venerdì 8 novembre 2019

LA VALLE DEGLI IMMORTALI





Yves Sente

Teun Berserik
Peter Van Dongen

LA VALLE DEGLI IMMORTALI

Alessandro Editore
cartonato, 2018
60 pagine, 18.99 euro


Con tutto il rispetto per i moderni graphic novel, ritrovare il sapore delle vecchie, fumettose avventure di una volta, è sempre una sensazione impagabile. Peraltro, "La valle degli immortali" è, in effetti, una moderno graphic novel, essendo datato 2018, ma ha lo stesso identico sapore delle storie di Edgar P. Jacobs, di cui è una perfetta imitazione - senza che questa definizione costituisca un limite, un difetto o una diminuzione del merito. Lo sceneggiatore Yves Sente e in disegnatori Teun Berserik e Peter Van Dongen sono riusciti a proseguire le avventure di Blake & Mortimer come se a scriverle e disegnarle fosse ancora il loro creatore. Per Sente è la settima prova, per i disegnatori la prima. Priecedentemente, del resto, si erano cimentati con successo anche Jean Van Hamme (ai testi) e vari altri disegnatori, tutti con lo sguardo fisso sull'obiettivo di continuare l'opera jacobsiana per la gioia dei lettori, senza cercare di dare interpretazioni dei personaggi in stili diversi. Una scelta controcorrente, ma assolutamente vincente e convincente. "La valle degli immortali" è un racconto così lungo da essere diviso (come altre volte è accaduto, anche per mano di Jacobs) in più albi - in questo caso, due. La seconda puntata si intitola "Il millesimo braccio del Mekong" - torneremo a parlarne. "La valle degli immortali" è il sequel della primissima avventura di Blake & Mortimer (dipanatasi in tre volumi) "Il segreto dell'Espadon", così come "Il bastone di Plutarco" (un precedete episodio di Sente e Juillard, datato 2014) ne era il prequel. "Il segreto dell’Espadon" (storia che apparve a puntate sull risorto settimanale Tintin a partire dal settembre 1946, e fu raccolta in due albi nel 1950 e 1953) proponeva un infido nemico, il Colonnello Olrik, e una "minaccia gialla" rappresentata da un usurpatore tibetano chiamato Basam-Damdu. Costui, impadronitosi di arsenale militare atomico, scatena un attacco contro l’Occidente distruggendo Parigi, Roma, Londra e altre capitali. A cercare di fermare Olrik e Basam-Dandu ci sono ill capitano dei servizi segreti britannici Francis Blake e il suo amico scozzese Philip Mortimer, esperto progettista di futuribili invenzioni. 

"La valle degli immortali" è ambientata nel secondo dopoguerra, verso la fine degli anni Quaranta, in uno scenario fantapolitico (Londra è stata distrutta) ma "fanta" fino a un certo punto, perché poi sono reali le vicende legate al conflitto tra i nazionalisti di Ciang Kai-Shek e i comunisti di Mao Zedong, che portano alla fuga verso Hong Kong di grandi masse di profughi. I nazionalisti hanno portato a Taiwan migliaia di casse con reperti archeologici cinesi, per farli sfuggire alla temuta iconoclastia comunista, ed è proprio in una di queste casse che si nasconde un documento di fondamentale importanza, legato all'antica storia cinese.
Alcune tavole iniziali ridisegnano il finale del "Segreto dell'Espadon", mostrando la distruzione della città di Lhasa e la battaglia aerea degli Espadon (velivoli fantascientifici progettati dal professor Mortimer). Si vede anche come Olrik abbia potuto cavarsela e che sorte abbia avuto - qui lo ritroviamo di nuovo come nemico, ma non da solo. Le atmosfere alla Indiana Jones (ma anche alla James Bond) si mescolano con suggestioni di fantapolitica, di fantarcheologia, di fantascienza, e si capisce come da Olrik sia nato l'Orloff di Martin Mystere.

venerdì 27 settembre 2019

LA VERITA' SUL CASO HARRY QUEBERT



Joël Dicker 
LA VERITA' SUL CASSO HARRY QUEBERT
Bompiani
2013, brossurato
780 pagine, 14 euro


Se un libro vende centinaia di migliaia di copie vale sempre la pena chiedersi perché. Dunque, mi sono convinto a leggere il caso editoriale che ha spopolato in mezzo mondo. Si tratta sostanzialmente di un giallo: nel 1975 una ragazza di 15 anni, Nola Kellergan, scompare in circostanze misteriose nei boschi attorno alla cittadina di Aurora, nel New Hampshire, e i suoi resti vengono ritrovati nel 2008 sepolti nel giardino di casa di un celebre scrittore, Harry Quebert, che di lei era stato segretamente l'amante trentatré anni prima. Un allievo di Quebert, Marcus Goldman, anche lui scrittore di successo, indaga sul caso per scagionare il maestro, convinto della sua innocenza. Le premesse per una lettura appassionante ci sono tutte, e dico subito che, in effetti, una volta presi nel meccanismo narrativo (fin dalle prime pagine) se ne resta coinvolti e si vuol sapere come vada a finire. Tuttavia, se per arrivare in fondo, tutto sommato, ci vuol poco (si procede di gran carriera,  la prosa è scorrevole, la scrittura fluida e non c'è niente che costringa a tornare indietro per cercare di capire meglio qualcosa di poco chiaro), si tratta davvero del grado zero della narrativa. Facciamo del grado uno, considerando che c'è anche Fabio Volo. Insomma, l'inchiesta è intrigante e il mistero ben congegnato, ma ci sarebbe voluta la penna di qualcun altro per scrivere il romanzo. Se ci si abitua a Simenon, ma anche a Stephen King, si storce la bocca davanti a Dicker (classe 1985). Lì per lì il paragone viene con Stieg Larsson, l'autore della trilogia di "Millennium", che però era uno che sapeva scrivere in modo chiaro ma non banale e ha finito per consegnarci tre romanzi capolavoro, con un personaggio indimenticabile come Lisbeth Salander. Anche ne "Il caso Harry Quebert" come in "Uomini che odiano le donne" ci sono tanti personaggi, un caso complicato, una ragazza scomparsa molti anni prima, uno scrittore che indaga in una località isolata. Però, in confronto non regge perché Dicker, qui alla sua terza prova, in confronto a Larsson lascia a desiderare non tanto come ideatore di trame quanto come capacità di affabulare. Già non si capisce perché uno svizzero debba inventarsi un giallo ambientato negli USA, come se di thriller americani non ce ne fossero già abbastanza. Ma poi, sono proprio molti degli avvenimenti a risultare ingenui e incredibili, tirati per i capelli, a cominciare dall'innamoramento di Quebert (già adulto) per l'adolescente Nola. La ragazza fa la cameriera in un locale, rivolge allo scrittore due frasi sciocchine e per lui è il colpo di fulmine. Non è che se la voglia solo portare a letto (le scene di sesso fra i due sono sottintese e non se ne accenna mai), proprio ritiene di non poter vivere senza di lei e crede che la ragazzina possa essere la donna con cui fuggire per viverci insieme tutta la vita. Davvero si strabuzzano gli occhi e si scuote la testa perplessi. Poi c'è il fastidio provocato dal fatto che sia Querbert che Goldman siano due grandi scrittori, tutti e due autori di libri che hanno venduto milioni di copie, ed entrambi andati a finire ad Aurora per scrivere romanzi destinati essere capolavori: una forzatura del genere non sta in piedi neppure con le stampelle e se la inserissimo in un fumetto noi sceneggiatori saremmo linciati dai lettori. In conclusione: se si chiude un occhio sui mille punti che non tornano e sulle forzature in cui si inciampa a ogni piè sospinto, si scopre alla fine come sono andate realmente le cose e si può perfino annuire in segno di approvazione, ma bisogna davvero sorvolare su parecchi particolari.

