jerome pubblicò un sequel, “Tre uomini a zonzo” (Three Men on the Bummel), in cui si narra di un’altra vacanza del terzetto che aveva risalito in Tamigi, questa volta però in bicicletta (senza il cane) in giro per la Germania.

mercoledì 27 dicembre 2023

TUTTA COLPA DEI MIEI GENITORI

 



Valentina Uccheddu
TUTTA COLPA DEI MIEI GENITORI
(PRIMA DI NASCERE NON ERO COSI’)
Cut-Up Publishing
Brossurato, 2023
212 pagine, 21.90 euro


Per recensire questo libro devo fingere di non aver sposato l’autrice, altrimenti tutto ciò che dirò potrebbe sembrare dettato dal fatto di dormirci insieme. Perciò non dirò che ho conosciuto Valentina Uccheddu su Twitter e di aver cominciato a seguirla attirato proprio dalla sua capacità di forgiare brillanti aforismi, come anch’io andavo facendo. Tacerò riguardo alle altre doti della fanciulla che in seguito, approfondendo la conoscenza, si sono rivelate altrettanto interessanti. Ribadirò invece quanto ebbi a scrivere introducendo le mie tre raccolte di tweet che hanno preceduto questa di Valentina (solo perché io ho cominciato prima), e cioè che Twitter (mi rifiuto di chiamarlo “X”) è, o era, un formidabile strumento per generare aforismi, costringendo gli utenti a esprimere un pensiero in un numero piuttosto limitato di parole. Tuttavia, aforisti si nasce e non si diventa, e la Uccheddu lo nacque. Non si spiega altrimenti la sua capacità di cogliere l’ironico e il poetico nelle piccole (ma anche nelle grandi) cose di tutti i giorni, illuminandole o coprendole d’ombra a seconda dei casi. “Tutta colpa dei miei genitori” raccoglie circa duemila aforismi in grado ora di muovere al sorriso ora di far riflettere, ora di far riflettere muovendo al sorriso, illustrati da nove autrici e autori di fumetti, compresa Anna Lazzarini a cui si deve la bella copertina. Gli aforismi sono suddivisi in brevi capitoletti tematici collocati in ordine alfabetico, da “Accenti” a “Voglia di scrivere”. Inutile il dire che mi sento chiamato in causa in molte occasioni, soprattutto nel caso dei tweet sotto la voce “Maritino” (sì, mi chiama così nell’intimità). A nobilitare il tutto, la briosa prefazione di Marco Ciardi, professore di Storia della Scienza all’Università di Firenze. Per me che, oltre a scriverli, colleziono aforismi (e libri di aforismi) da una vita “Tutta colpa dei miei genitori” sarebbe un libro imperdibile anche se non lo avesse scritto mia moglie. Ah, già. Non dovevo dirlo

martedì 26 dicembre 2023

MAIGRET E IL FANTASMA

 

Georges Simenon
MAIGRET E IL FANTASMA
Adelphi
Brossura, 2009
152 pagine, 11 euro

La saga del Commissario Maigret, composta da settantacinque romanzi (di cui questo, pubblicato nel 1964, è il sessantaduesimo), è caratterizzata non soltanto dalla corpulenta figura del burbero poliziotto parigino, ma anche di un microcosmo di personaggi ricorrenti a cui è facile affezionarsi (così come ci si affeziona al Quai des Orfèfrev, il palazzo dove ha sede la centrale di Polizia). Tra questi ci sono la signora Maigret, gli ispettori Lucas e Janvier, il giudice Comélieu, il dottor Moers, ma c’è anche l’ispettore Lognon, in servizio nel XVIII arrondissement. Di lui abbiamo parlato commentando il romanzo “Maigret, Lognon e i gangster”, e per l’esattezza qui:

https://utilisputidiriflessione.blogspot.com/2022/02/maigret-lognon-e-i-gangster.html

Georges Simenon (1903-1989), maestro nel cesellare le psicologie dei suoi personaggi, lo descrive come lagnoso, sgraziato, lugubre, servile, vittimista, jellato, decisamente insopportabile (al pari della moglie inferma). Maigret tuttavia gli vuol bene e quando viene informato che qualcuno gli ha sparato, ferendolo gravemente mentre si occupava di un’inchiesta di cui non aveva informato nessuno dei colleghi, decide di indagare sul caso. A mettere il Commissario sulla giusta strada è un altro personaggio decisamente ben caratterizzato, il vecchio misantropo Maclet, abituato a spiare dalla sua finestra chiunque passi per strada, il quale convince Maigret a suonare alla porta di Norris Jonker, collezionista d’arte olandese, e di sua moglie Mirella. Gli interrogatori dei due sono capolavori di finezza psicologica. Nonostante i pochi indizi a disposizione, il Commissario riesce a scoprire chi e perché qualcuno ha cercato di assassinare Lognon, che (sempre in cerca di una inchiesta che avrebbe potuto finalmente fargli fare carriera) aveva fiutato la pista di un traffico di dipinti falsi. Non è il miglior giallo di Simenon, ma resta godibile dalla prima all’ultima riga.

