venerdì 30 novembre 2018

MADONNE




Federico Sardelli

MADONNE
Mario Cardinali Editore
2018, brossura
160 pagine, 10 euro


Ogni libro di Federico Sardelli (direttore d'orchestra e uno fra i massimi esperti mondiali di musica barocca con particolare riferimento a Vivaldi) è imperdibile al pari di ogni libro edito da Mario Cardinali, vale a dire sotto l'egida della rivista satirica livornese "Il Vernacoliere", di cui Sardelli è una delle colonne. Questa volta, a venire raccolte in volume, solo le vignette della serie "Madonne" (ben 140). Ognuna di esse mostra, come se fosse un santino, l'apparizione di una improbabile "madonna" con la breve spiegazione della funzione miracolosa della stessa. Per esempio (pesco a caso), la "Madonna del Pandoro in Offerta", che "sorte fuori dai pandori prendi 16 paghi 3, per distrarre l'incauto acquirente e far dimenticare la consistenza trucidare" del prodotto. Si potrebbe pensare a un umorismo blasfemo, in realtà Sardelli non prende in giro la Beata Vergine quanto piuttosto la pletora dei fedeli delle millemila madonne apparse, a dar retta a tutti, di qua e di là, ciascuna con la pretesa di essere taumaturgica in qualche campo. Nella sua informata e brillante introduzione, intitolata "Le madonne sono tante, milioni di milioni", il dotto autore fa una elenco essenziale delle infinite tipologie di madonne, e scrive: "Ho solo fatto una limita striminzita per non annoiare, ma le madonne sono molte di più. E il bello è che ciascuna di esse ha i propri devoti. C'è chi prega la Madonna del Pilone (e non quella del Pilastro) e chi si rivolge proprio alla Madonna del Carrozzone (senza sbagliarsi con quella dei Cassoni). Ma come è potuto succedere che da una Madonna sola - la madre di Gesù di Nazareth - si arrivasse a questa folla di divinità?". Sardelli traccia dunque un breve excursus storico partendo dalle poche informazioni su Maria che forniscono i Vangeli, fino al dogma dell'Assunzione in Cielo ("con i vestiti e i sandali indossati in quel beato giorno") stabilito nel 1950. Il mio personale punto di vista è che Maria stessa sorrida di tutto questo apparato costruito su di lei, proprio come fa Federico Sardelli.

martedì 20 novembre 2018

IL TIMIDO ANTICRISTO



Stefano Antonucci
Daniele Fabbri
Maurizio Boscarol

IL TIMIDO ANTICRISTO
Feltrinelli Comics
2018, 130 pagine
brossura, 16 euro

"Mi chiamo Daniele. Ho 35 anni. E la prima metà di questi li ho passati in quell'universo parallelo che è la Chiesa Cattolica. Vi prego... non dite ai miei genitori dell'esistenza di questo libro". Così comincia "Il timido anticristo", libro esilarante e drammatico al tempo stesso, sceneggiato da Stefano Antonucci e Daniele Fabbri e illustrato da Maurizio Boscarol.  Antonucci e Fabbri, già noti per opere dissacranti come “V for Vangelo” e “Quando c’era LVI”, propongono un nuovo graphic novel, a metà fra la diaristica e il monologo teatrale, la riflessione teologica e l'indagine, condotta in modo beffardo, sul potere della religione sull'intimità degli individui fino al punto da scardinarne la razionalità o imporre riflessi condizionati. L’io narrante Daniele (che porta lo stesso nome di Fabbri e dunque si può pensare a un personaggio in qualche misura autobiografico) è cresciuto in una famiglia cattolicissima, e ne ha subito l'imprinting sessuofobico, con tutte le frustrazioni e le nevrosi che ne derivano. Assistiamo a siparietti divertenti e tragici a tempo stesso come quello della madre che strappa dalla camera del figlio il poster di Michael Jackson perché il cantante fa il gesto di toccarsi il pacco, cosa scandalosa; e anni dopo Daniele si vendica strappando alla mamma il poster del Papa, salvo pentirsi e correre a comprarne uno nuovo prima che lei faccia ritorno a casa. "Ho continuato ad ascoltare Michael Jackson ma alla maniera cristiana - confessa Daniele - di nascosto, sentendomi in colpa". I sensi di colpa sono, secondo Antonucci & Fabbri, il marchio di fabbrica del cattolicesimo. Gesù è morto per i nostri peccati, evidenziano gli autori, anche se gli sarebbe bastato schioccare le dita e perdonarceli senza morire: ma se lo avesse fatto, non ci saremmo sentiti in colpa. Queste e mille altre riflessioni, sempre proposte in modo ironico e pungente, evidenziano il percorso di allontanamento (doloroso) di Daniele dal cristianesimo e il deteriorarsi, per questo, dei suoi rapporti con i genitori, che non riescono a farsene una ragione. Si ride, si riflette, ci si riconosce, indipendentemente dal fatto che si sia d'accordo o no.