domenica 15 settembre 2019

ALLA RICERCA DELLE COCCOLE PERDUTE




Giulio Cesare Giacobbe
ALLA RICERCA DELLE COCCOLE PERDUTE
Ponte alle Grazie
2004, brossurato
220 pagine, 12.50 euro

I libri dello psicologo e psicoterapeuta (con devianze buddiste) Giulio Cesare Giacobbe (Genova, 1941) sono sempre di gradevole lettura anche quando affrontano temi seri come le nevrosi e la sofferenza psichica, e se ne possono ricavare buoni consigli pratici pure quando il tono si fa così scherzoso da spingerci a chiederci cosa ne pensino i suoi colleghi dal tono più paludato. Tuttavia i manuali di Giacobbe, a partire "Come smettersi di farsi le seghe mentali e godersi la vita", pur mancando di propositi accademici, riescono a farci riflettere sulle dinamiche mentali comuni a tutti quanti (chi per un verso, chi per un altro). Soprattutto, sono estremamente chiari, al limite della brutalità (pur stemperata da una ironia disarmante). Trovo questo "Alla ricerca delle coccole perdute" il migliore della serie (almeno, quella dei cinque o sei titoli che ho letto). L'assunto di fondo è che ciascuno di noi può essere inserito in una di queste tre tipologie: il Bambino, che ha sempre bisogno di qualcuno a fargli le coccole; l'Adulto, che si fa le coccole da solo; il Genitore, che è l'unico in grado di fare le coccole agli altri. In un normale sviluppo della personalità, si attraversano, crescendo, tutte e tre le tipologie. I problemi sorgono quando non si è in grado di passare dall'una all'altra a seconda delle circostanze, ma si resta pietrificati in una soltanto. E i problemi si complicano quando due pietrificati in una tipologia soltanto fanno coppia fra di loro. Nascono nevrosi di tutti i tipi. La coppia sana è quella formata da due persone che sanno essere, fra di loro e nei rapporti con gli altri, Bambini in certi momenti, Adulti in altri, Genitori in altri ancora.

sabato 14 settembre 2019

CELESTINO E LA FAMIGLIA GENTILISSIMI



Achille Campanile
CELESTINO E LA FAMIGLIA GENTILISSIMI
Rizzoli
2004, brossurato
240 pagine, 8 euro

Se accettate un consiglio, fatevi un regalo e leggete questo libro. Io ho trattenuto a stento le risa (soffocandole in singhiozzi inconsulti) durante un viaggio in treno, osservato con perplessità dai passeggeri attorno. Datato 1941, scritto da uno dei massimi umoristi italiani (Achille Campanile, 1899-1977), "Celestino e la famiglia Gentilissimi", oltre a essere un esercizio di stile che vede l'autore portare avanti il racconto senza io narrante ma producendo lettere, telegrammi, e testimonianze di informati sui fatti alternati a sketches da avanspettacolo, è anche una esilarante denuncia delle ipocrisie della famiglia perbenista. Il destro Celestino, non si sa bene invitato da chi, forse per propria iniziativa, si presenta nella villa al mare dei conti Gentilissimi e, benché tutti in casa vorrebbero godersi le vacanze senza seccatori fra i piedi, nessuno osa dirgli di andarsene (per non sfigurare, in rispetto delle convenzioni sociali). Così il giovanotto si autonomina ospite a vita e segue dovunque i Gentilissimi, i quali cercano in tutti i modi di liberarsene, beninteso, senza mai figurare e, anzi, ostentando benevolenza assoluta. Ma qualunque trucco, stratagemma, inghippo, trappola, atto criminale messo in atto contro Celestino si ritorce contro i Gentilissimi in un susseguirsi di episodi sempre più divertenti. Che ne sanno, gli autori degli ignobili meme che imperversano sui social, di Achille Campanile.

martedì 20 agosto 2019

A MODO NOSTRO



Chen He
A MODO NOSTRO
Sellerio
2018, brossurato
360 pagine, 16 euro

Si potrebbe pensare a un noir. Un cinese di Wenzhou (la città del sud della Cina da cui provengono la maggior parte degli immigrati trasferitisi in Italia e in Francia), Xie Qing, viene convocato a Parigi dalle autorità di polizia, e dunque ottiene un viaggio spesato e un visto di ingresso, per riconoscere il cadavere di una donna, vittima di quello che sembra un incidente stradale avvenuto su una strada francese. La donna è Yang Hong, ex moglie di Xie. La sua automobile è finita in un fiume, e mentre l'acqua riempiva l'abitacolo lei ha fatto in tempo a fare due telefonate, una per richiedere soccorso e una a un numero sconosciuto. Xie Qing sospetta un omicidio e si trattiene a Parigi per indagare: niente di quanto accaduto sembra nelle abitudini di Yang, donna prudente e quasi astemia che invece sembrava essere ubriaca alla guida di una macchina spinta ad alta velocità, mentre aveva addosso un vestito lussuoso. Che vita conduceva la donna a Parigi? Un vero mistero per l'ex marito, che era stato abbandonato all'improvviso e lasciato in Cina. In realtà, l'aspetto poliziesco della vicenda non è affatto il predominante e, peraltro, non viene sfruttato quasi per nulla dall'autore. Tutte le spiegazioni vengono fornite, ma senza il climax che i gialliosti costruiscono per arrivare al colpo di scena di una rivelazione finale. Nessuna rivelazione. I fatti vengono raccontati in una alternanza di flashback ambientati tra gli anni Sessanta e Ottanta, e la narrazione principale che inizia nel 1993, e che ricostruiscono le vite parallele, poi intrecciatesi e quindi di nuovo divise di Xie e Yang. Le vicende sono però interessanti perché dipingono un quadro insolito e sconosciuto a noi europei della Cina prima della rivoluzione culturale, poi del regime maoista, quindi del periodo successivo e delle dinamiche dell'emigrazione, regolare e clandestina, dei cinesi in Europa. Xie sfrutta il permesso di soggiorno in Francia per cercare fortuna, più che per indagare sulla morte della moglie, e si trova arruolato al servizio di una ricca trafficante di uomini, Qiumei, che organizza trasferimenti in Italia e Francia di centinaia di cinesi paganti. Uno di questi "carichi" finisce in fondo al mare a causa di un naufragio nel Mediterraneo e ci sono centinaia di vittime. La cosa singolare è che Chen He, tutto sommato, presenta Qiumei come un personaggio positivo, che dà lavoro a tanti connazionali e che crea ricchezza in Cina grazie alle rimesse degli emigrati. La "normalità" con cui si tratta di lavoro in nero e sottopagato, di contrabbando, di aggiramento delle regole, di commercio senza autorizzazioni, dà piuttosto fastidio. Però, è chiaro come il quadro dipinto sia realistico. Singolare la descrizione anche della realtà dell'Albania, dove si svolge una parte del racconto  (in quanto base di smistamento del traffico di clandestini)  un tempo filo-maoista, e colpisce come esistesse un cinema albanese con un mercato cinese di milioni di spettatori.

lunedì 19 agosto 2019

COSIMO I DE' MEDICI



Roberto Cantagalli
COSIMO I DE' MEDICI
Mursia
cartonato, 312 pagine
1985, 25.000 lire

