Albert Camus
TACCUINI
Bompiani
Brossurato, 2018
576 pagine, 16 euro
Albert Camus: scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo, regista teatrale, giornalista e alla fine (nel 1957) Premio Nobel per la Letteratura. “Per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo”, scrivono gli svedesi motivando il prestigioso riconoscimento. Due almeno i suoi romanzi da leggere prima di morire: “Lo straniero” (1942) e “La peste” (1947), entrambi ambientati nell’Algeria francese, dove Camus nacque nel 1913 (e a cui rimase sempre legato). La sua vita attraversò gli anni dei totalitarismi, del secondo conflitto mondiale e della Guerra Fredda, fu antifascista e aderì per un certo periodo al partito comunista, salvo poi uscirne soprattutto per reazione al dispotismo sovietico: “questa sinistra di cui ho fatto parte, mio malgrado e suo malgrado”, scrive nei Taccuini. C’è chi sospetta che il KGB sia stato coinvolto nell’incidente stradale in cui rimase ucciso nel 1960. Colpito giovanissimo dalla tubercolosi, riuscì comunque a laurearsi in filosofia nel 1936 con una tesi su Plotino e Sant’Agostino, ma per tutta la vita dovette trascorrere periodi di cura. Venticinque anni di questa vita sono accompagnati dalle sue annotazioni su quelli che vennero poi pubblicati postumi con il titolo di “Taccuini”. Si tratta di nove quaderni scolastici che Camus compilò senza interruzione dal maggio 1935 fino alla morte. Mentre era ancora in vita, lo scrittore aveva fatto dattilografare e in parte rivisto i primi sette quaderni. Un’edizione postuma dei primi sei, divisa in due tomi, venne curata da Roger Quillot. I quaderni 7, 8, e 9 sono stati pubblicati soltanto nel 1989. Non si tratta di diari: solo alcune pagine raccontano dei suoi viaggi in Francia, in Italia, in Grecia. Per il resto, si tratta di strumenti di lavoro. Camus annotava idee per nuovi romanzi, racconti, commedie, drammi. Poi citava frasi dai libri che leggeva (quante letture!), o si appuntava brani che sarebbero poi finiti in qualche sua opera. Coglieva sfumature nei paesaggi, commentava accadimenti nell’umanità che gli si aggirava attorno, elucubrava contorsioni filosofiche sul senso della vita, della morte, dell'amore, sull'arte e sulla scrittura. Raramente registrava avvenimenti storici (della guerra, per esempio, parla pochissimo). Si teneva lontano, con dichiarato intento, dalle confessioni sulla sua vita privata. Faceva propositi, tra i quali quelli di non entrare in polemica con i detrattori (“bisogna scrivere, non discutere”). Insomma, uno Zibaldone senza alcun filo conduttore se non lo scorrere del tempo. Certo, l’intero universo di Camus è nei suoi Taccuini, ma la scrittura zibaldonesca non favorisce la lettura: difficilmente la si può portare avanti a oltranza. Personalmente, ho letto tutto nel corso di un paio di anni, in ordine cronologico ma procedendo a pochi appunti ogni giorno. Ho estrapolato dai nove quaderni una serie di aforismi (di cui sono, come si sa, appassionato). Li ho copiati qui di seguito, nel caso a qualcuno interessino. Non pretendono di riassumere il senso dei Taccuini nella loro interezza, ma sicuramente illuminano su alcuni temi cari a Camus.
Quaderno 1 – maggio 1935 – settembre 1937
Quaderno 2 – settembre 1937 – aprile 1939
Quaderno 3 – aprile 1939 – febbraio 1942
Quaderno 4 – febbraio 1942 – settembre 1945
Quaderno 5 – settembre 1945 – aprile 1948
Quaderno 6 – aprile 1948 – marzo 1951
Quaderno 7 – marzo 1951 – luglio 1954
Quaderno 8 – agosto 1954 – luglio 1958
Quaderno 9 – luglio 1958 – dicembre 1959
Perché sono un artista e non un filosofo? E’ che io penso in base alle parole e non alle idee.
La civiltà non consiste in un livello più o meno alto di raffinatezza, ma in una coscienza comune a tutto un popolo. Credere che la civiltà sia opera di un’élite significa identificarla con la cultura, che tutt’altra cosa.
Incapacità di essere solo, incapacità di non esserlo.
La tentazione più pericolosa: non assomigliare a nulla.
Il bisogno di aver ragione: segno di spirito volgare.
Ci si determina man mano che si vive. Conoscersi alla perfezione equivale a morire.
Un uomo intelligente su un certo piano può essere imbecille su altri.
Ogni volta che ascolto un discorso politico o leggo le parole di costoro che ci dirigono, constato da anni con spavento che non c’è niente in loro che abbia un suono umano. Sono sempre le stesse frasi che ripetono le stesse menzogne.
