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domenica 16 maggio 2021

LE PERSIANE VERDI

 
 

 
Georges Simenon
LE PERSIANE VERDI
Adelphi
2018, brossurato
224 pagine, 19 euro


«Tu non hai mai sognato una casa con le persiane verdi?».
«Non mi pare. No».
«Neanche quando eri piccolo?».
Lui preferì non rispondere.
«Già, ma tu sei del tutto privo di sensibilità. Non hai mai desiderato nemmeno una donna dolce con cui avere dei figli».

In questo dialogo, la chiave del titolo. A sognare la casa con le persiane è Yvonne Delobel, attrice (immaginaria) considerata in Francia una sorta di nuova Sarah Bernhardt, che, di quindici anni più anziana, ha sposato il giovane attore Emile Maugin quando ancora era un semplice comico di varietà. Proprio agli ultimi mesi di vita di Maugin è dedicato il romanzo, scritto da Simenon nel 1950 durante un soggiorno negli Stati Uniti. Yvonne era stata la prima moglie di Maugin, che quanto il racconto comincia è sposato con la terza, Alice, giovanissima e madre di una bambina a cui Emile ha accettato di fare da padre, perché lui è fatto anche così, di generosità che a tratti sembra folle in quanto contrasta con un atteggiamento burbero di fondo. Maugin ha 59 anni ed è un attore all’apice del successo. Acclamato in teatro, furoreggia sugli schermi al ritmo di cinque film l’anno. Tutto ciò che ha se lo è conquistato da solo, dopo essere nato da una famiglia poverissima e disgraziata della Vandea e aver fatto a lenti passi tutta la gavetta. Un consulto medico lo mette però di fronte a una ineludibile verità: il suo cuore, spossato dall’alcol, da una vita di strapazzi e dal superlavoro, è quello di un settantenne, non reggerà a lungo. Così, Emile comincia a fare i bilancio della propria vita. Ha paura della morte, ma deva farci i conti. La casa con la persiane verdi è il simbolo di una vita serena, di un focolare domestico: qualcosa del genere lo avrebbe fatto vivere meno inquieto? Perché Maugin è davvero uno spirito agitato in cerca di una felicità che non è in grado di dargli neppure il denaro, di cui pure dispone in quantità. Né il pubblico, né il teatro, né il sesso, né la parvenza di famiglia che si è creata (una sposa bambina e una figlia non sua) lo rendono felice. Per questo beve, perseguitato sia dai ricordi dell’infanzia da indigente che da quelli della miseria dei suoi inizi, sia dalla percezione del tempo che sfugge fra le dita e di un’ansia da cui non c’è riparo. Simenon scava anche in se stesso: pure a lui, negli anni Quaranta, come narra in “Memorie intime”, la propria autobiografia, era accaduto di subire una visita medica che gli aveva dato poco tempo da vivere, ma si era trattato di una diagnosi errata. Scava, però, nell’angoscia di ogni uomo inquieto che vede la morte come destino ineluttabile e si accorge di non aver saputo godere della propria vita. Chissà se una casa con le persiane verdi avrebbe cambiato il destino di Maugin. Destino che si compie per caso e all’improvviso, in quella Costa Azzurra dove, all’improvviso, per sfuggire all’ansia, Emile si trasferisce con Alice e la figlia e dove la piccola ferita di un amo in un piede basta a scatenare la più drammatica delle conseguenze. Non più drammatica, a dire il vero, della vita stessa: la morte sa essere anche una liberazione.

lunedì 22 gennaio 2018

MR. LAUREL & MR. HARDY





John McCabe
MR. LAUREL & MR. HARDY
Sagoma Editore
2017, brossurato
300 pagine, 18 euro