Più che si leggono, per passione, libri sulle vicende del passato e biografie di personaggi storici, più ci si rende conto di come la storia non sia proposta nel migliore dei modi dai programmi scolastici. Gli studenti, in genere, la trovano una materia noiosa. Invece, se si riuscissero a far risaltare la personalità degli uomini che ne furono protagonisti e il lato romanzesco delle dinamiche del suo scorrere, sicuramente anche i forzati delle aule di scuola imparerebbero a divertirsi nel leggere le pagine che li riguardano. Cosimo I de' Medici, tuttavia, è un personaggio affascinante anche se nessuno ricorda di averlo visto brandire una spada sul campo di battaglia. Non fu protagonista di imprese eroiche, non lo si ricorda perché fu campione di ideali democratici e liberali, non assassinò le sue mogli. Però, caspita, si trovò giovanissimo e assolutamente per caso nominato Duca di una Firenze distrutta da anni di guerre interne e da un assedio durato un anno (quello degli imperiali, tra il 1529 e il 1530) e trasformò il suo dominio nel Granducato di Toscana, uno stato vero e proprio al pari degli altri Regni europei, destinato a durare fino all'Unità d'Italia, nella seconda metà dell'Ottocento. La storia della sua salita al potere ha dell'incredibile. Dopo che l'imperatore Carlo V (un altro personaggio degno di monumentali biografie) ebbe restaurato a Firenze i Medici al governo di Firenze, papa Clemente VII (Giulio de' Medici) gli fece nominare Duca il proprio figlio naturale Alessandro (avuto dal Pontefice da una serva di colore, e per questo scuro di pelle e dai capelli crespi, detto appunto "il Moro"). Firenze e la sua campagna erano stati ridotte allo stremo, ferma l'agricoltura, interrotti i commerci, vendette politiche dei palleschi sui repubblicani all'ordine del giorno. Ma, soprattutto, la città era sotto tutela dell'imperatore che conservava le sue truppe stabilmente sul territorio. Carlo V era in pratica un occupante, il nuovo regime mediceo solo una facciata. Per di più Alessandro de' Medici era un gozzovigliatore incapace. Non c'era di che stare allegri. Sennonché, la notte dell'epifania del 1537, il cugino del Duca, Lorenzino, che di Alessandro era un compagno di baldoria, per motivi oscuri e del tutto personali, gli tende un agguato e lo ammazza a coltellate. Poi fugge a Venezia. Lorenzo era anche l'erede dello scettro ducale, ma certamente non avrebbe potuto essere lui il nuovo Duca, assassino com'era del genero di Carlo V (Alessandro ne aveva sposata una figlia). I maggiorenti del partito pallesco, capitanati da Francesco Guicciardini, individuano allora nel diciassettenne Cosimo (nato nel 1519), orfano di Giovanni delle Bande Nere, rampollo del ramo cadetto dei Medici (quello detto "dei popolani"), il migliore dei candidati possibili perché, essendo giovane e inesperto, avrebbe potuto essere facilmente manovrato dalle volpi più anziane, Guicciardini in testa, che si illudevano di regnare al posto suo, per interposta persona. Cosimo quindi venne nominato Duca credendo che potesse essere un burattino nelle mani dei maggiorenti fiorentini. Del resto, il ragazzo (alto e di bellissimo aspetto) era sempre vissuto in disparte con la madre e sembrava non capire nulla di politica. Ed ecco che, contro ogni aspettativa, Cosimo riesce in pochi mesi a far fuori o mettere all'angolo tutti i suoi tutori, a trattare direttamente con Carlo V, a sventare la minaccia dei fuoriusciti (come Filippo Strozzi), a prendere saldamente in mano il potere. Crea un regime di spie, di polizia, di censura, ma risolleva le sorti fiorentine, restaura la città, la abbellisce (Palazzo Pitti, il Giardino di Boboli, il corridoio Vasariano), rilancia i commerci, ingrandisce i domini. Sposa la figlia del viceré di Napoli, ne investe le cospicue ricchezze, ci fa undici figli e si assicura una dinastia. Con estrema furbizia, fingendosi amico di Carlo V, lo convince a ritirare, progressivamente, le truppe occupanti (gli fa prestiti in denaro di cui l'imperatore ha estremo bisogno e chiede quelli che potremmo definire "rimborsi in natura"), si annette Siena, rinforza Pisa e Livorno per scongiurare attacchi saraceni, manovra tre papi intortandoli magistralmente anche a costo di consegnare prigionieri all'inquisizione (perfino amici propri, come il povero Piero Carnesecchi). Insomma, Cosimo si rivela un politico machiavellico (sicuramente aveva letto "Il Principe"). Un despota, e senza scrupoli, ma intelligente e in grado di fondare un Regno. Nel 1570 Cosimo venne incoronato Granduca da Pio V. Morì nel 1574 e gli successe il figlio Francesco.

sabato 17 agosto 2019

LMVDM - LA MIA VITA DISEGNATA MALE



Gipi

LMVDM
LA MIA VITA DISEGNATA MALE
Coconino Press
cartonato - 150 pagine

"La mia vita disegnata male" è uno di quei fumetti che mi hanno costretto a rimuginarci sopra per giorni, dopo avermi dato un senso di angoscia mentre lo leggevo. Tutto questo, ovviamente, sia detto in lode del volume. Le sensazioni sono state quelle di quando ho letto certe cose di Andrea Pazienza, un altro autore nelle cui opere a volte non è facile distinguere la parte inventata dagli elementi autobiografici, anche se la necessitò di fare questa distinzione non è fondamentale né importante. Non so quanto della "vita disegnata male" di Gipi (Gian Alfonso Pacinotti, 1963) sia davvero accaduto o piuttosto aggiustato per dar vita a un graphic novel che per quanto autobiografico resta un'opera di narrativa. Però so che obbliga lettore a confrontarsi con uno spaccato di società, di umanità, di sofferenza, di degrado e di esaltazione che sicuramente esistono, là fuori. Niente di più lontano da me delle esperienze di gruppi di tossici che si inventano mix di farmaci, sostanze chimiche e droghe, però, caspita, leggendo Gipi ci si finisce dentro, si vedono e capiscono dinamiche, si partecipa alle ansie del protagonista, ci si angoscia per lui e con lui. A volte, si sorride pure amaramente insieme all'autore, che sceglie volutamente di "disegnare male" pur essendo capacissimo di "disegnare bene" (si vedano le tavole a colori con i pirati, intercalate alle pagine in bianco e nero in cui si segue l'odissea in carcere e dai medici dell'io narrante). Un disegno che si inserisce chiaramente in una scuola anche internazionale di artisti volutamente non "accademici", il cui stile si può apprezzare o non apprezzare ma che è adattissimo alla narrazione autobiografica, quella degli "scarabocchi" che ciascuno di noi ha dentro si sé nel groviglio dei ricordi.

venerdì 16 agosto 2019

LA MACCHINA PENSANTE



Jacques Futrelle
LA MACCHINA PENSANTE
I gialli economici Mondadori
1950, brossurato,
72 pagine, 100 lire

E’ davvero singolare la sorte dello scrittore statunitense Jacques Futrelle. Singolare, perché morì nel naufragio del Titanic, nel 1912, all’età di soli trentasette anni; ma anche perché la morte gli impedì di dimostrarsi un autore di gialli ancor più talentuoso di quello che, con soli sette romanzi all’attivo, si era già dimostrato. Leggendo le avventure del suo personaggio detto “La macchina pensante”, ovvero il professor Augustus Van Dusen, si resta affascinati dalla capacità di ragionamento logico che questi applica nell’esame di uno minimo dettaglio dei casi su cui si trova a indagare, riuscendo a risolverli in poco tempo mentre la polizia brancola nel buio. Polizia rappresentata dal borioso ispettore Mallory, ironicamente soprannominato “il Genio Superiore”, mentre è chiaramente superiore soltanto in incapacità. Jacques Futrelle, che aveva iniziato la carriera come giornalista per poi dedicarsi solo alla narrativa, si era imbarcato con la moglie Lily May Peel (anche lei scrittrice) nel viaggio inaugurale del Titanic. Al momento del naufragio, si accertò che la consorte fosse salita su una scialuppa e poi rimase a fumare l’ultima sigaretta in compagnia del magnate John Jacob Astor IV. Augustus Van Dusen compare per la prima volta nel romanzo “The Case of the Golden Plate”, del 1906, pubblicato in Italia con il titolo di “La macchina pensante”. Si tratta di un romanzo breve, in cui peraltro si dà la caccia a un ladro e non a un assassino. La storia è brillante e ben congegnata, ciò che ci viene fatto credere non è ciò che sembra, Van Dusen compare solo nella seconda metà ma, in poche pagine, viene rapidamente a capo di un problema apparentemente insolubile. Seguendo il suo ragionamento, quando egli stesso ce lo spiega, si resta affascinati. Peccato non avere a disposizione più racconti con la Macchina Pensante.