domenica 24 dicembre 2023

IL MOSTRO DELLA LAGUNA

 
 


Guido Nolitta
Gallieno Ferri
IL MOSTRO DELLA LAGUNA
Sergio Bonelle Editore
Cartonato, 2023
210 pagine, 28 euro


A volte del termine “classico” più che un uso si fa un abuso, finendo per considerare classico qualunque cosa ci sembri abbastanza datata da poter figurare in un ideale museo della nostra memoria, ma nel caso d “Il mostro della laguna” non ci sono dubbi di sorta. Si tratta di un vero e proprio classico dello Spirito con la Scure, anzi, della “golden age” della saga zagoriana e della produzione della formidabile coppia formata da Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) ai testi e di Gallieno Ferri ai disegni. Proseguendo nella sua opera di riproposta in volumi cartonati di grande formato delle più belle avventure di Zagor, ecco giungere in libreria questa avventura marinaresca uscita per la prima volta, distribuita su sette albetti a striscia, nel lontano 1968, ma che ancora sorprende per freschezza, tensione, fascino esotico e perfino per umorismo. A rendere memorabile questo racconto contribuiscono senza dubbio le formidabili sequenze marinaresche realizzate da un Gallieno Ferri in stato di grazia, chiamato a illustrare navi, vele, burrasche: pane per i suoi denti, dato che da buon ligure il maestro genovese era un autentico lupo di mare. Non sembri strana una avventura in mezzo all’Oceano dello Spirito con la Scure: una delle caratteristiche dell’eroe dalla casacca rossa è proprio il suo prestarsi a storie dei generi più disparati. Indimenticabili alcuni dei personaggi del racconto, oltre al Re di Darkwood e al suo amico Cico (coprotagonista a pieno titolo non solo come compagno di avventura ma anche come interprete di gag esilaranti). Per esempio, il bieco capitano Nilsen, che Zagor ha la sfortuna di incontrare a Bridgeport, una località della costa dove si è recato ad accompagnare un vecchio amico deciso a imbarcarsi per l’Europa. Nilsen è a corto di marinai sulla sua nave, la “Strega Rossa”, in partenza per un viaggio e, come realmente accadeva talvolta nei porti, decide di arruolarne forzatamente qualcuno. Ma anche lui ha la sfortuna di scegliere Zagor e Cico, che nel proseguo dell’avventura non mancheranno di causargli dei grossi guai. La rotta della “Strega Rossa” conduce il Re di Darkwood lontano dalla sua foresta e gli fa intraprendere quella che può considerarsi, a tutti gli effetti, la sua prima “trasferta” (come verranno poi definiti i lunghi viaggi di Zagor destinati a venire narrati in cicli di varie storie collegate fra di loro). Infatti, dopo l’avventura a bordo della “Strega Rossa” ce ne saranno altre cinque prima che il nostro eroe e il suo amico messicano riescano a far ritorno a casa. Ma altrettanto ben caratterizzato di Nilsen è l’entomologo professor Lookford “Avete idea di quante specie di coleotteri esistano in tutto il mondo?”, chiede il naturalista ai marinai che lo stanno portando verso l’isola di Little Africa. Dato che gli incolti uomini dell’equipaggio non ne hanno la minima idea, lo studioso rivela che le specie in questione, almeno quelle a lui note, sono circa duecentomila. Tutte, comunque, fanno parte della sua collezione. O meglio, tutte tranne una. Manca alla raccolta, infatti, un esemplare di “pisum alatum”: esattamente l’insetto di cui lo scienziato è alla ricerca, una bestiola volante di color verde e dalla forma sferica che lo fa assomigliare a un pisello con ali. Con Lookford, il microcosmo zagoriano si arricchisce di un altro straordinario personaggio, la cui caratterizzazione è più incentrata sulle fisime del collezionista che su quelle dell’uomo di scienza. L’accanimento da monomaniaco con cui il professore dà la caccia all’animaletto oggetto dei suoi desideri, finisce infatti per rendere umoristica la sua figura, che diviene di fatto una riuscita parodia dell’esploratore in cerca di reperti e campioni naturalistici, raccolti sì per interesse scientifico ma anche, e forse soprattutto, per il gusto di poter esibire delle collezioni complete. E’ proprio in chiave comica che sia il “pisum alatum” che il suo irriducibile cacciatore fanno ritorno nelle pagine di uno Speciale Cico uscito nel 2002. Ad arricchire il volume contribuisce l’illustratissimo apparato critico curato da Graziano Frediani e da Luca Barbieri.

