domenica 24 settembre 2023

LE AMAZZONI


  

 

Paul Anderson  
LE AMAZZONI
Arnoldo Mondadori Editore
Classici di Urania
brossurato, 1997
210 pagine -  lire 6.500
 

“Un pianeta con due soli e due lune: in questo fantastico scenario si svolge il romanzo di Paul Anderson che riprende il mito millenario delle Amazzoni – donne sessualmente desiderabili e terrificanti nello stesso tempo – per aggiornarlo in modo spettacolare. Le libere guerriere di Freetoon devono fare i conti con un imprevisto che viene dallo spazio. Un imprevisto odiato, temuto e aspettato… una minaccia chiamato uomo”. Questo il riassunto in quarta di copertina, dove si può leggere anche una breve biografia di Paul Anderson: “E’ nato nel 1926 e ha sposato la poetessa Karen Kruse. Uno dei nomi più popolari nel campo della fantascienza, è autore di cicli famosi come quelli dei Mercanti delle Stelle e dell’agente terrestre Dominic Flandry. Le Amazzoni (Virgin Planet) è un romanzo del 1959”. Nel frattempo Anderson ci ha lasciati nel 2001.  Chissà se Max Bunker non ha tratto proprio da questo romanzo il nome del pianeta su cui vive la sua indimenticabike eroina Gesebel.  L’idea di partenza di Anderson è davvero buona: trecento anni prima l’epoca della narrazione, una astronave con a bordo soltanto donne, destinate a congiungersi con i loro uomini su una lontana colonia, fa naufragio su un pianeta simile alla Terra, senza alcuna possibilità di comunicazione. Alcune di loro, quelle dotate di conoscenze mediche, iniziano a praticare la partenogenesi, fecondando le compagne che partoriscono figlie geneticamete identiche alle madri. Così, le donne si riconoscono per essere divise in “specie” riconoscibili dal cognome: le Whitley, le Burke, le Latval e così via, ciascuna con caratteristiche proprie e predisposizioni congenite. Si formano varie tribù, alcune composite, altre omogenee. I ricordi della madre Terra si fanno sempre più sfumati man mano che passa il tempo, si creano leggende e miti, fra cui quelle dell’Uomo, visto come una sorta di razza divina. Per sopravvivere le donne diventano cacciatrici, quindi guerriere, e la mancanza di supporti tecnologici crea una civiltà quasi barbarica. Tutte le Amazzoni sono comunque succubi dei Dottori rimasti presso i resti dell’astronave-madre, dove si recano per la fecondazione. Quando l’esploratore Bertram Davis atterra sul pianeta, primo maschio dopo trecento anni, inizialmente viene scambiato per un Mostro e catturato (dell’Uomo le Amazzoni hanno una visione idealizzata), poi, allorché si va delineando la sua vera identità, scatta la reazione dei Dottori che temono di perdere il loro potere. Alla fine Davis ha partita vinta, grazie soprattutto all’aiuto di due Amazzoni, entrambe innamorate di lui, Barbara e Valeria Whitley, e apprestandosi a ricongiungere le donne guerriere con la civiltà promiscua del genere umano, deve perfino scegliere quale delle due “cugine” preferire (chissà se in questo oggi potremmo leggere del sessismo). Intrigante come impalcatura, il romanzo è però scritto in modo privo di vero mordente per i gusti e i ritmi di oggi, e bisogna acconrentarsi. Ma lo si fa volentieri, tutto sommato, in attesa di un remake.

sabato 23 settembre 2023

L'AFFARE GIRASOLE

 


 

Hergé

L'AFFARE GIRASOLE

Comic Art

Collana Grandi Eroi - Le avventure di Tintin

cartonato, 1991

72 pagine

 

L'affaire Tournesol (1956) è la diciottesima avventura di Tintin, il giovane reporter creato nel 1929 da Georges Prosper Remi, in arte Hergé (1907-1983), uno fra i più grabdi e famosi fumettisti del mondo, colonna della bedé franco-belga (lui era belga) e punto di riferimento per la scuola della cosiddetta linea chiara.  Pur  gradevole e divertente come tutte le altre della serie, questa storia non è quella più indimenticabile. Il professor Trifone Girasole viene rapito dagli agenti segreti di una nazione nemica (chiaro e lampante il riferimento all'Unione Sovietica e al clima della Guerra Fredda) perché ha la ritrovato la formula di una vecchia arma sperimentale del Terzo Reich, in grado di utilizzare le onde sonore come forza distruttiva. Al castello di Moulinsart, infatti, dove il capitano Haddock ospita Tintin, gli esperimenti del professore sono riusciti a mandare in frantumi tutti i vetri. I tentativi per ritrovare Girasole provocano un succedersi di avventure alla James Bond, raccontate con brio e garbo da Hergé, fino alla risoluzione finale. In realtà poi, le nazioni nemiche interessate a rapire Girasole sono due, la Borduria e la Sildavia (ma i riferimenti al totalitarismo sovietico restano, anzi, raddoppiano). Oltre agli inseguimenti e alle fughe tipiche delle spy-stories, Hergé aggiunge tutta una serie di divertenti tormentoni, come quello dell'assicuratore che si trova a più riprese sulla strada di Haddock (che qui si sbizzarrisce in epiteti e contumelie degni della sua verve di imprecatore). In più c'è il solito teatrino di personaggi: i poliziotti Dupon e Dupont, la cantante Castafiore, il cagnolino Milù. L'edizione della Comic Art è impeccabile e rende giustizia al talento e al genio dell'autore, considerato nei paesi francofoni una celebrità nazionale (c'è un museo intitolato al suo nome a Bruxelles).