mercoledì 14 agosto 2019

IL PENDOLO DI FOUCAULT



Umberto Eco
IL PENDOLO DI FOUCAULT
Bompiani
1988, cartonato
520 pagine, 26.000 lire

Rileggere "Il pendolo di Foucault" trentun anni dopo la prima edizione (e altrettanto dopo la mia prima lettura) ha un effetto straniante e sorprendente. Il secondo romanzo di Umberto Eco mi piacque anche all'epoca, ma oggi l'ho trovato strepitoso. Superiore, molto probabilmente, a quel "Nome della Rosa" da tutti considerato il capolavoro letterario dell'autore. Ma soprattutto, attualissimo. La perfetta dimostrazione di come i complottisti abbiano attraversato tutte le epoche storiche e l'irrazionalità, la superstizione, il "ciarpame occultista" (definizione dello stesso scrittore) abbiano sempre preso il sopravvento. Eco è impietoso nel descrivere, per esempio, il passaggio delle librerie milanesi dei primi anni Settanta, piene zeppe di saggi di teoria marxista e rivoluzionaria, a quelle dei primi anni Ottanta, convertite alle discipline esoteriche orientali a cui avevano cominciato a dedicarsi gli ex studenti disillusi. Ma il rifugio nella magia, negli arcani, nelle società segrete, nei misteri iniziatici era sempre stato cercato fin dai tempi più antichi, e il sonno della ragione ha sempre generato mostri. Rispetto al "Nome della Rosa", "Il pendolo di Foucault" non ha né unità di tempo né unità di luogo. Non c'è neppure una trama facile da descrivere e da ricostruire, anche se gli accadimenti non mancano. Per di più, i primi capitoli sono decisamente ostici, quasi come se Eco avesse voluto scremare il suo pubblico e scoraggiare chi fra i lettori sperava in un altro giallo storico o almeno in un mistero da risolvere. Potremmo dire che a fare centro di gravità dell'intera, complessa costruzione, sia la sede milanese della piccola Casa editrice Garamond, e che l'arco temporale principale comprenda gli anni tra il Sessantotto e il 1984. Tuttavia i personaggi si muovono anche in Piemonte, a Parigi, in Brasile e seguendo le elucubrazioni dell'autore si finisce per spaziare nelle epoche storiche: si parte con i Templari e si finisce (si finisce?) con i Nazisti. Eco si compiace di far sfoggio di incredibile erudizione e ficca nelle sue pagine una mole impressionante di fatti, persone, libri, date, citazioni. E' facile rimanerne storditi ma se invece ci si lascia incantare e guidare la vertigine si trasforma in estasi. Quasi crediamo anche noi al Piano ideato per gioco da Casaubon, Belbo e Diotallevi, redattori della Garamond alle prese con la cura di una collana dedicata all'esoterismo, dove tutto torna, e dove tutto è compreso, dai Rosacroce alla massoneria, da John Dee a Bacone a Shakespeare e a Hitler, dai testi gnostici ai Protocolli dei Savi di Sion, e dove le Piramidi e la Torre Eiffel hanno una relazione fra loro al pari dei tunnel della metropolitana o delle fogne di Parigi con la Fortezza di Alamut. Proprio perché l'intera storia è attraversata dai sotterranei del complottismo e dell'esoterismo, il romanzo non poteva essere meno complesso e onnicomprensivo. Se il personaggio più interessante è il cinico e ironico Jacopo Belbo, se quello più inquietante è Agliè, che si finge (o è?)il  Conte di Saint-Germain passato indenne attraverso i secoli, il più simpatico è sicuramente Lia, la moglie dell'io narrante Casaubon, che rappresenta lo sguardo razionale sulla realtà dei fatti, quella che smonta in poche ore il presunto testo su cui si basa la ricostruzione di un piano dei Templari destinato a dipanarsi per seicento anni. Persino la nota della lavandaia, se guardata  con gli occhi di chi vuol credere al complotto, può essere decifrata come un testo esoterico. E se misuriamo un qualunque chiosco in un parco troveremo delle corrispondenze astrali. Eco si fa beffe da par suo dei "diabolici" che si irretiscono a vicenda rifiutando le spiegazioni logiche e scientifiche in favore di un torbido almanaccare cabalistico, alchimistico, trascendentale, magico-iniziatico e chi più ne ha più ne metta. Ci sono pagine esilaranti, altre angoscianti: tuttavia, tutto torna, tutto si tiene. E si capisce bene, alla fine, come proprio il buio della ragione sia il principale pericolo da cui guardarsi. In tempi come i nostri, affollati di complottisti e caratterizzato da un crescente rifiuto delle verità scientifiche più elementari in favore di leggende metropolitane simili a quelle rosacrociane, il romanzo di Eco è attualissimo.

lunedì 22 luglio 2019

IL GIARDINO DELLE BELVE




Jeffery Deaver
IL GIARDINO DELLE BELVE
Rizzoli
brossurato, 490 pagine
2008, 9.60 euro

Anche se Jeffery Deaver (Chicago, 1950) è noto soprattutto per il suo investigatore tetraplegico Lincoln Rhyme (protagonista del suo romanzo più celebre, "Il collezionista di ossa"), questo "Garden of Beasts" (2004) appartiene alla sua produzione "libera" e ha vinto il Premio Ian Fleming: si tratta infatti di una spy story, anche se non propriamente alla James Bond. Il sottotitolo in inglese spiega: "A Novel of Berlin 1936". L'ambientazione è berlinese, il momento storico quello dei giorni dell'apertura delle Olimpiadi del '36. Fra i personaggi c'è addirittura Jesse Owens (che avrebbe vinto quattro medaglie d'oro, indispettendo Hitler), ma sono tante le figure storiche chiamate in causa, a partire dai maggiorenti tre Terzo Reich. Straordinariamente accurata è la ricostruzione del clima politico e della vita quotidiana nella Germania sotto il nazismo a pochi anni dall'inizio della Seconda Guerra Mondiale. "Il giardino delle belve" merita una lettura anche soltanto per questo. Ma c'è anche dell'altro, ovviamente. Come per tutti i romanzi di Deaver, già dopo il primo capitolo si rimane intrappolati nella rete narrativa dello scrittore, in grado di tenerci ipnotizzati sulle sue pagine per vedere che cosa succede e come succede, prima che come vada a finire. Un talento mostruoso, il suo. Un altro talento, quello del colpo di scena, del rimescolamento delle carte. La combinazione di tutti questi elementi dà vita a un romanzo memorabile, nel suo genere. Ma già che l'unica distinzione fra i generi che conti è quella fra libri che annoiano e libri che emozionano. "Il giardino delle belve" emoziona, insegna, stimola riflessioni. Protagonista ne è Paul Schunann, killer della mala messo in trappola dall'FBI, ingaggiato da governo americano per compiere una missione in Germania: quella di uccidere Reinhard Ernst, consigliere di Hitler. In cambio, gli vengono promessi la libertà e un gruzzolo bastante a rifarsi la vita. Schumann si aggrega al gruppo di giornalisti USA giunti a Berlino per le Olimpiadi e si organizza per portare a termine l'incarico. Brividi garantiti. C'è spazio anche per una breve, intensa e non banale né prevedibile storia d'amore e per un epilogo da cui si può trarre una morale.

venerdì 21 giugno 2019

LO SPECCHIO DI DIO





Andreas Eschbach
LO SPECCHIO DI DIO
Fanucci
cartonato, 2010
496 pagine, 12.90 euro