"L'unica biografia autorizzata di Stanlio e Ollio", recita il sottotitolo. Non vuol dire che non sia veritiera o che taccia chissà che, ma che fu scritta nel 1961 quando Stan Laurel era ancora in vita (morì nel 1965, mentre Oliver Hardy era scomparso nel 1957), ed è basata sul suo fondamentale contributo. Quasi in ogni capitolo vengono riferiti i lucidi ricordi di prima mano del grande comico inglese, che fu la mente del duo. McCabe, critico teatrale specializzato nella produzione shakespeariana, era riuscito, in realtà, a intervistare anche Babe Hardy (Babe era il nomignolo con cui tutti chiamavano Ollio al di fuori del set) nel 1954, ma questi se la cavò dicendo che per raccontare la sua vita ci sarebbe voluto poco tempo: c'era poco da scrivere su di lui. E spiegava: "Stan potrebbe parlarle di tutto il materiale comico che abbiamo realizzato nei film, e per quanto riguarda la mia vita non è stata molto interessante: io non ho fatto altro che recitare un sacco di gag davanti a una cinepresa e giocare a golf nel tempo che rimaneva". Non è così, naturalmente: anche Norvell Hardy (Oliver era il nome di suo padre) fu protagonista di una vicenda umana piena di avvenimenti. Fu giocatore di football (il migliore della squadra), arbitro sportivo, tenore in grado di esibirsi in do di petto che strappavano gli applausi degli ascoltatori e come tale cantante in una compagna di musicanti della Georgia (dov'era nato nel 1892), proprietario di cinema, attore specializzato nelle parti del cattivo in decine di film prima di cominciare a far coppia con Laurel, perfezionista sul set e dotato di una memoria prodigiosa nell'imparare i copioni. Tuttavia è vero che dopo aver girato un film tornava a occuparsi dei suoi hobby mentre Stan, che già si era occupato del copione, restava a seguire il montaggio. Il vero cognome di Stanlio era Jefferson: decise di cambiarselo quando si accorse che il nome Stan Jefferson era composto da tredici lettere (gli attori di teatro, com'era lui, sono sempre scaramantici). Scelse "Laurel" solo perché suonava bene. Era nato a Ulverston, bei pressi di Glasgow, nel 1890. Suo padre era un attore, e anche il figlio volle seguirne le orme, entrando a far parte di compagnie di vaudeville, allo stesso modo del quasi coetaneo Charlie Chaplin (più vecchio di lui di un solo anno), con cui si trovò a lungo a recitare e di cui, anzi, fu spesso in sostituto sulle scene. I due viaggiarono insieme verso l'America, per una turnee che poi li avrebbe visti restare nel Nuovo Mondo e quindi lavorare in California nella nascente industria cinematografica. Cresciuto alla scuola del teatro comico e dell'avanspettacolo, Stan era uno straordinario gagman: fu principalmente per scrivere gag che il produttore Hal Roach (quello che Mack Sennett riteneva il suo unico vero concorrente nel realizzare comiche) lo scritturò, così come, in separata sede, aveva scritturato Oliver Hardy. Il saggio di John McCabe ripercorre tutte le tappe dell'avvicinamento di Stan e Oliver, fino al loro casuale esordio in coppia in una comica qualunque, "Get 'Em Young", del 1926. Roach capì che quei due non avrebbero più dovuto venire divisi. Il resto è storia del cinema, e storia di tutti noi spettatori che con Stanlio E Ollio abbiamo riso fino alle lacrime, in barba a tutti i critici paludati che li hanno snobbati (i due hanno vinto un solo Oscar, nel 1932, per il miglio cortometraggio: "The Music Box"). Infinite sono state le loro invenzioni visive e sonore (Laurel e Hardy seppero intuire le potenzialità comiche del rumori, oltre che delle loro buffe voci), ma soprattutto straordinaria è la loro poetica. McCabe dimostra come le gag non fossero banali ma frutto di studi, prove, calcolo del tempi sulla base delle risate previste. Per lungo tempo Stan e Oliver non si resero conto di quanto fossero diventati popolari: solo quando, dopo una decina di anni dal loro primo film, fecero un viaggio insieme in Europa per quella che doveva essere una vacanza, scoprirono di non poter muovere un passo senza essere assediati da masse di ammiratori. E la cosa è durata anche dopo il passaggio dai cortometraggi ai film lunghi e dopo la fine della collaborazione con Hal Roach (fu Stan a litigarci) e la negativa esperienza con la 20h Century Fox. Nell'ultima parte della loro carriera girarono il mondo con dei tour teatrali che fecero ovunque il tutto esaurito: sembrava che avessero smesso di fare film il giorno prima. Le loro comiche venivano trasmesse in TV e Stan si lamentava della pubblicità che le interrompeva: ci aveva sudato sette camicie per fare un certo ritmo al montaggio e tutto quel lavoro veniva sciupato così. Stan e Oliver erano tutto l'opposto, nella vita reale, di quel che appariva sullo schermo: Ollio che fa il gradasso e il so-tuto-io in realtà era un signore timido e riservato, un marito dolce e fedele; Stanlio stupidello piagnucoloso era un lavoratore instancabile in grado di tener testa a registi e produttori e di vivere travolgenti storie d'amore passando da un matrimonio all'altro. Una cosa però li accomunava e assomigliava ai loro personaggi: la bontà d'animo e la gentilezza verso chiunque. Furono inoltre veri amici, sempre. Non è vero che morirono poveri, anche se non hanno mai visto un cent dello sfruttamento economico pluridecennale dei loro film. Pagati una volta, pagati per sempre. Però seppero investire i loro guadagni e morirono da benestanti. Il libro di McCabe si apre con l'orazione funebre letta da Dick Van Dyke al funerale di Stan, che si conclude con una poesia composta da Stan stesso: "Dio benedica i clown".