lunedì 19 novembre 2018

DISCORSI SULLE NUVOLE



E' da qualche giorno in distribuzione (nelle librerie e nelle fumetterie che danno spazio anche alla saggistica sul fumetto, ma anche negli shop on line) il mio nuovo libro, intitolato "Discorsi sulle nuvole", edito da Cut-Up (come già "Dall'altra parte", "Facezie" e "Il negromante e altri incubi". Si tratta di una raccolta di "saggi e assaggi sul fumetto", come recita il sottotitolo, vale a dire articoli da me scritto nel corso di parecchi anni. Testi sempre piuttosto brevi, spesso polemici, qualcuno dice brillanti, io spero non noiosi. Se di "critica fumettistica" qualcuno volesse parlare (mi auguro di no), sappia che non ho fatto riferimento ad alcuna sovrastruttura ideologica né ad alcuna scuola metodologica: ho scritto semplicemente quel che mi passava per la testa, sulla base, questo sì, di tante letture e di tanta passione. In quarta di copertina compare un breve testo che dovrebbe farvi venir voglia di comprare il volume (310 pagine, 15 euro). Eccolo:

C’era una volta il fumetto. Gli eroi di carta denunciavano, scandalizzavano, eccitavano, ma soprattutto divertivano. Erano amici, fratelli, complici e compagni di vita. Uno fra i più noti sceneggiatori italiani raccoglie in questo volume ottanta suoi articoli, editi e inediti, che raccontano il fumetto di ieri e quello che oggi ne è rimasto. Una carrellata di saggi e assaggi brillanti, divertenti, polemici e appassionati che consegnano al lettore scorci e istantanee di un panorama indimenticabile, affollato di personaggi e di autori, di editori e di testate, che hanno segnato un’epoca. E che resteranno, mentre degli Youtubers non rimarrà nulla.

I fumetti hanno fatto compagnia per tutta la vita a intere generazioni di lettori.  C’erano riviste come Intrepido e Il Monello che vendevano centinaia di migliaia di copie e praticamente non si sentiva dire di qualcuno che non leggesse o quel fumetto o piuttosto quell’altro. Le idee circolavano anche attraverso le strisce pubblicate su Linus o su Eureka, per non parlare delle storie di Alter, di Frigidaire o di Cannibale. In questo clima fiorivano le case editrici e i giovani autori trovavano sempre il modo di fare gavetta, a bottega da colleghi già affermati o negli studi professionali, pubblicando prima su piccole testate per approdare poi su quelle grandi una volta che si fossero fatte le ossa. Ai giorni nostri, gli editori in grado di portare in fumetto in tutte le edicole si contano sulle dita e in ogni caso non c’è più la ressa per comprare le testate che ci arrivano. Per chi vuol leggere fumetti, è difficile persino rintracciarli perché la distribuzione è quel che è e non tutte le edicole sono rifornite di fumetti allo stesso modo. Ci sono quelle che non lo sono affatto. E i guai sembrano destinati a peggiorare.

Prima di essere un autore di fumetti ne sono stato, fin da quando ho memoria di me, un appassionato lettore. E di fumetti ho sempre scritto, tanto e forse troppo. Ho dedicato alla nona arte persino la mia tesi di laurea, che mi è valsa (oltre al massimo dei voti e, inopinatamente, la lode) addirittura il premio  Premio Marchetti, attribuitomi a Roma nel corso di una ExpoCartoon. Non l’ho fatto per guadagnarci qualcosa: raramente sono stato pagato per la pubblicazione dei miei saggi sui comics. Ho iniziato scrivendo su una fanzine ciclostilata a manovella, Collezionare, nel 1985. Poi ho proseguito invadendo qualunque spazio: su altre riviste amatoriali, come su volumi di pregio per i quali mi era stato chiesto un contributo. Ho fondato una rivista, Dime Press, scritto libri miei e decine di introduzioni a libri altrui, firmato centinaia di articoli sul mio blog, curato gli apparati critici di collane come Alan Ford Story della Mondadori o Zagor Collezione Storica di Repubblica. Ho realizzato persino una enciclopedia in cinque volumi su Aquila della notte, “Cavalcando con Tex”.  Non ho mai fatto distinzioni fra grandi e piccoli editori, pubblicazioni fatte da appassionati o testate blasonate. 