Il titolo originale del romanzo è "Jesus Video" e, per quanto meno suggestivo di quello italiano, rende immediatamente il senso della trama. Durante degli scavi archeologici condotti dal professor Charles Wilford-Smith nei pressi di Gerusalemme, in una tomba intatta risalente al primo secolo dopo Cristo viene rinvenuto lo scheletro di un uomo che non soltanto ha una dentatura con otturazioni moderne, ma stringe fra le mani una custodia in plastica contenente il libretto di istruzioni di una videocamera. La casa produttrice, interpellata, rivela come si tratti di un modello non ancora in commercio, destinato a uscire soltanto dopo tre anni. Il finanziatore degli scavi, John Kaun, ritiene che lo scheletro appartenga a un viaggiatore temporale, partito dal nostro futuro e poi rimasto imprigionato nel passato. Chiunque abbia intrapreso quel viaggio senza ritorno portandosi dietro una telecamera non può averlo fatto che per un motivo: realizzare un video di Gesù, per poi far ritrovare il filmato a qualcuno nell'epoca di partenza. La telecamera deve essere stata nascosta in un luogo, probabilmente in Palestina, destinato a rimanere intatto per due millenni: ma quale? Questo il punto di partenza dell'avvincente romanzo del tedesco Andreas Eschbach (nato a Ulma nel 1959). Gli sviluppi sono in linea con le premesse: Kaun assolda uno staff per dare la caccia alla telecamera (e del gruppo fa parte persino uno scrittore di fantascienza, Peter Eisenhardt, chiamato a fare da consulente confidando nel contributo del suo "pensiero laterale") mentre si attiva per vendere la scoperta nientemeno che al Vaticano. Infatti, la Chiesa si preoccupa di intercettare il video ritenendo che qualsiasi cosa mostri sia dannosa per la fede. Conscio del fatto che pertanto il filmato sarebbe stato distrutto, se ritrovato, il giovane archeologo Stephen Foxx (a cui si deve, materialmente, il ritrovamento dello scheletro) si convince di dover battere Kaun sul tempo, arrivando prima di lui alla videocamera. Oltre all'intreccio avventuroso, misterioso e fantarcheologico, "Lo specchio di Dio" propone, nel corso della narrazione e nel sorprendente finale, molte riflessioni sui viaggi nel tempo, la religione, la fede, la figura del Cristo. La lettura è consigliata.

giovedì 20 giugno 2019

COME DIVENTARE UN BUDDHA IN CINQUE SETTIMANE




Giulio Cesare Giacobbe
COME DIVENTARE UN BUDDHA IN CINQUE SETTIMANE
Ponte alle Grazie
brossurato, 2005
140 pagine, 12 euro

Comincio col dire che Giulio Cesare Giacobbe è persona divertente e con il dono della sintesi e della chiarezza, per cui qualunque cosa scriva si legge con interesse e con piacere. Psicologo, psicoterapeuta, docente universitario a Genova, è autore di una serie di manuali di consigli pratici per l'automedicazione psicologica, tutti gradevoli ed efficaci. Partendo da"Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita (2003) passando per "Alla ricerca delle coccole perdute" (2004) e ad altre divagazioni e approfondimenti sul tema, sono giunto (volentieri) a questo "Come diventare un Buddha in cinque settimane" (2005). Fortunatamente non si tratta di un catechismo buddhista. L'autore, che pure sembra condividere anche il messaggio trascendente, o religioso, ricavato (da altri) dagli insegnamenti del primo Buddha, ovvero Siddhrta Gautama Sekyamuni (563-491 avanti Cristo), propone un metodo psicologico alla portata di tutti per aiutare il lettore a liberarsi della sofferenza psichica. Un metodo basato appunto sulla pratica di meditazione e di comportamento insegnata da da Siddhartha. "Diventare un buddha" significa semplicemente diventare un "risvegliato", uno che è uscito dal sonno dell'incoscienza. Per comodità potremmo dire "illuminato".  "Buddha" infatti è un aggettivo, non un nome proprio. Vero è che parlando di Buddha si pensa al primo che raggiunse il risveglio o l'illuminazione (riguardo il quale vengono fornite notizie biografiche e aneddotiche) , ma chiunque ci arrivi diventa un buddha. Secondo Giacobbe, il mondo è pieno di buddha (lui compreso) e anche noi potremmo diventarlo, lungo un percorso di cinque settimane. Si parte dalle Quattro Verità e si percorrono gli Otto Sentieri. I consigli sono pratici e di buon senso, si parte dal capire come la sofferenza psichica nasca dai nostri stessi pensieri e non dalla realtà. Il problema è avere la costanza e la convinzione per arrivare in fondo. Ma se ne ricava comunque del bene.

venerdì 24 maggio 2019

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE





Milan Kundera
L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE
La Biblioteca di Repubblica
2002, cartonato, 260 pagine

Si può ben capire perché questo romanzo, scritto nel 1982 e pubblicato in Francia nel 1984, non abbia potuto uscire subito anche in Cecoslovacchia, patria dell'autore (nato a Brno nel 1929): si parla della Primavera di Praga del 1968e della repressione sovietica che ne seguì, e quindi i toni sono anticomunisti. Del resto Kundera fuggì a Parigi proprio in seguito all'invasione dei carri armati russi e si stabilì in Francia, dove ha insegnato all'università di Rennes. Stupisce casomai il fatto che, anche dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 siano passati diciassette anni prima che ci fosse una edizione praghese. "L'insostenibile leggerezza dell'essere" si sviluppa in lungo arco narrativo che abbraccia più decenni. E' una lettura quasi obbligatoria, nel senso che dopo averne sentito parlare per ogni dove, e non aver mai visto passare di moda il nome (per carità, degno di ogni lode) dell'autore, uno si convince che fra un libro di Stephen King e l'altro sia cosa buona e giusta non farsi cogliere impreparati e annoverare fra i titoli di cui saper disquisire anche il capolavoro di Milan Kundera. Ecco, a libro chiuso dopo l'ultima pagina mi vien da pensare che anche questo, come in altri casi mi sono trovato a dover dire, è uno di quei romanzi di cui non si capisce fino in fondo il motivo di tanto entusiasmo. Libro gradevole, ma di certo non uno di quelli che illuminano la vita (almeno, non la mia). E' chiara l'eco delle "Affinità elettive" di Goethe, con la doppia coppia alla base di un complicato gioco di relazioni incrociate, ma per il resto si tratta del racconto di una storia d'amore fra Tomáš (un medico), la sua compagna Tereza (una fotografa), la sua amante Sabina (una pittrice) e un altro amante di Sabina, Franz (un professore universitario). Tomáš non riesce a essere fedele, Tereza finge di non vedere i tradimenti di lui ma si tribola nella gelosia. Lui è materialista, legato alla fisicità delle relazioni, lei sentimentale, legata alle ragioni dell'anima: il confronto fra queste diverse indoli anima il dipanarsi dei capitoli, privi tuttavia di accadimenti clamorosi, con la noia sempre in agguato, per fortuna leggera e dunque sostenibile.

venerdì 10 maggio 2019

GUSTAV KLIMT



Serge Sabarsky - Autori Vari
GUSTAV KLIMT
Artificio
Prima edizione 1995
Brossurato  -  230 pagine -  35.000 lire