venerdì 12 gennaio 2018

DOLCE SENTIRE

Viaggio molto in auto. Mi sposto continuamente dalla Toscana a Milano e viceversa, tre ore all’andata e tre al ritorno, salvo code; poi ci sono tutti gli altri spostamenti per motivi famigliari, per turismo o per lavoro, come quando devo intervenire a qualche incontro in giro per l’Italia. Insomma, varie ore di guida ogni settimana. Ma ci sono anche le camminate fra casa e l'ufficio, o i viaggi in treno. Tempo assolutamente sprecato. Così, ho imparato a mettere a frutto i miei viaggi divorando un audiolibro dopo l’altro.


Vado in libreria, cerco lo scaffale degli audiolibri, mi compro le ultime uscite e non vedo l’ora di mettermi al volante per sentire i miei acquisti. Quando il testo è particolarmente intrigante, come nel caso della trilogia “Millennium” di Stieg Larsson letta da Claudio Santamaria, mi dispiace persino arrivare a destinazione e dover spegnere il lettore CD: a volte mi faccio persino alcuni giri in più per le strade attorno pur di non dover sospendere l’ascolto prima della fine del capitolo.


Lasciatemi spiegare in che cosa consiste la soddisfazione dell’ascolto di un audiolibro. E’ ovvio che più il libro è bello, più c’è gusto nel seguirne la lettura, ma non è tutto qui. Il punto è che al valore intrinseco del testo, si aggiunge quello della recitazione del lettore chiamato a “interpretarlo”. Più un attore è bravo, più le sfumature della sua voce, i cambi di tono e la diversa enfasi arricchiscono di significati e sottintesi le frasi, ai periodi, ai capitoli. Una delle prove vocali più stupefacenti che mi sono goduto è stata la lettura di “Orgoglio e pregiudizio” da parte di Paola Cortellesi, in grado di dare una voce diversa a ogni personaggio del romanzo, persino quelli maschili, come il cugino Collins o il bel tenebroso Darcy. Ma, talvolta, gli attori che meglio riescono sono quelli più insospettabili: in questi giorni sto ascoltando “Diario di scuola” di Daniel Pennac letto da un incredibile Giuseppe Battiston. Ora, Battiston non sembra avere il phisique du role del sapiente interprete di Pennac, un po’ ostaggio com’è dei suoi ruoli cinematografici e del sospetto che si ha che legga con calata veneta: invece, si rivela un attore bravissimo, dalla dizione perfetta, dai sospiri e dalle modulazioni vocali azzeccatissimi, insomma, è un piacere ascoltarlo.