venerdì 22 settembre 2023

NELLA PERFIDA TERRA DI DIO

 
 
 

Maurizio Colombo

Omar Di Monopoli
Giuseppe Baiguera
 
NELLA PERFIDA TERRA DI DIO
 
Sergio Bonelli Editore
Cartonato, 2022
180 pagine, 22 euro

“Io i fumetti volevo farli”, scrive Omar Di Monopoli (1971) nella sua postfazione, intendendo proprio l’intenzione di disegnarli. E’ finita che invece si è messo a scrivere: romanzi, racconti, testi per il cinema e la radio, articoli apparsi sui principali quotidiani, ma la versione a fumetti del suo maggior successo editoriale, “Nella perfida terra di Dio” (Adelphi, 2017), l’ha fatta sceneggiare a uno del mestiere, il veterano Maurizio Colombo (1960), e illustrare allo scafato Giuseppe Baiguera (1971), disegnatore con esperienza internazionale, oltre che collaboratore della Sergio Bonelli Editore con all’attivo anche due albi della collana “Le Storie”. La combinazione si rivela vincente. Il graphic novel si inserisce nel recente filone bonelliano degli adattamenti fumettistici di romanzi particolarmente adrenalinici, iniziato con la trasposizione di opere di Maurizio Di Giovanni e di Joe R. Lansdale. Ci sono stati volumi da libreria e albi da edicola del Commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone del primo e di Deadwood Dick del secondo, progetti nati sull’onda della decisione della Casa editrice milanese di inaugurare una linea di fumetti particolarmente crudi, denominata “Audace” (in ricordo del vecchio marchio bonelliano delle origini, quando anche Tex veniva considerato, e lo era, particolarmente crudo). Joe R. Lansdale è da sempre uno degli scrittori preferiti di Maurizio Colombo, come dimostrano gli indizi lasciati nelle sue storie di Nick Rader, Mister No, Zagor e Dampyr e come testimonia la straordinaria consonanza fra lo scrittore texano e lo sceneggiatore di Busto Arsizio evidenziata nell’episodio “Fra il Texas e l’inferno” della serie dedicata a Deadwood Dick. Ma anche Omar Di Monopoli ha evidenti debiti con Lansdale, il quale ha alternato i suoi noir con i western spesso e volentieri spostando i confini tra i generi. Del resto Di Monopoli ha scritto degli autentici western contemporanei di ambientazione pugliese realizzando la trilogia composta da “Uomini e cani” (il suo romanzo d’esordio 2007), “Ferro e fuoco” (2008) e “La legge di Fonzi” (2010). Di western pugliese (ambientato negli anni Ottanta con flashback nei Settanta) si può parlare senz’altro anche per “Nella perfida terra di Dio”: ogni scena potrebbe avere un suo corrispettivo filmato da Sam Peckimpah, un regista di culto, di nuovo, di Maurizio Colombo (che peraltro è uno dei massimi esperti, secondo me mondiali, di cinematografia di genere). In una intervista rilasciata a un giornale bresciano (lui è della zona), il disegnatore Giuseppe Baiguera così commenta la sceneggiatura su cui si è trovato a lavorare: “Il lavoro svolto da Maurizio Colombo è stato eccezionale: mettere un romanzo nato per la narrativa sotto forma di un racconto per immagini in un fumetto è molto complesso. La storia parla di un criminale che torna nel suo luogo d’origine, dove affronta un ex sodale diventato nemico, cercando anche di ricomporre ciò che resta della sua famiglia. Un prodotto per adulti, da libreria”. Di Monopoli, nella postfazione al volume, parla invece di “faticosa scelta delle inquadrature da parte di Colombo” e loda l’ “incredibile lavoro sui dettagli operato da Baiguerra, la documentazione meticolosa per i personaggi e le ambientazioni e soprattutto la stupefacente sintonia che è necessario si crei tra sceneggiatore e disegnatore”. Definendo western “Nella perfida terra di Dio” bisogna anche rimarcare l’assoluta italianità dell’ambientazione e dei personaggi: si racconta di terra avvelenata dai rifiuti tossici gestiti dalla criminalità, di un santone che truffa i creduloni, addirittura di suore assassine, in un contesto di squallido degrado. Tra tanti personaggi disperati e crudeli, compreso il protagonista Tore Della Cucchiara, spiccano i due ragazzini Gimmo e Michele, gli unici ad aver ereditato dalla madre (la verità sulla cui sorte resta il mistero fino all’ultimo) quell’umanità che fa sperare in un futuro migliore.

