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domenica 21 gennaio 2018

SETTE ANIME DANNATE


Tiziano Sclavi
Corrado Roi
SETTE ANIME DANNATE
Mondadori
Ottobre 1996 - cartonato
160 pagine - lire 38.000

Si tratta della riproposta in volume cartonato di grande formato, e a colori di Dylan Dog, uno dei primi Speciali, quando ancora Tiziano Sclavi scriveva un capolavoro dopo l'altro e quel che succedeva si capiva anche se era folle e visionario.  C'erano idee geniali e coinvolgimento emotivo, si restava avvinti dalla lettura e colpiti dal finale, aperto o chiuso che fosse. Negli anni Novanta la Mondadori (a quei tempi la Bonelli non aveva una propria linea da libreria) dava alle stampe un volume del genere ogni sei mesi, alternando la riedizione della storie della serie regolare a quelle degli Speciali. Quando si trattava di uno Speciale, veniva aggiunto un breve racconto inedito. Nel caso di "Sette anime dannate" la storia breve è direttamente collegata con il racconto principale, e non a caso si intitola "L'epilogo". Nella recensione che segue sono contenuti degli spoiler per cui sete avvisati. Sette diversi personaggi, tra cui Dylan Dog, vengono convocati a Xanador, la misteriosa dimora di un ancora più misterioso personaggio. I sette hanno sentito tutti un irresistibile impulso a presentarsi in quel posto, tranne Dylan che invece ha ricevuto un acconto di diecimila sterline affinché vi si recasse. L'anfitrione non si presenta di persona, ma accoglie i personaggi e comunica con loro tramite marionette parlanti dal funzionamento incomprensibile. Non ci vuole molto per capire che i sette sono stati convocati lì per essere giustiziati. Uno per uno, muoiono tutti, uccisi ognuno in un modo diverso dall'altro. La storia segue insomma la falsariga del romanzo di Agatha Christie "Dieci piccoli indiani", citato più volte anche nel racconto. Ben presto è chiaro anche il motivo per cui gli invitati a Xanador (che, come quelli della Christie, non possono fuggire dalla casa) sono sette anziché dieci: ciascuno rappresenta un peccato mortale, incarna uno dei sette vizi capitali. Dylan crede di riconoscere per sé quello dell'accidia. Alla fine, proprio Dylan è l'ultimo sopravvissuto: come nel romanzo, prende la pistola per suicidarsi. Ma, a differenza di quanto accade nel romanzo della Christie, non lo fa: spara invece al misterioso anfitrione finalmente decisosi a rivelarsi. E' uno degli invitati, che si credeva morto con la testa tagliata. Così come il capo mozzo non gli è stato di danno, anche il colpo di pistola di Dylan gli fa solo il solletico: del resto, lui è un angelo vendicatore, una entità ultraterrena addetta allo sterminio di coloro i quali hanno scritto nel destino di dover morire. E poiché un simile compito, a lungo andare, diventa noioso, l'angelo ha deciso di imbastire una messinscena: quella di Xanador, appunto. I convocati, ogni volta, sono persone che devono comunque tirare le cuoia. Per questo non possono ribellarsi all'impulso di recarsi a Xanador, dove l'angelo trova il modo di farli fuori utilizzando un agente umano. L'angelo non può macchiarsi le mani di sangue di persona, ma è in grado di muovere chiunque come un pupazzo. Dylan Dog è stato appunto convocato non per essere una vittima, ma per essere l'assassino. In stato di incoscienza, manovrato dall'essere ultraterreno, Dylan ha compiuto tutti gli omicidi. Spiega l'angelo vendicatore: «Ce ne sono tanti, di dei... Allah, Buddah, Jehova... e anche in una stessa religione, poniamo quella cattolica, c'è il Dio buono e caritatevole e quello biblico della vendetta e del sangue... ecco, diciamo che io sono al servizio di quest'ultimo». Dylan, eseguito suo malgrado il proprio compito, è libero di andarsene. E lui lo fa, non prima di aver restituito disgustato il denaro dell'anticipo e aver sputato in faccia al padrone di casa. Quando il nostro eroe è già lontano, a Xanador arriva un altro gruppo di visitatori. Sempre pSclavi e Roi hanno firmato il breve racconto inedito, "L'epilogo", in cui Dylan torna a Xanador e gioca la partita finale con l'angelo vendicatore. Per tutto il breve racconto sembra che sia il destino del nostro eroe a diversi compiere, e che lui sia stato convocato lì, come accadeva in genere agli invitati, per godere di una morte spettacolare e scenica visto che comunque avrebbe dovuto morire. Invece, alla fine, si scopre che a dover morire è l'angelo. «Quando ho saputo che la mia fine era stabilita, ho cercato di ricordare tutta la mia lunga vita - spiega l'essere ormai rantolante - ma di secoli e secoli non era rimasto niente... solo un enorme vuoto, tranne una cosa... un unico breve istante... e quando mi è stato chiesto come volevo morire, avevo quel solo ricordo: voi che mi sputavate in faccia. E ho detto: ecco, voglio essere ucciso da quel piccolo, miserabile uomo...». Troppo metafisica per essere convincente come un giallo o come un thriller, la storia si legge comunque con angoscia e interesse. Corrado Roi è Corrado Roi, nel bene e nel male. Bene, più che altro.