Subito prima, ho sentito “Il buio oltre la siepe”, di Harper Lee, letto da Alba Rohrwacher. Ecco, la voce di Alba è una fra le più sexy che io abbia mai udito. Mi piacerebbe invitarla a cena per il gusto di sentirla parlare soltanto per me. Il romanzo della Lee è bellissimo, ma letto in quel modo acquista un valore aggiunto. La Rohrwacher è anche stata la lettrice de “L’eleganza del riccio”, di Muriel Barbery: in quel caso, le voci erano due dato che alla sua si aggiungeva quella, diversissima ma ugualmente ispirata, di Anna Bonaiuto. Ne “L’eleganza del riccio”, infatti, sono due gli “io” narranti, a seconda dei capitoli: la portinaia Renée e la ragazzina Paloma. Buone prove sono quelle di David Riondino alle prese con il “Bar Sport” di Stefano Benni e di Claudio Santamaria ne “La camera azzurra” di Georges Simenon (il secondo, comunque, più bravo del primo). Talvolta la bravura del lettore permette di tollerare anche dei romanzi scadenti (o che a me sono sembrati tali). E’ il caso di “Hanno tutti ragione”, di Paolo Sorrentino: ho trovato odioso dalla prima all’ultima riga il protagonista Tony Pagoda, ma sentirlo interpretare da Toni Servillo è valso a riabilitarlo e a consentirmi di arrivare in fondo persino con il rimpianto di udire la parola fine.

In certi casi, i romanzi sono letti dagli stessi autori. Un bravo lettore di se stesso è, per esempio, il pacato Andrea Vitali, la cui miglior interpretazione attoriale è, secondo me, “Pianoforte vendesi”. Uno ancora più bravo è Sandro Veronesi in “Caos Calmo”. Non del tutto convincente Melania G. Mazzucco quando legge “Vita”, ma il romanzo è così bello che lo si gode comunque. Ottimo Gianrico Carofiglio alle prese con i casi dell’avvocato Guerrieri, ma assolutamente strepitoso Camilleri che recita Camilleri. La sua interpretazione de “Il nipote del Negus” è da Oscar. Ci sono comunque racconti di Montalbano letti da altri, come “La luna di carta” a cui presta la voce Luigi Lo Cascio, che valgono la spesa. Uno dei problemi con gli audiolibri è che i titoli prodotti sono davvero pochi e bisogna accontentarsi di quel che passa il convento. A volte lettori sconosciuti risultano sorprese sono positive e si scoprono perle che lasciano senza fiato: è il caso di Fabrizio Parenti che legge “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini. 

Oltre a essere pochi, i titoli su audiolibri, non si trovano neppure dappertutto. La cosa che più mi sconvolge è questa: viaggando, io mi fermo di continuo negli Autogrill o comunque nelle Aree di Servizio delle autostrade. Come si sa, ci si può trovare di tutto. Libri, film, CD, roba da mangiare. Cose che nessuno ha mai visto altrove come le noci di prosciutto al pepe, quelle palle pepose che si incontrano all’inizio del labirinto da percorrere per arrivare all’uscita. Che salume è? Qualcuno lo ha mai mangiato? Qualcuno lo ha mai trovato da qualche altra parte fuorché in autostrada? Qualcuno lo ha mai comprato? Oppure sono sempre le stesse, mummificate e tenute lì per decorazione? Vabbè, fatto sta che le noci di prosciutto al pepe all’Autogrill ci sono. Gli audiolibri, invece, no. Perché no? Mistero. Voglio dire: chi è l’acquirente ideale dell’audiolibro? L’automobilista. Allora perché all’automobilista volete far comprare le noci di prosciutto al pepe e non gli audiolibri? Mah.