venerdì 22 dicembre 2023

IL CONSIGLIO D’EGITTO

 
 
Leonardo Sciascia
IL CONSIGLIO D’EGITTO
Adelphi
Brossurato, 1989
176 pagine, 11 euro

Scrive Leonardo Sciascia: “Volevo fare la cronaca del massacro dei presunti giacobini, avvenuto a Caltagirone alla fine del XVIII secolo, e avevo cominciato a documentarmi sull’argomento. Scorrendo la ‘Storia letteraria della Sicilia’ di Domenico Scinà, raccogliendo il materiale rimasto negli archivi, e poi leggendo le cronache del marchese di Villabianca, mi si è imposta la figura dell’abate Vella”. Il frate benedettino Giuseppe Vella (1749-1814), nato a Malta (dove aveva appreso i rudimenti dell’arabo) e poi trasferitosi a Palermo, è appunto il principale protagonista de “Il consiglio d’Egitto”, romanzo pubblicato da Sciascia nel 1963. Si tratta dunque di una figura storica, protagonista di una quasi incredibile vicenda ricordata come l’ “arabica impostura”, sostanzialmente la creazione di un falso, destinato però a destare grande clamore e finanche una certa influenza nel pensiero e nella politica non soltanto in ambito siciliano. Tutto nasce allorché fra’ Vella, destinato poi a venire chiamato “abate” per la fama acquisita, senza esserlo, viene convocato, in quanto in grado di parlare qualche parola di arabo, a fare da interprete tra le autorità palermitane e un ambasciatore del Marocco la cui nave era stata sospinta da una tempesta sulle coste siciliane. All’ambasciatore, nel corso del suo forzato soggiorno, viene mostrato un antico codice islamico risalente al periodo della dominazione araba in Sicilia, custodito nel monastero di San Martino. Il marocchino lo esamina e dichiara trattarsi di una copia di una delle tante biografie di Maometto in circolazione. Al che il Vella capisce di poter trarsi dalla sua condizione di povero frate questuante, e traducendo a beneficio di Monsignor Airoldi dichiara che l’ambasciatore ha riconosciuto nel manoscritto un testo che narra della conquista saracena della Sicilia e dei fatti della dominazione musulmana. Un documento, dunque, in grado di ricostruire vicende, perlopiù sconosciute o soltanto leggendarie, di mezzo millennio prima, anni da cui trassero fondamento le baronie e i feudi siciliani. Ripartito l’ambasciatore, Giuseppe Vella viene dunque incaricato di tradurre in italiano il preziosissimo codice, intitolato “Il consiglio d’Egitto”: per farlo, naturalmente, gli vengono riconosciuti emolumenti, un dignitoso alloggio, tutto il tempo necessario, il diritto di accesso nei salotti buoni, inviti nell’alta società nobiliare. Anzi, gli stessi nobili cominciano a foraggiare il Vella perché nella sua traduzione, di cui vengono abilmente fatti trapelare frammenti a spizzichi e bocconi, del tutto inventati, vengano citati i propri avi e confermati i diritti sulle terre possedute. Essendo ambientato tra il 1782 e i 1795, Sciascia riesce, riportando le conversazioni tra i baroni e gli ecclesiastici a cui l’abate assiste, e a cui partecipa in modo defilato, a ricostruire le vicende politiche e sociali di un’epoca che sta per tramontare, con la rivoluzione francese che sembra stare per tracimare anche in Sicilia, con le trame del Re, tramite il suo vice Caracciolo, tese ad avocare alla corona i privilegi delle baronie. Risulta chiaro che la vera “impostura” non è il falso dell’abate, peraltro di squisita fattura, ma quella dei fondamenti giudici del potere nobiliare di origine feudale. Le vicende di Giuseppe Vella si intrecciano con la vita di altre figure storiche, come quella Francesco Paolo Di Blasi, giurista e patriota, ghigliottinato nel 1795 per la tentata organizzazione di una rivolta tesa a creare, sul modello giacobino, una Repubblica siciliana. Il romanzo si chiude proprio con la lama che cade sul suo collo, e le pagine che raccontano le torture subite perché il Di Blasi facesse i nomi dei suoi complici (non li fece) sono sconvolgenti tanto quanto sono divertenti quelle dedicate alle prime mosse dell’ “impostura” dell’abate: è come se ne il libro di Sciascia ne racchiudesse due, e infatti ci sono due parti per distinte, una iniziale più faceta, una finale molto drammatica. Non si può fare a meno di ammirare l’eleganza della prosa sciasciana, precisa nella scelta dei termini, felice nell’ironia e tagliente nel cambio di registro, dotta nella ricostruzione di conversazioni fra poeti e letterati, avvocati e monsignori, maliziosa quando serve, impeccabile nella ricostruzione di ambienti e personaggi storici.