venerdì 15 settembre 2023

IL FIGLIO DEL DIAVOLO

 
 
 
 
Mauro Boselli
Maurizio Colombo
Majo
IL FIGLIO DEL DIAVOLO
Sergio Bonelli Editore
Brossurato, 2022
200 pagine, 10.99 euro


“Il fumetto da cui è tratto il film”, recita una scritta in copertina. Il film è “Dampyr”, distribuito nelle sale nel 2022, diretto da Riccado Chemello e prodotto da Bonelli Entertainment, Eagle Pictures e Brandon Box. Si tratta del primo progetto del Bonelli Cinematic Universe, che prende le mosse da un personaggio a fumetti creato nel 2000 da Mauro Boselli e Maurizio Colombo, protagonista di una saga che da allora continua a inanellare episodi. Il “dampyr” è una figura del folklore balcanico, quella del figlio nato dall’unione tra un vampiro e una umana. Boselli e Colombo se ne sono appropriati dando vita a una versione post-moderna del mito del non-morto, intendendo la rielaborazione delle leggende sui vampiri immaginate come se facessero parte della realtà contemporanea (cioè, se i non-morti esistessero, non dormirebbero nelle bare ma sarebbero come su Dampyr vengono descritti). I due sceneggiatori hanno inoltre costruito complesse e ben congegnate “regole del gioco”, proponendo una differenziazione gerarchica tra i Maestri della Notte (creature mutaforma giunte in un remoto passato sul nostro pianeta da un mondo al crepuscolo) e i loro schiavi, vampiri soggiogati mentalmente che essi sono in grado di creare. I Maestri non temono la luce del sole, i loro succubi sì. Entrambi si nutrono, comunque, di sangue umano. Il Dampyr protagonista della serie si chiama Harlan Draka, e Draka è appunto il nome del Maestro suo padre, una figura misteriosa e carismatica. Ai Maestri della Notte, secondo le leggi che essi stessi si sono dati, è proibito procreare: questo perché il sangue di un eventuale figlio è mortale per loro (e per i vampiri che li servono). Anzi, è l’unica cosa che può ucciderli. Tuttavia, Draka ha sfidato i suoi simili permettendo la nascita di Harlan. Il tutto è reso più interessante (ma anche più complicato) dal fatto che ai Maestri e più in generale alle forze oscure si contrappongono gli Amesha, creature di un’altra dimensione votate a quello che potremmo definire “il bene” (si tratta insomma dell’eterna lotta tra angeli e demoni). Uno di essi si chiama Caleb Lost, vive a Praga in un teatro invisibile (perché collocato su un diverso piano della realtà), e arruola, se così si può dire, Harlan e i suoi amici Kurjak e Tesla nella propria squadra di “pronto intervento”. L’incontro fra il Dampyr con Kurjak (un ex miliziano della guerra nei Balcani) e Tesla (una vampira liberatasi dal giogo del proprio Maestro, Gorka) è raccontato nei primi due albi della serie a fumetti, quelli da cui è stato tratto il film, molto fedele (secondo me, fortunatamente) al modello originario. Sullo schermo, di Caleb Lost non c’è traccia, dato che anche nella serie su carta compare in un secondo momento (lo si vedrà, probabilmente, in una eventuale seconda produzione). Il volume “Il figlio del diavolo” presenta in copertina una delle locandine della versione cinematografica, con i volti degli azzeccati protagonisti: Wade Briggs nei panni di Harlan, Frida Gustavsson in quelli di Tesla, Stuart Martin nel ruolo di Kurjak. Si vede anche Sebastian Croft, che interpreta Yuri, un amico di Harlan (che Gorka rende suo schiavo). Il racconto, sia sullo schermo che sulla carta, narra della progressiva scoperta del protagonista della propria natura di Dampyr, a lui ignota anche se sempre più chiaramente svelata da incubi ricorrenti e da visioni inviate da Draka. Si dice sempre che “il libro è meglio del film”, ed anche in questo caso è vero: dato che il film è bello, il fumetto è bellissimo. I disegni di un Majo (Mario Rossi) in stato di grazia ci trascinano negli scenari della tragica guerra nei Balcani e rendono perfettamente la paura e l’inquietudine generate dal racconto immaginato da Boselli e Colombo, che originariamente avevano pensato di dar vita a una miniserie di pochi numeri destinata alla collana-contenitore “Zona X”. Fu Sergio Bonelli, intuendo le potenzialità del prodotto, a chiedere agli autori di realizzare invece una testata autonoma. Valutando i primi due episodi (“Il figlio del diavolo” e “La stirpe della notte”) raccolti in questo volume (distribuito in edicola con la “Gazzetta dello Sport”) si nota come l’orrore sia ancorato al realismo di fondo di scenari di guerra e di vampiri calati nella realtà. In seguito, quando la serie sarebbe finita nelle mani del solo Boselli, facendosi sempre più rari i contributi di Colombo, l’horror dampyriano sarebbe stato declinato maggiormente in chiave fantasy e letteraria, maggiormente nelle corde boselliane. Colombo sembra più suggestionato dal cinema (materia di cui è straordinariamente competente), Boselli pare invece maggiormente legato alla letteratura. Lo si direbbe aver divorato intere biblioteche, dimostrandosi particolarmente ferrato quando tratta argomenti legati alla storia, alla narrativa fantastica, al calderone dei miti e delle leggende studiate dall’antropologia culturale, all’esplorazione del mondo. Così, nelle sue sceneggiature si ritrovano flashback e viaggi nel tempo che ricreano alla perfezione, con una eccezionale freschezza documentativa, epoche storiche vicine e lontane, viaggi in paesi esotici scelti fra quelli da dove nessuno riceve cartoline, echi e rimandi a racconti e romanzi, incontri con personaggi veramente vissuti e fatti rivivere, citazioni di canzoni e di poesie.