Dopo oltre trent’anni, se dovesse fare un bilancio, direi che ho scritto semplicemente per condividere agli altri la mia passione. Scrivendo saggistica per hobby ho potuto occuparmi sempre e soltanto di temi a me cari. Tanti e diversificati sono stati gli spazi su cui ho pubblicato e miei interventi, distribuiti su un lungo arco di tempo, che sarebbe difficile per chiunque, anche per me, rintracciarli tutti nel caso qualcuno, indubbiamente pazzo, volesse farne la raccolta. Peraltro, in alcuni casi si tratta di pubblicazioni non più reperibili da anni. Ecco perciò alcuni pezzi radunato in volume.

Salvo alcuni rari casi in cui era necessario contestualizzare il testo (e dunque troverete la contestualizzazione in una nota), non ho voluto indicare però né la data della stesura originaria stessa, né gli estremi della prima pubblicazione, appunto perché si tratta comunque di testi rivisti e corretti al punto che si spero di poter spacciare per nuovi. Peraltro, alcuni dei saggi sono per l’appunto inediti, pubblicati qui per la prima volta. A voi il compito, se vi va, di scoprire quali. Non c’è un ordine di lettura consigliato, e si può perciò saltare di palo in frasca a piacimento, anche se vi immagino precipitarvi su quelli più polemici. A me piacerebbe se qualcuno di voi si incuriosisse, grazie ai miei Discorsi Sulle Nuvole, riguardo a un fumetto che non ha mai letto, lo leggesse e se ne innamorasse.

Potete acquistare il libro con un clic sullo shop on line di Cut-Up. Qui sotto il link. Di seguito, l'indice dei capitoli.


DISCORSI SULLE NUVOLE
di Moreno Burattini

Caro Gallieno
La dea lo vuole
Perché leggere fumetti?
La nona arte
Fumettone sarà lei
La seduzione degli innocenti
Fattore K
Kriminal
Satanik
Sesso di carta
C'era una volta Biancaneve
Ferri prima di Zagor
Formato Bonelli
Il metodo Nolitta
Un classico calibro 45
Il Tex di Nolitta
IndianaTex
Il Piccolo Ranger
Mark eroe ingenuo
Frank goes to Darkwood
Bella & Bronco
Le origini di Martin Mystère
Gli undici comandamenti
I cavalieri del Graal
La banda aerea
Le donne guerriere
Non assomiglia
Il signor Emilio
Il signor Ilario
Diritto e rovescio
Odio Pazienza
Berardi & Milazzo Book
Il signor Kenneth Parker
Maxmagnus
Io e Silver
Cattivik
Sturmtruppen per sempre