Serge Sabarsky introduce con un suo interessante saggio un'ampia disamina dell'opera artistica di Gustav Klimt, condotta con l'intervento di altri critici su aspetti specifici della sua produzione e con la riproduzione fotografica di alcuni capolavori del maestro viennese. Sabarsky, il cui scritto è il più chiaro ed esaustivo fra quelli contenuti all'interno del volume (peraltro tutti lodevoli), inquadra la figura di Klimt nella Vienna di fine Ottocento e del primo Novecento, ripercorrendo le tappe della sua straordinaria carriera, dai suoi inizi manieristici e pertanto lodati dalla critica "ufficiale" ed esaltati perfino dall'Imperatore, fino alla sua "secessione" dai binari dell'arte più tradizionale verso nuove forme e nuovi esiti. I Secessionisti Viennesi, cioè il gruppo di artisti che seguì Klimt, si dotarono presto di un padiglione per l'esposizione delle loro opere, che Klimt affrescò all'interno: lì dentro si susseguirono le mostre degli aderenti alla corrente artistica, sempre suscuitando l'entusiasmo del pubblico e la freddezza della critica. Klimt fu un artista singolare per la sua capacità di essere pittore e disegnatore, così come grafico e ritrattista, spontaneo e complicato, sensuale e trascendente, erotico e spirituale nello stesso tempo.  Ecco le parole di Klimt riguardo alla sua "secessione": "Né mai parteciperò a una mostra ufficiale. Voglio liberarmi. Voglio uscire da queste sgradevoli insulsaggini che ritardano il mio lavoro, per riprendermi la mia libertà. Voglio oppormi al modo in cui, nella nazione austriaca, vengono trattate le cose dell'arte. Ci si scaglia in ogni occasione contro la vera arte e i veri artisti. Solo ciò che è fiacco e falso viene sempre protetto. Lo Stato non ha il diritto di esercitare la dittatura sulle mostre e sull'espressione artistica. Sarebbe invece suo dovere lasciare l'iniziativa artistica interamente agli artisti. Non deve accadere che il funzionario irrompa nelle accademie a cacciare gli artisti". Dopo la parte saggistica, il volume presenta la riproduzione a colori di un certo numero di opere pittoriche, di alcuni disegni, di alcuni manifesti e lavori grafici. In verità, le riproduzioni sono (inevitabilmente) un po' poche rispetto alla voglia di vedere Klimt che ha l'acquirente del volume.

domenica 5 maggio 2019

STREGATI DALLA LUNA



Maria Giulia Andretta
Marco Ciardi
STREGATI DALLA LUNA
Carocci
2019, brossura
200 pagine, 17 euro


Non c'è modo migliore per prepararsi a festeggiare i cinquanta anni dalla conquista della Luna, che ripercorre le tappe dell'avvicinamento dell'uomo all'allunaggio con questo saggio, agile e brillante ma allo stesso tempo documentato ed esaustivo. Persino Bruno Vespa ha dato alle stampe una sua ricostruzione giornalistica dell'impresa, e sicuramente altri scienziati o divulgatori hanno firmato o firmeranno altri libri sull'argomento, ma Maria Giulia Andretta e Marco Ciardi (quest'ultimo professore di Storia della scienza e delle tecniche all'Università di Bologna) uniscono alla disamina dei progressi tecnologici e dei retroscena politici anche quella del contributo (incredibilmente importante) che al "grande passo per l'umanità" hanno dato romanzi, film e fumetti di fantascienza. Non a caso il sottotitolo del saggio è "Il sogno del volo spaziale da Jules Verne all'Apollo 11". E ai due romanzi "lunari" di Verne, "Dalla Terra alla Luna" (1865) e "Intorno alla Luna" (1869), Wernher von Braun ha fatto costante riferimento in molte sue interviste. A von Braun, a cui per meriti scientifici gli americani che lo naturalizzarono perdonarono perfino i suoi trascorsi al servizio di Hiltler (in realtà lui era interessato soltanto all'aspetto aerospaziale dei suoi progetti, che pure portarono alla costruzione dei micidiali V2), è considerato il padre della missilistica, anche se ebbe un maestro altrettanto in gamba in un altro tedesco, Hermann Oberth, anch'egli passato, con molti altri, dalla parte Occidentale, mentre altrettanti scienziati suoi connazionali dopo la Guerra furono precettati dal russi: cominciò così la gara fra i blocchi contrapposti, l'Est e l'Ovest, per la conquista dello Spazio. I sovietici partirono in vantaggio e collezionarono una serie di primati, ma poi gli americani ebbero la meglio nello sprint finale. Il saggio è ben illustrato e colpisce la parità di trattamento riservato alle foto delle missioni spaziali quanto alle illustrazioni dedicate ai fumetti ("Tintin sulla Luna"), ai set e alle locandine cinematografiche ("2001 Odissea nello Spazio"), alle illustrazioni di romanzi di fantascienza (come quelle di Chesney Bonestell). Lo "scetticismo spaziale" dei politici fu vinto anche grazie agli scrittori, i fumettisti e i cineasti.

sabato 4 maggio 2019

DIECI MILIARDI







Stephen Emmott 
DIECI MILIARDI
 Feltrinelli
2013, 210 pagine

brossurato, 16 euro

"Diecimila anni fa la Terra ospitava un milione di uomini. Nel 1800, un miliardo. Nel 1960, tre miliardi. Alla fine di questo secolo, supereremo i dieci miliardi. Quello che penso è che siamo fottuti". Questo, in sintesi (la citazione è un mio montaggio di frasi dell'autore), il succo del libro. La cui lettura è assolutamente angosciante, com'è ovvio. Tanto per dare un'idea ecco come si conclude: "Ho chiesto a uno dei più razionali, brillanti scienziati che conosco: se esistesse una singola cosa che tu potessi fare riguardo alla situazione che abbiamo di fronte, che cosa faresti? La sua risposta? Insegnerei a mio figlio a sparare". Poche pagine prima, si può leggere: "Se l'attuale tasso di riproduzione dovesse mantenersi costante, entro la fine di questo secolo non saremo dieci miliardi. Saremo ventotto miliardi". Il dato dei dieci è stato previsto ottimisticamente ipotizzando un calo della crescita. Nel 2012, Stephen Emmott che insegna Scienze Computazionali all'Univesità di Oxford, ha trasformato le sue idee riguardo la sovrappopolazione in un monologo teatrale messo in scena a Londra, che ha avuto un enorme successo. Il testo, intitolato "10 Billions", è poi divenuto il libro pubblicato in Italia da Feltrinelli. Va detto che, trattandosi di un lavoro non solo divulgativo, ma anche destinato a venire recitato a voce, non è un saggio scientifico vero e proprio (con riferimenti ad altri saggi o alle fonti esatte delle informazioni), ma di una coinvolgente sequenza di frasi a effetto. Il desiderio sarebbe appunto quello di poter leggere invece un testo più argomentato, che approfondisca meglio l'argomento, senza dubbio interessante (anche Dan Brown ha incentrato il suo "Inferno" su questo tema, il che vuol dire che la questione è in grado di catalizzare l'attenzione). Tra i vari spunti offerti da Emmott alla nostra riflessione, alcuni riguardano il livello di inquinamento, altri i cambiamenti climatici, altri il depauperamento delle risorse, altri il problema delle fonti di energia o dello sfruttamento del suolo, per arrivare all'estinzione delle specie private degli habitat sottratte loro dagli uomini o alle guerre per l'acqua o per il cibo che si prevedono per il prossimo futuro. Di solito io sono un ecologista scettico, per cui gli allarmismi mi lasciano sempre perplesso: credo che i progressi della scienza o il mutare delle condizioni invalidino la maggior parte delle teorie catastrofiste (il "Medioevo prossimo venturo" di Roberto Vacca, per dirne una, è stato rimandato a data da destinarsi). Tuttavia, la sovrappopolazione è qualcosa che mi ha sempre spaventato. E' uno dei motivi per cui mi sembrerà giusto togliermi dai piedi al momento opportuno.