sabato 2 settembre 2023

SCRITTI SEGRETI

 
 

 
Mark Twain
SCRITTI SEGRETI
Biblioteca del Vascello
Prima edizione gennaio 1992
Edizione a cura di Clara Piccinini
brossurato – 100  pagine – 5.000 lire

Il volumetto, di piccolo formato ma non privo di gusto nella grafica di copertina, nell’apparato critico e nella traduzione, raccoglie tre brevissimi testi licenziosi di Mark Twain (1835-1910), composti in momenti e per scopi diversi, e rimasti esclusi, soprattutto per il loro carattere triviale, dal corpus, peraltro vastissimo delle restanti sue opere. La lunga introduzione inserisce i tre scritti nel contesto della produzione twainiana, e nella sua diversificata attività. Il primo è un estratto di un immaginario diario del coppiere delle Regina Elisabetta, Samue Pepys, che descrive le conversazioni tenute in una sera del 1601 al cospetto della sovrana che ha radunato attorno a sé un bel serto di scrittori e personaggi famosi, da Shakespeare a Francis Bacon, a Walter Relegh. La relazione di quanto viene detto è esilarante perché, anziché parlare di letteratura e filosofia, di storia o di politica, come si converrebbe a una compagnia di così nobile e alto lignaggio, gli argomenti sono scatologici e riguardano flatulenze e funzioni corporali. Trattate, però, con la il linguaggio altisonante tipico dell’epoca e dei personaggi. Insomma, le celebrità parlano come a loro si conviene, ma parlano di peti. Il risultato strappa le risate. Mark Twain curò personalmente una prima edizione del testo riprodotta in pochissime copie su finta carta seicentesca. Il secondo testo, è una finta lettera scritta da un certo Nesby che si rammarica di non poter raccogliere l’invito a una escursione organizzata da un Club di pescatori di anguille denominato “Le Grosse Anguille”. Il tutto giocato sull’equivoco derivante dal fatto che Nesby fraintende le finalità del Club, immaginando che si tratti non di pescatori ma di superdotati. Poiché lui si ritiene normodotato, si sente escluso ma contesta il fatto che avere un pene di grosse dimensioni costituisca un fattore di merito e di vantaggio. Il terzo e ultimo scritto è il testo di una conferenza privata tenuta al “Club de l’Estomac” durante la sua ferventissima attività di conferenziere, e intitolata: “Annotazione sulla scienza dell’onanismo”. Per l’epoca in cui fu tenuta la prolusione, l’argomento era scabrosissimo. Nondimeno, Twain l’affrontò con finto cipiglio serioso, come se fosse una conferenza dai toni paludati, ma dagli intenti chiaramente umoristici.



venerdì 1 settembre 2023

PUNTO CRITICO

 

 
 
Michael Crichton
PUNTO CRITICO
Thriller - Garzanti
Collana Narratori Moderni
Prima edizione -  maggio 1997
cartonato – Lire 32.000


Con la solita, consumata abilità (quella a cui dobbiamo “Jurassic Park” e “Sol Levante”),  Michael Crichton (1942-2008), regista, sceneggiatore cinematografico e autore di bestseller, imbastisce una trama intrigante imperniata sulle indagini svolte all’interno della Norton, una casa costruttrice di aeroplani, riguardo a un incidente aereo svoltosi durante un volo da Hong Kong a Denver. Un improvviso scuotimento del velivolo, durato vari minuti ma fortunatamente conclusosi con il riassetto e il normale atterraggio dell’apparecchio a Los Angeles, provoca due morti a bordo e decine di feriti. Nessuno sa spiegare le cause dell’incidente, ma naturalmente viene messa sotto accusa l’azienda che produce l'ereo. Casey Singleton, funzionaria della Norton, è incaricata di appurare l’accaduto, e deve farlo in brevissimo tempo perché il caso sta montando nel vortice tritatutto del sistema dei media, dove giornalisti senza scrupoli speculano sulle notizie, non interessati alla verità dei fatti ma guardando unicamente all’audience. Ma nello stesso tempo, qualcuno all’interno della stessa Norton rema contro l’indagine, perché c’è chi ha venduto dei segreti di progettazione alla concorrenza; e certamente non vogliono appurare la realtà dell’accaduto neppure i dirigenti della compagnia aerea orientale a cui appartengono i membri dell’equipaggio, che hanno un segreto da nascondere. Crichton dimostra di conoscere bene sia i meccanismi dei media del suo tempo (denunciando il perverso meccanismo dell’informazione televisiva) sia le dinamiche che regolano o regolavano i rapporti fra le compagnie aeree, le aziende costruttrici, le autorità di controllo. E davvero ben spiegati sono i dettagli tecnici  sul funzionamento degli aeroplani, che l’autore descrive come oltremodo sicuri nonostante il suo romanzo cominci con un incidente: l’indagine di Casey Singleton dimostra infatti che alla base del disastro aereo c’è (come quasi sempre anche nella realtà) l’incuria degli uomini. Tuttavia, mancando un disastro vero e proprio, il romanzo sembra minimalista e tutto sommato sembra (a torto) che non ci sia una sufficiente posta in gioco.