domenica 18 novembre 2018

IL CLUB DUMAS



Arturo Pérez-Reverte
IL CLUB DUMAS
Tropea
1997, 384 pagine

Scritto nel 1993 da un giornalista spagnolo (poi divenuto scrittore a tempo pieno), "Il Club Dumas" è divenuto in breve un caso letterario nella penisola iberica e in Francia, prima di spopolare in mezzo mondo.Il motivo di tanto successo non stupisce chi abbia letto il libro. Che è eccezionale.  Innanzitutto l'autore è, indubbiamente, uno scrittore di razza, e i romanzi successivi (da quelli del ciclo del Capiran Alatriste a "La pelle del tamburo" o a "La tavola fiamminga") lo avrebbero confermato. Pérez-Reverte ha la capacità rara di essere colto ma accattivante, erudito ma non pedante, letterario ma non pesante, di spessore ma non prolisso. Sa scrivere bene, ma mette la sua penna al servizio della storia (e dunque del lettore) e non del bello stile fine a sé stesso (e non, dunque, della sua vanagloria).  A ciò si aggiunge l'ambientazione estremamente affascinante del romanzo, che è un giallo letterario, imbevuto di letteratura dall'inizio alla fine: il protagonista è lo spagnolo Lucas Corso, di professione "cacciatore di libri", vale a dire agente al servizio di importanti librai antiquari di mezza Europa che gli commissionano il recupero di incunaboli, prime edizioni, testi rari, codici e manoscritti. Pur non essendo egli stesso un collezionista, ma ritenendosi solo un "mercenario" della bibliofilia, Corso è un esperto del settore e seguendolo anche il lettore comincia a capire qualcosa della logica di un commercio e di una passione così particolare. A Corso capitano due incarichi in contemporanea, entrambi piuttosto singolari. Il primo è verificare l'autenticità di un manoscritto autografo attribuibile a Dumas di un capitolo dei "Tre Moschettieri" intitolato "Il vino d'Angiò". Il secondo, di controllare quale delle tre copie esistenti di un libro stampato a Venezia nel 1666 sia l'unico originale, dato che il tipografo, condannato dall'Inquisizione, giurò di averne lasciato un solo esemplare. Il libro in questione si intitola "Le nove porte" ed è un testo ritenuto demoniaco, e comunque riguardante formule per evocare Satana. Contiene nove incisioni, proprio confrontando le quali Corso non tarda ad accorgersi di una particolarità: i disegni sono stati modificati e sono diversi in ciascuno dei tre volumi. Proprio studiando il modo in cui le incisioni sono state cambiate e disposte si può arrivare al segreto contenuto nell'opera. Peréz-Reverte ha fatto in modo che le incisioni fossero riportate all'interno del libro in modo che ogni lettore possa arrivare da solo alla decifrazione del messaggio segreto svelato nel finale, allorché si scopre che le morti collegate al mistero delle Nove Porte sono opera dello stesso bibliofilo, Varo Borja, che ha dato l'incarico a Corso di scoprire il libro originale, l'unico utile per evocare il demonio. Demonio la cui presenza aleggia in ogni pagina del libro, sia sottoforma di inquietudine e di mistero che nei panni di una ragazza di cui Corso si innamora, Irene Adler, e che fino all'ultimo mantiene intatti i dubbi su chi sia veramente. Ma anche la vicenda del manoscritto di Dumas tiene con il fiato sospeso, e fino all'ultimo si crede che sia intrecciata con quella delle Nove Porte. Invece, alla fine, si scopre una verità del tutto diversa, molto letteraria: noi siamo ciò che leggiamo, e a volte le troppe letture possono farci fare collegamenti arbitrari, farci percepire diversamente la realtà, come Corso che vede tutte le vicende relative al "Vino d'Angiò" come orchestrate sulla falsariga dei "Tre Moschettieri". Davvero sorprendente la rivelazione di sia il "Richelieu" della vicenda. L'io narrante è un professore universitario studioso di Dumas e dei romanzi di appendice, la cui filosofia è del tutto condivisibile, come il suo disprezzo (che è anche il mio) per i romanzi in cui l'autore non parla altro che di sé stesso, e si crogiola nel proprio bello scrivere, dimenticando l'intreccio e l'avventura. Che anche Peréz-Reverte la pensi così è certo: altrimenti il portatore di queste idee non avrebbe parlato, pur essendo un personaggio fittizio, in prima persona. Peccato per il brutto film che da questo bel libro è stato tratto.


sabato 17 novembre 2018

C’E’ UN CADAVERE IN BIBLIOTECA



Agatha Christie
C’E’ UN CADAVERE IN BIBLIOTECA
Arnoldo Mondadori Editore
Oscar Gialli aprile 1990
Titolo originale: “The body in the library”
Traduzione di Alberto Tedeschi
brossurato - 204 pagine