domenica 10 dicembre 2023

SUSPIRIA: L’ERETICO


 

 
Luca Laca Montagliani
Andrea Bulgarelli
SUSPIRIA: L’ERETICO
Annexia
2023, brossurato, 
128 pagine

Esordire dicendo che il saggio su Lucifero firmato da Fabio Celoni (sì, proprio lui) vale da solo il prezzo dl biglietto, sarebbe ingeneroso verso la storia a fumetti che lo precede, che sicuramente suscita ammirazione, per i testi e per i disegni. Ma cominciano da Lucifero il cui nome, come ben spiega Celoni, significa “portatore di luce”, e che comunemente veniva dato ai bambini almeno fino al terzo secolo dopo Cristo (esiste persino un San Lucifero), prima che il teologo Tertulliano non lo indicasse come quello di un sovrano di Babilonia contro cui si scaglia il profeta Isaia, probabilmente per un errore di traduzione della Bibbia in latino, e quindi venisse indentificato a posteriori con Satana, o il Male assoluto. Del resto nella Bibbia non c’è traccia della leggenda, che pure tutti conoscono, dell’angelo ribelle esiliato dal Paradiso e fatto precipitare sulla Terra, un racconto cominciato a circolare in era volgare. Il personaggio di Suspiria, creato da Luca Laca Montagliani (il massino esperto vivente di fumetto erotico popolare, e s’intende “vivente” nel senso di “prima che Davide Barzi e Sylvester lo facciano fuori e diano inizio a una sua seconda vita zombesca") e protagonista con “l’Eretico” del suo terzo episodio, è la figlia di Lucifero: ma non di quello che noi conosciamo dalla tradizione cristiana, quello esiliato, sì, ma da un diverso pantheon demoniaco. L’Eretico è proprio lui, un dio ribelle che predica agli uomini la necessità di porre fine alla sudditanza dagli altri dei: “Il potere è dentro di voi, non piegatevi a nessuno né in spirito né in carne!”. Satanna, la madre di Suspiria, gli fa notare: “Se l’uomo si affrancasse dai timori e dalle superstizioni, avresti contro l’intero pantheon!”. “Non li temo!” replica Lucifero. Sono però le dee, divinità oscure che nulla hanno con le abitatrici dell’Olimpo o di Asgard, a convincere Lucifero a ritirarsi in una volontaria catalessi destinata a durare secoli, e tutto ciò per il più umano dei sentimenti: l’invidia. Tutte vorrebbero avere un figlio da lui ma è Satanna a essere stata fecondata. La scarnificano dunque il volto e uccidono il feto che ha nel grembo, costringendola a fuggire al di fuori del tempo a vegliare l’amante dormiente. Sopravvivono le figlie Suspiria e Nenia, che in questo episodio retrospettivo (in cui si svelano appunto gli antefatti) vediamo bambine. A quest’ultima è dedicato un albetto disegnato da Pierluigi Abbondanza allegato al volume, che in appendice propone anche una serie di matite di Andrea Bulgarelli, davvero evocative nel raffigurare figure sensuali e demoniache, eros e thanatos, orrore e lussuria. Suspiria va a far visita alla madre, che veglia il simulacro di Lucifero, e le domanda: “Perché non ti sei vendicata?”. “Doveva andare così. Perché…? Vorresti pensarci tu?” risponde Satanna. “Nel tempo eternalico del regno oscuro potrei averlo già fatto!”, replica enigmatica la figlia. I lettori più fedeli sanno o sapranno. Sbaglia chi si attende contenuti porno o trattazione banale della materia. Oltre alla copertina del bravo Andrea Jula, esiste una variant cover in tiratura limitata del maestro Emanuele Taglietti. Un servizio fotografico con una modella praticamente perfetta che si aggira per un cimitero completa l’opera. Dulcis in fundo, una storia bonus disegnata da Werner Maresta: Atto di Dolore.