lunedì 28 agosto 2023

L’UOMO CHE GUARDAVA PASSARE I TRENI

 
 

 
 
Georges Simenon
L’UOMO CHE GUARDAVA PASSARE I TRENI
Adelphi
Settima edizione settembre 1995
brossurato - 220 pagine -  lire 11.000

Georges Simenon, uno dei più grandi scrittori del XX secolo, non significa solo Maigret. Al contrario, i suoi romanzi migliori non hanno come protagonista il commissario parigino. Trovo straordinario questo "L'uomo che guardava passare i treni", la storia di Kees Popinga, grigio borghese che ha una linda casetta e una bella famigliola in Olanda, conduce una vita assolutamente monotona e rispettosa delle convenzioni. Fuma sempre i soliti sigari sulla solita bella poltrona, va sempre al solito circolo a giocare a scacchi facendo ritorno sempre alla solita ora, si veste sempre al solito modo, scambia poche parole con la moglie e con la figlia e con la donna di servizio, lavora in modo freddo e scrupoloso, non si lascia mai andare, è perfino moralista e guarda con disgusto i bar dove ci si ubriaca e i postriboli dove si scopa. Ha solo un vizio: guarda passare i treni, di notte, e si chiede chi siano e dove vadano i viaggiatori dietro le luci accese dei vagoni letto. Poi, una sera, tutto cambia.  Da qui in poi, occhio allo spoiler (lo scrivo per pridenza, ma si tratta di un romanzo molto noto, scritto nel 1938). 
Incontra il titolare della sua ditta che sta fuggendo con gli ultimi soldi rimasti, e scopre che per anni, sotto il suo naso, l'uomo ha truffato soci e dipendenti e ha portato la società alla bancarotta. L'uomo, prima di eclissarsi, gli rivela come il mondo non vada come lui creda. Lui è l'amante della moglie del farmacista e frequenta una prostituta ad Amsterdam. Tutti truffano tutti, tutti tradiscono tutti, e la stessa moglie di Kees potrebbe non essere fedele come lui crede: perchè se no sua figlia avrebbe i capelli e gli occhi scuri, lì in Olanda dove tutti, Kees compreso, sono biondi? Kees allora, come allucinato, fugge a Parigi. Smette di guardare passare i treni, ci sale sopra. A Parigi comincia a vivere fuori da ogni regola e convenzione, e finisce pure per uccidere una prostituta e viene braccato dalla polizia. A questo punto vale la pena di leggere la sua "confessione", scritta a un giornale parigino durante la latitanza, così come Simenon ce la presenta: "Pare che per sedici anni io sia stato un buon marito e un buon padre. Non è vero. Se non ho mai tradito mia moglie è perché si sarebbe subito saputo e la signora Popinga mi avrebbe reso la vita impossibile. Non avrebbe dato in escandescenze, avrebbe fatto quel che era solita fare quando, per avventura, compravo qualcosa che non era di suo gradimento oppure fumavo un sigaro di troppo. Passava due o tre giorni senza rivolgermi la parola, aggirandosi per casa con aria afflitta. Ho preferito evitare queste scene e ci sono riuscito, a patto di contentarmi, per sedici anni, di una sera la settimana dedicata agli scacchi e di una partita a biliardo di tanto in tanto. A casa mia, o per meglio dire a casa di mia moglie, per sedici anni ho invidiato quelli che escono la sera senza dire dove vanno, quelli che si vedono passare a braccetto di una bella donna, quelli che prendono un treno e vanno via. Quanto a essere stato un buon padre, non lo credo. Se si afferma che sono un buon padre solo perché invento per loro nuovi giochi, ci si inganna. Mi sono sempre annoiato. Ho continuato a lavorare per abitudine, marito di mia moglie e padre dei miei figli per abitudine, perché non so chi ha deciso che così doveva essere e non altrimenti. E se io, proprio io, avessi deciso altrimenti? Non si può immaginare fino a che punto, una volta presa questa decisione, tutto diventi semplice. Non occorre più occuparsi di quel che pensa il Tale o il Talaltro, di quel che è permesso, di quel che è proibito, dignitoso o meno, corretto o scorretto. Dicono che sono fuggito come un pazzo. Ma possibile che nessuno capisca come prima' qualcosa in me non funzionava? Non sono né pazzo né maniaco! Solo che a quarant'anni ho deciso di vivere come più mi garba senza curarmi delle convenzioni né delle leggi perché ho scoperto un po' tardi che nessuno le osserva e che finora sono stato gabbato. Per quarant'anni mi sono annoiato. Per quarant'anni ho guardato la vita come quel poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli altri mangiare i dolci. Adesso so che i dolci sono di coloro che si danno da fare per prenderli. Dite pure che sono pazzo, se questo vi fa piacere. I pazzi siete voi, come lo ero io prima di fuggire". Kees Popinga, al termine del romanzo, viene arrestato e chiuso in manicomio. Dove la moglie lo va a trovare regolarmente tutti i primi martedì del mese.