venerdì 3 maggio 2019

LESSICO FAMIGLIARE




Natalia Ginzburg
LESSICO FAMIGLIARE
Einaudi
218 pagine, 15.49 euro


Vincitore del Premio Strega nel 1963, “Lessico famigliare” è un album di ricordi dell’autrice. Natalia Ginzburg narra, giurando di dire il vero ma ammettendo di non poterlo dire tutto (“perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi e schegge di quanto abbiamo visto e udito”), raccoglie frammenti di vita famigliare, racconta aneddoti, recupera emozioni, descrive il variegato carattere delle persone così come apparivano ai suoi occhi di bimba prima, di adolescente poi, di donna infine (ma in minor parte). I genitori, i fratelli e le sorelle, i parenti vicini e lontani, gli amici di famiglia: tutti compaiono con il loro vero nome o, a volte, soprannome. Non se ne ricavano biografie complete ma ritratti emozionali. Ciascuno di noi potrebbe, nei limiti del nostro proprio talento di affabulatori, riempire un libro del genere raccontando i ricordi di infanzia, perché tutti abbiamo avuto, e abbiamo, un “lessico famigliare” di riferimento: frasi ricorrenti, esclamazioni, modo di dire, atteggiamenti, giudizi sugli altri tipici del padre e della madre, dei nonni o degli zii. Natalia Ginzburg, sicuramente più dotata di noi quanto a capacità di scrivere e descrivere, ci parla della sua famiglia. La figura che più emerge è quella del padre, Giuseppe Levi, importante biologo e professore universitario, perseguitato dal regime perché ebreo (e antifascista). Uomo burbero come quant’altri mai, talmente antipatico da essere simpatico per paradosso. Ma il teatrino famigliare che gli ruota attorno, sullo scenario della Torino tra gli anni Venti e i Cinquanta, è variegato di personaggi caratterizzati ciascuno in modo diverso come diversi sono i caratteri (che peraltro mutano nel tempo). Colpisce, per quanto la Ginzburg ne parli come di assoluta normalità di frequentazioni, la quantità di figure storiche illustri che compaiono nel libro, elencate nel novero degli amici o dei conoscenti: i fratelli Rosselli, Filippo Turati, Ugo Pajetta, Adriano Olivetti, Pitigrilli, Cesare Pavese e naturalmente Leone Ginzburg, l’intellettuale antifascista morto in carcere a Roma, che Natalia sposò e dal quale ebbe due figli (poi ci fu un secondo marito). Benché “Lessico famigliare” non tracci puntualmente il quadro storico delle vicende politiche, ma vi faccia riferimento soltanto per quanto poteva essere percepito e compreso dall’autrice bambina, è inevitabile ricavarne uno spaccato della realtà italiana durante il fascismo. La Ginzburg non dipinge niente a tinte cupe, ma certamente gli anni al confino, la rocambolesca fuga in Francia di un fratello, la prigionia di un altro così come quella di tanti amici, la deportazione di parenti e conoscenti, la clandestinità sono tutti avvenimenti raccontati con dolore. Il tono complessivo del libro resta comunque brillante, divertente. Si ride, talvolta. In altri casi ci si commuove o ci si preoccupa. Come capita nella vita.

giovedì 2 maggio 2019

E' TROPPO FACILE

L'immagine può contenere: testo


Agatha Christie
E' TROPPO FACILE
Mondadori
1985, brossurato
210 pagine, lire 10.000


Non tutti i gialli di Agatha Christie hanno come protagonisti Hercule Poirot o Miss Marple. Per esempio, in questo "E' troppo facile" (1939) l'investigatore è Luke Fitzwilliam, funzionario di polizia in pensione. Al quale capita di sbagliarsi ber ben due volte, convincendosi (e convincendo il lettore) della colpevolezza di due sospettati prima di arrivare alla vera soluzione, che si rivela essere del tutto diversa. Peraltro, a Fitzwilliam, nel corso della storia, capita anche di innamorarsi di una donna già impegnata, di vedersi rifiutato, e poi alla fine di riuscire invece a coronare il suo sogno d'amore. Il risvolto romantico non sembrerà strano a chi abbia letto i romanzi rosa che la Christie pubblicò con lo pseudonimo di Mary Westmacott. "E' troppo facile" parte da uno spunto particolarmente intrigante: Luke riceve in treno le confidenze di una vecchietta, Lavinia Pinkerton, convinta che nel suo piccolo paese, Wychwood, sia stata commessa una serie di delitti mascherati da incidenti. La donna ritene di aver capito chi sia l'assassino e si sta recando a Londra per denunciarlo a Scotland Yard. Lì per lì Fitzwilliam la crede un po' svitata, ma quando legge sul giornale che la Pinkerton è stata travolta da un'automobile prima che potesse sporgere la sua denuncia, comincia a chiedersi se non avesse ragione. Così, decide di recarsi a Wychwood a indagare, spacciandosi per uno scrittore in cerca di documentazione per un libro sulle superstizioni popolari. In effetti ci sono state cinque morti sospette nei mesi precedenti, ma tutte rubricabili (e rubricate) come frutto del caso o della malasorte. Le vittime non sembrano aver nessun rapporto fra di loro, e i possibili sospetti per ciascuna delle morti non paiono avere moventi per le altre. La soluzione finale, ovviamente, spiega tutto. La Christie è sempre la Christie, anche nei gialli "minori".

mercoledì 1 maggio 2019

TRE TOPOLINI CIECHI E ALTRE STORIE




Agatha Christie
TRE TOPOLINI CIECHI E ALTRE STORIE
Oscar Mondadori
1981, brossurato
240 pagine

Oltre che dei romanzi gialli di cui sono protagonisti e che hanno reso nota in tutto il mondo la loro autrice, Miss Marple ed Hercule Poirot compaiono anche in buon numero di racconti. Sette di questi (quattro con la prima, tre con il secondo) sono stati raccolti in questo Oscar dalla Mondadori. In più ce ne sono altri due "liberi", tra i quali spicca il primo, "Tre topolini ciechi". Un racconto lungo, si potrebbe definire: un'ottantina di pagine. Gli altri otto sono tutti molto più brevi. "Tre topolini ciechi" è molto famoso perché da esso Agatha Christie ha tratto quel capolavoro che è "Trappola per topi", la sua celebre commedia (intrigantissima da vedere in scena) che viene ininterrottamente replicata a Londra dal 1952 (un caso da Guinness dei Primati). Il racconto non è brillante come l'opera teatrale ma resta godibilissimo: in un albergo rimasto isolato per causa della neve penetra un assassino in cerca della sua vittima, ed entrambi sono nel novero degli ospiti (tra cui c'è, però, anche un poliziotto). Chi è il criminale, e chi si appresta a uccidere? Da leggere assolutamente. I restanti racconto sono molto gradevoli, e un paio notevoli ("Omicidio su misura", con Miss Marple, e "L'appartamento al terzo piano", con Poirot). Le storie brevi hanno il vantaggio che si possono spiluccare quando se ne ha il tempo, non impegnano come i romanzi. Però, dovendo scegliere, meglio la Christie dei testi più lunghi.