Dovessi scrivere io un trattato di morale, avrebbe cento pagine, novantanove delle quali assolutamente bianche. Sull’ultima, poi, scriverei: “Conosco un solo dovere, ed è quello di amare.”
La vita è difficile da vivere.
L’innocente è colui che non spiega.
La mia sola missione è vivere.
La tentazione comune a tutte le intelligenze: il cinismo.
C’è chi è fatto per amare e c’è chi è fatto per vivere.
La donna del piano di sopra si è uccisa gettandosi in cortile. Prima di morire ha detto: “Finalmente!”
Bisogna essere in due quando si scrive.
Un giorno che il popolo lo applaudiva: “Che abbia detto qualche sciocchezza?” si domandò Focione.
Forse la vita sessuale è stata data all’uomo per distoglierlo dalla sua vera vita. E’ il suo oppio.
Nessun popolo può vivere fuori della bellezza. Può al massimo sopravvivere per qualche tempo.
Non esiste libertà per l’uomo fin quando non ha superato il timore della morte.
Neanche Dio, se esistesse, potrebbe modificare il passato
Libertà è poter dare ragione all’avversario.
Ho vissuto per tutta la giovinezza con l’idea della mia innocenza, cioè con nessuna idea.
Preferisco gli uomini impegnati alle letterature impegnate. Sembra che oggi scrivere una poesia sulla primavera equivalga a servire il capitalismo.
Mi conosco troppo per credere alla virtù assolutamente pura.
Soppressione della pena di morte. Motivo: l’assassino ha delle scuse nelle passioni della natura. La legge no.
Mi si rimprovera perché i miei libri non danno rilievo all’aspetto politico. Traduzione: vorrebbero che mettessi in scena dei partiti. Ma io metto in scena soltanto individui che si oppongono alla macchina dello stato.
Secondo gli egiziani, dopo la morte il giusto deve poter dire: “Non ho fatto soffrire nessuno”. Se no, c’è il castigo.
Bisogna incontrare l’amore prima di aver incontrato a morale. Altrimenti, lo strazio.
Ho cercato con tutte le forse, conoscendo le mie debolezze, d’essere un uomo morale. La morale uccide.
Non si dice neppure la quarta parte di ciò che si sa. Altrimenti, tutto crollerebbe. Quel poco che si dice, ed ecco che già urlano.
Se c’è un’anima, è un errore credere che ci sia stata data già creata. Si crea qui, nel corso della vita. E vivere non è che questo parto lungo e faticoso. Quando l’anima è pronta, creata da noi e dal dolore, ecco la morte.
Secondo i cinesi, gli imperi che sono ormai prossimi alla fine, hanno leggi molto numerose.
Quelli che scrivono in modo oscuro hanno una bella fortuna: avranno dei commentatori. Gli altri avranno soltanto dei lettori, il che, sembra, è spregevole.
E’ solo rinviando le conclusioni, anche quando gli sembrano evidenti, che un pensatore progredisce.
Io non seduco, io cedo.
Quelli che preferiscono i propri principi alla propria felicità si rifiutano di essere felici al di fuori delle condizioni che essi stessi hanno stabilito per esserlo.
La disgrazia più grande non è non essere amati, ma non amare.
Mi sento in diritto di morire tranquillo, potendo dire: “Ero debole, e tuttavia ho fatto ciò che ho potuto.”
I martiri devono scegliere tra farsi dimenticare e farsi adoperare.
Con alcune persone manteniamo rapporti di verità. Con altre, rapporti di menzogna. Questi ultimi non sono meno duraturi.
Sembrava che si amasse la libertà; si scopre che ci si limitava a odiare il padrone.
Non sono così buono da perdonare le offese, ma le dimentico sempre.
Bomba termonucleare. Gli uomini giungono finalmente a eguagliare Dio, ma nella crudeltà.
L’arte è un’esagerazione calcolata.
Leggi spesso che sono ateo, sento parlare del mio ateismo. Ma queste parole non mi dicono niente, non hanno senso per me. Io non credo in Dio e non sono ateo.
Dopo trenta conversazioni in Italia, comincio a farmi un’idea della vera situazione di questo paese. Non opinioni, ma fazioni.
Quelli che hanno davvero qualcosa da dire non ne parlano mai.
Non rifiutarsi di riconoscere ciò che è vero, neanche quando il vero si rivela l’opposto del desiderabile.
Il mio mestiere è di fare libri e di combattere quando la libertà dei miei e del mio popolo è minacciata. Tutto qui.
La democrazia non è la legge della maggioranza, ma la protezione della minoranza.
Io non amo l’umanità in generale. Mi sento soprattutto solidale con lei, e non è la stessa cosa. E poi amo alcuni uomini, vivi o morti, con una tale ammirazione che sono sempre desideroso, o ansioso, di preservare o proteggere in tutti gli altri ciò che, per caso o per un giorno che non so prevedere, li ha resi o li renderà simili ai primi.