domenica 27 agosto 2023

MANUALE DEGLI INSULTI


 

Budello Budelli

MANUALE DEGLI INSULTI

Sperling & Kupfer

Prima edizione -  1995

brossurato - 70 pagine - lire 5000

 

Si tratta di un opuscolo di piccolo formato, volutamente simlile ai dizionarietti tascabili destinati ai turisti in viaggio all'estero. E infatti, almeno all'apparenza, si tratta proprio di un dizionario: anzi, di un prontuario di formule pronte all'uso simile a quelli Berlitz, che suggeriscono come si dice (e come si pronuncia) la frase giusta in ogni circostanza. Qui, divise per categorie ("Sull'aereoplano", "In albergo", "Al bar") le frasi suggerite sono però non formule di cortesia, ma allucuzioni oltreggiose tali da far sì che il turista italiano possa contumeliare il prossimo di lingua inglese. Turista, beninteso, grezzo e cafone, giacché è noto che gli italiani vanno all'estero apposta per "farsi riconoscere". Esempio: arrivato in albergo, il manuale consiglia al giramondo italiota che cosa dire per lamentarsi del condizionatore troppo rumoroso: "This fan is noiser than Cern atom-smasher in Switzerland". Cioè: "Questo ventilatore fa più rumore di un frantuma-atomi del Cern in Svizzera!". Oppure al bar: "Beer's hot like a cup of broth", "La birra è calda come una tazza di brodo".  C'è anche di peggio, naturalmente, e del resto uno che si firma Budello Budelli non poteva non indulgere nel volgare. Il tutto è comunque divertente, anche perchè le frasi, una dietro l'altra, non sono scollegate per simulare una vasta gamma di situazioni, ma formano una sorta di dialogo dal senso compiuto (dove manca la risposta dell'interlocutore, che è ugualmente chiarissima). L'autore, di cui ci viene detto che vive e lavora a Scandicci, dà al libercolo un gradevole vernacolarità che non può non divertire (nonostante gli evidenti limiti dell'estrema levità dell'iniziativa).

venerdì 25 agosto 2023

L’ESTATE DEI DISCHI VOLANTI

 

 


 

Bepi Vigna
L’ESTATE DEI DISCHI VOLANTI
Condaghes
Collana Il trenino Verde
Prima edizione dicembre 1997
brossurato – 116  pagine -  lire 11.800

Bepi Vigna (Baunei, Nuoro, 1957)  noto sceneggiatore di fumetti (ma anche giornalista, saggista, organizzatore di mostre ed eventi) nel 1997 ha trasfornato in romanzo breve destinato ai ragazzi lo spunto di sua sceneggiatura originariamente scritta per Nathan Never e pubblicata su un Almanacco della Fantascienza. Naturalmente Nathan non c’è e protagonisti sono quattro giovanissimi sardi con il gusto per le camminate in montagna, che un giorno durante un’escursione scoprono le tracce dell’atterraggio di un disco volante, o almeno questo è quel che sembra. Del resto i dischi volanti vengono avvistati anche in paese, e c’è addirittura un rapimento da parte degli alieni. Tuttavia, le apparizioni delle astronavi restano in secondo piano, mentre in evidenza c’è il primo amore fra due degli adolescenti protagonisti, Dario e Vivina, un qualcosa che viene presentato come più magico degli stessi UFO, e in effetti le pulsioni sessuali, al loro primo apparire, sono oggetti non identificati per tutti i giovanissimi. A un certo punto della storia, Dario e Vivina vengono creduti morti in un incendio scoppiato sull’altipiano, appiccato da una coppia di balordi, rimasti essi stessi vittima del loro gesto. Tornano in paese proprio mentre si celebra il loro stesso funerale. Gli alieni spariscono così come sono venuti, dopo aver restituito la vittima rapita. Sparisce anche l’estate e la storia d’amore fra Dario e Vivina, che è stata un’apparizione nel cielo durata il lampo di una stagione, come un cerchio nel grano di difficile decifrazione. Quando i due si rivedranno, molti anni dopo, nulla sarà più come prima. La lettura è molto piacevole e va considerato il target.


venerdì 18 agosto 2023

A CIASCUNO IL SUO

 
 


 
 