giovedì 25 aprile 2019

DELITTI IMPOSSIBILI





DELITTI IMPOSSIBILI
di Autori Vari
Polillo Editore
2012, 320 pagine, 15.40 euro

Si tratta del 125° volume della benemerita collana "I bassotti", decisamente un must per gli appassionati del giallo classico. In questo caso, non ci viene proposto un romanzo ma una antologia di nove racconti, tutti scritti nella prima metà del secolo scorso o poco dopo, caratterizzati da un delitto (o da un mistero) decisamente insolito, tanto da poter sembrare impossibile, assurdo, fuori da ogni logica, come frutto di un potere paranormale. Invece, puntualmente, la spiegazione c'è ed è, se non probabile, almeno plausibile. Ad aprire le danze è Fredric Brown, con "Il macellaio sghignazzante", in cui un uomo viene trovati morto nella neve e le impronte mostrano che l'assassino lo ha inseguito... ma non è tornato indietro, come se avesse preso il volo. Il secondo colpo lo spara John Dickson Carr, il maestro dei delitti della camera chiusa: il mistero ricorda molto "La lettera rubata" di Edgar Allan Poe e difatti a risolverlo è lo stesso Poe in prima persona (la sua identità è la sorpresa finale del racconto). Segue Joseph Commings, che propone il mistero di un palombaro disceso a ispezionare il relitto di una nave affondata e che viene recuperato con un coltello piantato nel petto, quando è impossibile che ci siano altri in immersione nei paraggi essendo la sua l'unica attrezzatura presente sull'isola nelle cui acque si svolgono i fatti. Marten Cumberland risolve in modo credibile appunto un delitto avvenuto in una stanza chiusa dall'interno in cui è impossibile che qualcuno sia entrato (eppure all'interno c'è un morto ammazzato). Il più singolare, però, è Peter Godfrey che fa partire un addetto della funivia dentro una cabina in cui c'è solo lui, e quando arriva a destinazione l'uomo è stato accoltellato. Fra i nove autori c'è anche Ellery Queen, che però non brilla (pur essendo gradevole come al solito): la cosa singolare è che il racconto si svolge in un Luna Park americano chiamato "Joyland", come quello del più recente romanzo di Stephen King. Craig Rice fa impiccare un uomo in una cella di massima sicurezza di un penitenziario in cui è rinchiuso solo lui, però non si tratta di suicidio ma di omicidio. Com'è possibile? Leggere per saperlo. Forrest Rosaire propone un omicidio con il veleno avvenuto sotto gli occhi di tutti, mentre la vittima non ha né mangiato né bevuto nulla: eppure la sostanza che lo ha ucciso ha un effetto immediato. Per finire, Hake Talbot propone un delitto commesso , da una divinità dopo essere stato profetizzato da un santone, ma il trucco viene scoperto da un illusionista. Come si vede si tratta di esercizi di enigmistica molto divertenti, la cui componente letteraria serve a imbastire un contesto credibile in cui farli svolgere e a fornire le adeguate motivazioni ai personaggi. Il talento, maggiore o minore, di ciascun autore, serve a coinvolgere più o meno il lettore. In alcuni casi l'ansia di creare un mistero apparentemente insolubile rende la spiegazione un po' cervellotica (anche se possibile), in altri invece la partecipazione è totale e l'appagamento finale soddisfacente. Consigliato agli amanti del genere.

martedì 23 aprile 2019

RAGIONE E SENTIMENTO





Jane Austen
RAGIONE E SENTIMENTO
Einaudi
2015, brossura
450 pagine, 11 euro


Parlando di Jane Austen, il primo pensiero che mi viene in mente è quanto sia incredibile che nel Regno Unito (come accadeva del resto anche in Francia e negli USA) già nella seconda metà del Settecento ci fossero scrittori (nel caso della Austen, ancora più eclatante, scrittrici) in grado di pubblicare trascinanti romanzi, ancora oggi godibilissimi, mentre in Italia si continuava a vivere in Arcadia e per trovare una via italiana alla letteratura in prosa ci toccò aspettare la “quarantana” dei Promessi Sposi (1842) e poi, per un bel po’, non ci fu niente altro di altrettanto leggibile (non lo sono più, purtroppo, né i romanzi del D’Azeglio né quelli del Guerrazzi). Né Jane Austen, in quanto donna, rappresenta un unicum, dato che basterà pensare alle sorelle Brontë per trovarne altre tre. Ma se “Jane Eyre” e “Cime tempestose” (dovute rispettivamente a Charlotte ed Emily Brontë) sono sicuramente letture da raccomandare, “Orgoglio e pregiudizio” della Austen è decisamente imperdibile. Letto quello, non si può fare a meno di desiderare di continuare con qualcos’altro della medesima autrice, e dunque basta un salto indietro di qualche anno per lasciarsi appassionare da “Ragione e sentimento”. “Sense and Sensibility”, questo il titolo originale, venne scritto fra il 1795 e il 1810, e pubblicato nel 1811. L’autrice, nel 1795, aveva venticinque anni (era nata nel 1775 e sarebbe morta nel 1817). Per l’epoca, venticinque anni era già un’età matura: colpisce, infatti, come anche nel romanzo venga considerata vecchia la signora Dashwood, madre delle due protagoniste Elinor e Marianne, appena quarantenne, e attempato il Colonnello Brandon, trentacinquenne. Le vicende di “Ragione e Sentimento”, come già quelle di “Orgoglio e Pregiudizio”, riguardano personaggi della media e alta borghesia: uomini d’affari, ricchi possidenti terrieri, ereditieri che vivono di rendita, ufficiali in congedo e compagnia bella. Sono esclusi i ceti sociali più bassi, e vi si accenna solo come servitori, stallieri, cocchieri ma non c’è alcuna interazione tra loro e gli altolocati. Ugualmente escluso è il sesso: per quanto personaggi maschili e femminili si innamorino, si fidanzino, tessano tresche, si appartino, mai si scambiano neppure un bacio e si danno rigorosamente del “voi”. A dire la verità, in “Sense and Sensibility” compare un personaggio definito “libertino”, John Willoughby, di cui si racconta (è uno dei colpi di scena) come in passato abbia sedotto e abbandonato una fanciulla (che si ritrova prima incinta e poi ragazza madre e finisce per essere emarginata dal consesso sociale dei benpensanti), ma a tutto ciò si allude soltanto di sfuggita e mai la poveretta compare sulla scena. “Orgoglio e pregiudizio” comincia con una celebre frase che potrebbe fare da incipit anche a “Ragione e sentimento”: “E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un buon patrimonio debba essere in cerca di una moglie”. Difatti pare che la principale preoccupazione di ogni genitore (soprattutto delle madri) sia di combinare prima possibile un buon matrimonio per i figli (soprattutto per le figlie), intendendo per “buon matrimonio” una unione con qualcuno di famiglia molto ricca, e le trame dei due romanzi si dipanano appunto su questo tipo di scenario. Tutto ciò potrebbe sembrare scoraggiante per il lettore moderno. Invece, si tratta semplicemente di un retaggio culturale inevitabile per la scrittrice, che non poteva certo, all’epoca, trovare editori e lettori disposti ad accettare qualcosa di diverso. Ma una volta compresi i limiti entro i quali Jane Austen è costretta a muoversi, ci si accorge subito di quanto, per altri versi, sia da considerarsi trasgressiva. Innanzitutto l’autrice descrive una società inamidata e formalista molto attenta all’aspetto economico di ogni relazione: la scrittrice propone però eroine al femminile che contestano questo tipo di atteggiamento e mettono in ridicolo (facendone una forte critica) l’ipocrisia di chi appunto mette l’interesse pecuniario di fronte a tutto. La Elinor di “Sense and Sensibility”, in un passaggio del romanzo, ironizza persino (oggi ci sembra scontato, ma nel 1795 non lo era) sull’idea corrente che alla ragazza per la quale la famiglia trovi un buon partito non debba essere chiesto il parere, o che per costei sia tutto sommato indifferente sposare uno o l’altro di due fratelli ugualmente ricchi. Insomma, la Austen rivendica la voce in capitolo delle donne. Del resto, la sua scrittura è molto “al femminile” per come descrive i moti d’animo delle sue protagoniste, per il modo con cui dà ragione delle speranza e delle ambizioni di Elinor e di Marianne (Elinor è la Ragione, Marianne il Sentimento), entrambe caratterizzate benissimo. Moderna (dal punto di vista dello stile, dell’empatia suscitata, della capacità di intrigare chi legge) è poi la scrittura chiara e pulita, ma mai sciatta e banale. Modernissimi i vari colpi di scena che si susseguono. Insomma, l’autrice sapeva, più di duecento anni fa, come irretire il suo pubblico, e le sue opere irretiscono anche i lettori di oggi. Chi sposeranno Elinor e Marianne, ragazze con poche sostanze a loro disposizione (per colpa del loro fratellastro e dell’odiosa di lui moglie), dopo essere state entrambe, in modo diverso, illuse da due gentiluomini che hanno loro infranto il cuore? Vi assicuro che entrando nel romanzo non potrete più uscirne finché non conoscerete la risposta.