sabato 9 dicembre 2023

DISEGNI E PAROLE PER ESSERE LIBERI

 

Autori Vari
DISEGNI E PAROLE PER ESSERE LIBERI
Allagalla
Seconda Edizione
Cartonato, 2023
126 pagine, 25 euro


“Grazie ai tanti scrittori e disegnatori che hanno dato il loro contributo a questa iniziativa, che giunge in meno di un anno alla sua seconda edizione, con altri venticinque artisti che si sono accostati con sensibilità e un sorriso – a volte triste, a volte no – al tema della libertà di scelta sul fine vita. Di fronte all’ottusità del potere anche la fantasia è un’arma. L’incursione del fumetto nel frasario denso della bioetica, fa respirare una boccata d’aria fresca e tonificante nel corso di un cammino che non è concluso per poter tutti vivere liberi fino alla fine”.
Questo testo che compare in quarta di copertina spiega il senso sella pubblicazione del volume, i cui autori hanno tutti rinunciato alle proprie royalties e la cui Casa editrice devolve l’intero utile all’Associazione Luca Coscioni - che si batte da anni per giungere anche in Italia a una legge che garantisca il diritto, in certe condizioni, all’eutanasia, al suicidio assistito, alla rinuncia all’accanimento terapeutico, nel rispetto della libertà di scelta. Perché poi di libertà si tratta: non si impongono ad altri comportamenti diversi. Viceversa, chi si oppone pretende di negare i diritti altrui.
Roberto Guarino, curatore del volume, ha chiesto a un centinaio tra sceneggiatori e disegnatori di fumetti di esprimere con un testo scritto o una tavola illustrata il loro sostegno alla battaglia sul fine vita. La partecipazione è stata convinta e ispirata. Sfogliando le pagine ci si imbatte in un racconto di Paola Barbato e in una illustrazione di Giovanni Freghieri, poi in un fulminate testo di Tiziano Sclavi e in una vignetta di Sergio Staino. Non mancano personaggi a fumetti che si espongono in prima persona, come Martin Mystère, Diabolik o Cattivik (grazie alle tavole di Alessandrini, Palumbo e Bonfatti). Ma l’elenco degli artisti coinvolti è lungo e sorprendete. Solo per citare alcuni nomi: Silver, Alfredo Castelli, Claudio Nizzi, Roberto Recchioni, Paolo BacilieriAndrea Venturi, Emanuele Taglietti, Gianfranco Manfredi, Carlo Ambrosini, Bruno Bozzetto, Matteo Bussola, Luca Enoch, Onofrio Catacchio, Corrado Mastantuono, Silvia Ziche, Alfredo Castelli, Sergio Gerasi, Michele Benevento, Massimo Rotundo, Angelo Stano, Danilo Maramotti. Segnalo anche alcuni zagoriani: Joevito Nuccio, Val Romeo, Anna Lazzarini, Fabrizio Russo, Giuliano Piccininno, Stefano Voltolini, Giorgio Sommacal. Mi scuseranno i tanti esclusi dall’elenco, che completo sarebbe stato troppo lungo.
Anch’io ho dato il mio contributo: il volume contiene un epigramma e una scelta di aforismi sul tema del fine vita, più una vignetta scritta per James Hogg che l’ha disegnata.

Gi aforismi sono questi:

L’idea di poter scegliere l’eutanasia mi piace da morire.

L'eutanasia è quella cosa che mi fa desiderare di essere trattato come un cane.

L'unica legge davvero importante su cui conto di basare la mia serenità futura, è quella sull'eutanasia.

Il vero problema del suicidio assistito in Svizzera è che per il candidato non è facile trovare un mutuo per affrontare le spese.

Non capirò mai perché qualcuno che non lo farebbe per sé (e va bene) debba voler impedire la fecondazione o il suicidio assistiti ad altri.

L’epigramma, tratto dall’antologia “Versacci”, è questo:

L’ultimo abbraccio

Al nostro cane che amiamo
un ultimo abbraccio cingendo
pietosa una morte gli offriamo
lasciando che vada dormendo.
Se all’ultimo del tempo mio
nessuna speranza rimane,
allora lo chiedo anche io:
trattatemi al pari di un cane.