Leonardo Sciascia
A CIASCUNO IL SUO
Adelphi
brossurato, 2000
160 pagine, 10 euro


Di fronte a “A ciascuno il suo” (1966) di Leonardo Sciascia (1921-1989) bisogna resistere alla tentazione di considerarlo semplicemente un giallo. Perché in effetti del giallo ha tutti gli elementi: un duplice omicidio, delle indagini, degli indizi, un colpo di scena finale. Però, ci troviamo di fronte anche a un romanzo (un grande romanzo) che va ben al di là dei confini del genere e che, per certi versi, li scardina. Per esempio, i colpevoli la fanno franca. La verità, rivelata al lettore (o più precisamente lasciata intuire), non illumina la scena. Ufficialmente, il caso rimane insoluto e alle due morti da cui prende le mosse l’inchiesta se ne aggiunge una terza, quella dell’unica persona che era arrivata a capire come sono andate le cose, uccisa e sepolta in una zolfara nonostante il suo proposito di non rivelare niente a nessuno. Tuttavia, ed è questo uno dei punti di forza dello sconvolgente finale, nel piccolo e anonimo paese dell’entroterra siciliano in cui si svolgono i fatti, in parecchi, se non tutti, la verità la conoscono benissimo, ma lasciano fare, considerando che, in fin dei conti, a ognuno sia toccato ciò che gli spetta. “Unicuique suum”, a ciascuno il suo, appunto, come recita il motto stampato sotto la testata dell’ “Osservatore Romano”, il quotidiano della Santa Sede, dalle cui pagine sono state ritagliate le lettere che compongono una minaccia di morte fatta giungere tramite lettera anonima al farmacista Manno. Farmacista che viene appunto ucciso durate una battuta di caccia, insieme all’amico dottor Roscio che lo accompagnava. Un professore di storia e di latino, Paolo Laurana, nota la provenienza dei ritagli e si incuriosisce, perché sono pochi, gli vien fatto di pensare, quelli che, in un paese di provincia, hanno a disposizione un giornale così poco diffuso al di fuori degli ambiti ecclesiastici. Laurana comincia a interessarsi al caso e, mettendo insieme un indizio dopo l’altro, giunge a ricostruire i fatti spingendosi ben più in là delle fiacche indagini delle autorità che si arenano subito. Sciascia è abilissimo a ricostruire le atmosfere, descrivere le ambientazioni, dar vita ai personaggi, peraltro lasciando intendere il malaffare, i giochi di potere, il clientelismo, l’omertà, l’abitudine a farsi i fatti propri, senza mai citare apertamente la mafia, che c’è ma non se ne parla, non domina la scena ma permea e infesta il sottofondo di ogni realtà sociale ed economica. Una mafia ancora vecchio stampo (il romanzo è ambientato nel 1964) ma su cui si radica quella che si sarebbe sviluppata successivamente. C'è poi la vivida rappresentazione del piccolo microcosmo della provincia siciliana degli anni Sessanta. Gli incontri del professor Laurana con personaggi memorabili (preti politici, medici in pensione, vedove inconsolabili, falsi amici) sono caratterizzati da dialoghi di straordinaria efficacia, lo stile di Sciascia è apparentemente semplice e godibile ma al tempo stesso elegante, preciso, prezioso nella scelta di ogni parola. Sicuramente un capolavoro. Del giallo, certo, ma anche della letteratura.

giovedì 17 agosto 2023

LA CASA DEI FIAMMINGHI

 

Georges Simenon
LA CASA DEI FIAMMINGHI
Adelphi
Brossura, 1996,
138 pagine, 11 euro

I primi romanzi di Simenon con protagonista Maigret, quelli degli anni Trenta, hanno la caratteristica di spedire il Commissario a indagare in località diverse e distanti da Parigi (dove ha sede il suo ufficio, nel celebre Quai des Orfèvres). Non che non capiti anche in seguito, nel corso della serie, ma sicuramente agli inizi le trasferte erano più frequenti. Nel secondo episodio, l’indagine è ambientata lungo un canale che unisce la Senna alla Marna; nel sesto Maigret va a Concarneau; nel settimo a Guigneville; nell’ottavo in Olanda; il nono a Fecamp; l’undicesimo a Morsang; il tredicesimo a Saint-Fiacre, che è anche il paese natale del poliziotto. Arriviamo così a “La casa dei fiamminghi”, il quattordicesimo titolo, scritto nel 1932, che si svolge a Givet, una piccola località al confine con il Belgio. Simenon, non va dimenticato, era un belga di lingua francese, essendo nato a Liegi nel 1903, da un padre vallone e da una mamma fiamminga: di lei ci siano occupati in queste spazio commentando la “Lettera a mia madre”, composta dallo scrittore qualche tempo dopo la morte di lei, avvenuta nel 1970.

https://utilisputidiriflessione.blogspot.com/2023/02/lettera-mia-madre.html
 

Recensendo via via parecchi gialli con Maigret, abbiamo ricostruito man mano un po’ tutti gli aspetti e le caratteristiche del personaggio, parlando del suo “metodo” psicologico nel condurre le inchieste così come dell’umanità che lo contraddistingue nonostante i modi talvolta burberi, annotando anche il suo essere una buona forchetta, un gran fumatore di pipa, un bevitore di birra e di Calvados in grado di reggere bene l’alcool, un marito fedele di una moglie devota. Ma, soprattutto, ogni volta si è inevitabilmente ribadita la grande capacità di narratore di Simenon, ipnotico nel catturare il lettore nelle sue storie e il suo straordinario talento nel ricostruire ambienti, intendendo non soltanto strade cittadine, quartieri o appartamenti, ma anche il contesto sociale ed umano in cui il Commissario si trova ad indagare, osservato con partecipazione senza mai sentenziare. Per questo bisogna guardarsi bene dal ritenere i casi di Maigret dei semplici polizieschi. Rimando perciò alle altre recensioni, rintracciabili cercando il nome dello scrittore nella categoria “Autori” del blog “Utili Sputi di Riflessione”.

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Ciò detto, posso serenamente passare a segnalare come, secondo me, “La casa dei fiamminghi” non vada considerato tra i migliori casi di Maigret. Intendiamoci: è un romanzo più che dignitoso, sicuramente di gran lunga più interessante della maggior parte dei gialli in cui ci si imbatte pescando a caso tra le detective stories. Però, il Commissario in trasferta è meno efficace del solito, non sembra seguire un filo preciso nello svolgere la sua inchiesta, resta in attesa degli eventi, si accontenta della soluzione data per buona dagli investigatori locali, lì a Givet dove si trova, pur sapendo che la verità è un’altra. A Givet, del resto, ci è finito a titolo personale, da solo (senza gli uomini della sua squadra), per un motivo un po’ bizzarro (per fare un favore a un amico), quindi si muove lungo l’argine della Mosa in piena facendo domande senza averne l’autorità. Restano vivide e coinvolgenti le descrizioni della località di confine, dei contrabbandieri, della diffidenza dei francesi verso i fiamminghi, i Peeters, che gestiscono una drogheria che serve soprattutto i numerosi battellieri olandesi. I Peeters sono accusati di aver ucciso (e occultato il corpo) di una ragazza messa incinta da uno di loro, vista entrare nella loro casa prima di scomparire, ma naturalmente alla base dei sospetti c’è anche l’invidia per il talento nei commerci dei fiamminghi, considerati ricchi mentre i francesi del luogo sono quai tutti poveri. Il ritratto collettivo dei anti personaggi assomiglia, alla fine, un quadro di Bruegel.

 

mercoledì 16 agosto 2023

L’AVVOCATA DELLE VERTIGINI


 

Piero Meldini
L’AVVOCATA DELLE VERTIGINI
Adelphi
1994, brossurato
128 pagine, 20.000


Un giallo decisamente insolito, questo in cui mi sono imbattuto per caso pescandolo in una bacheca di book crossing. Si tratta del romanzo di esordio in campo narrativo, di Pietro Meldini, riminese (classe 1941), saggista e psicanalista ma anche esperto di iconografia, che con “L’avvocata delle vertigini” vinse il Premio Bagutta come miglior opera prima. In seguito avrebbe scritto altri cinque romanzi (molto più nutriti l’elenco dei suoi saggi, di vario argomenti, partendo da una disamina dei rapporti tra Mussolini e Freud fino a un trattato sulla cucina romagnola). Perché ho cominciato dicendo che si tratta di un giallo decisamente insolito? Perché il protagonista, Vincenzo Dominici, è un agiografo da anni impegnato nella ricerca di documenti riguardanti una (inesistente, nella realtà) Beata Isabetta, protettrice di coloro che soffrono di vertigini, con lo scopo di scriverne una biografia. Le fonti sono, purtroppo per lui, piuttosto rare. Un giorno, però, l’archivista di una biblioteca gli fornisce un testo cinquecentesco, fino a quel momento sconosciuto, da lui trovato nascosto in una miscellanea, con una nota vergata a mano a mo’ di titolo che dice: “Vite Beate Issabecte”. Solo che il documento è illeggibile, perché scritto in codice. La decifrazione del testo finisce per rivelarsi sconvolgente per lo studioso: si tratta di un elenco di profezie riguardati chi lo tradurrà, che culminano con la morte di una donna innocente. Dominici stenta a crederci, ma una per una le profezie si avverano tutte, compresa quella riguardante la vittima senza colpa. Un monsignore bibliofilo, Berlinghieri, e il vescovo del luogo cercano di aiutare il giudice Bosio incaricato delle indagini, mentre l’agiografo pare caduto nel vortice della follia. Ciò che appare incredibile è che la profezia scritta in codice risulta davvero, senza dubbio alcuno, risalente al Cinquecento, e realmente descrive fatti piuttosto insoliti destinati ad accadere secoli dopo. La spiegazione congegnata da Meldini è intrigante e convincente, e vale il tempo speso per arrivarci. La contaminazione fra il giallo, l’arte e i misteri del passato risolti nel presente fa venire in mente “La tavola fiamminga” di Arturo Perez Reverte, che resta però diversi gradini superiore.