Lo spunto iniziale, per certi versi addirittura divertente, è, in fondo, la cosa migliore di questo romanzo che, pur essendo di buon livello, non può essere certo annoverato fra i capolavori della Christie. Una ricca coppia di agiati e anziani signorotti di campagna, il colonnello Bantry e sua moglie Dolly, si sveglia una mattina nella loro austera dimora e trova il cadavere di una ragazza, mai vista prima, nella biblioteca di casa. Dolly Bantry convoca subito una cara amica di famiglia, l’attempata miss Marple, una vecchietta che già in precedenza ha dimostrato, oltre che una certa conoscenza dell’animo umano, anche una notevole propensione per decifrare i casi polizieschi all’apparenza più incomprensibili. Così, miss Marple si trova a seguire, sia pure standone ai margini, le indagini del capo della polizia della contea del Glenshire, Melchett, e dei suoi uomini. La vittima viene identificata come quello di Ruby Keene, ballerina dell’Hotel Majestic, un albergo a diverse decine di chilometri dalla magione dei Bantry. La cugina di Ruby, Josie Turner, riconosce immediatamente la platinata congiunta, misteriosamente sparita  la sera prima dall’Hotel, dove anch’ella lavora. Melchett ricostruisce le ultime ore di vita della vittima, che pareva essere molto in intimità con uno degli ospiti dell’albergo, Conway Jefferson, un ricco e anziano invalido costretto su una sedia a rotella, il quale, apprezzando le doti umane della ragazza, intendeva addirittura adottarla come figlia. Il proposito del vecchio Jefferson va contro gli interessi di Adelaide, suo nuora, e di Mark Gaskell, suo genero, entrambi i suoi unici congiunti in vita, dato che il figlio e la figlia di Conway sono morti con la loro madre in un tragico incidente. Adelaide e Mark, che sarebbero gli unici eredi della fortuna di Jefferson, si vedrebbero portare via quasi tutto dalla presenza di una nuova figlia. Tutti e due, proprio per non contrariare Conway, hanno avuto storie d’amore successive alla morte dei coniugi, figli del vecchio, ma le hanno tenute segrete appunto per evitare che Jefferson li diseredasse (non sentendoli più legati a lui, mancando dei nipoti). Altri possibili sospetti sono George Bartlett, un corteggiatore di Ruby con scarsa fortuna, Raymond Starr, ballerino partner di Ruby negli spettacoli al Majestic e probabilmente indispettito del fatto che la ragazza civettasse con il vecchio come una cacciatrice di dote, e Basil Blake, un dongiovanni libertino che lavora nel cinema e frequenta il jetset. Tuttavia, poiché il medico legale sostiene che la vittima è stata uccisa non dopo la mezzanotte, e Ruby è stata vista ancora viva subito dopo un numero di danza eseguito alle dieci, Adelaide e Mark Gaskell hanno alibi di ferro essendo stati impegnati in una partita a bridge con il vecchio Jefferson in presenza di numerosi testimoni. Né ci sono elementi che incastrino altri, tutti con alibi verificabili. Il punto di svolta alle indagini viene data dal ritrovamento di un secondo cadavere femminile. carbonizzato dentro l’automobile (scomparsa dall’albergo) di George Bartlett. La nuova vittima viene identificato, da un bottone e da una scarpa sfuggite al rogo, come Pamela Reeves, una studentessa anch’essa scomparsa il giorno precedente. E’ Miss Marple che, condendo le sue conclusioni con abbondanti dosi di ciniche – ma ineccepibili – considerazioni sul fatto che non si debba mai credere a nessuno, svela l’enigma. Il meccanismo è un po’ cervellotico, ma funziona e alla fine sorprende. Però manca la brillantezza di altri gialli della Christie. E miss Marple, tutto sommato, si vede ben poco, così come i personaggi non sono tutti ben approfonditi nelle loro personalità (salvo il vecchio Jefferson, riguardo al quale si indaga abbastanza per giustificare il suo proposito di adottare Ruby). In conclusione, una lettura gradevole ma inoffensiva.

venerdì 16 novembre 2018

LE CENERI DI ANGELA



Frank McCourt
LE CENERI DI ANGELA
Adelphi
Traduzione di Claudia Valeria Letizia
1996, brossurato
384 pagine -  lire 32.000

L'emozione che si prova leggendo "Le ceneri di Angela"  è enorme. Si tratta sicuramente di uno dei più bei libri che abbia mai letto. Lo scrittore è qui al suo esordio, nonostante nel 1996 avesse 66 anni (sarebbe poi morto nel 2009, dopo aver pubblicato altri due libri, autobiografici al pari del primo, nel 1999 ("Che paese, l'America!") e nel 2005 ("Ehi, prof!"). "Le ceneri di Angela" narra la storia dell' infanzia e dell'adolescenza dello scrittore, dalla nascita fino ai diciotto anni. Tuttavia, per quanto privato, il racconto riesce a essere universale, dando una raffigurazione intensa e coinvolgente di una umanità disperata in anni e in luoghi che sembrano lontanissimi ma sono invece così vicini da sbalordire. Anche se, forse, la disperazione della famiglia McCourt esiste ancora in tutto il mondo, in altre forme e in altri ambienti. Si legge nei risvolti di copertina: "Non capita spesso che la passione, condivisa da innumerevoli lettori, per il libro di uno sconosciuto si manifesti con tanta, travolgente immediatezza". L'autore aveva previsto il piccolo successo di tanti altri libri irlandesi di memorie. Invece il trionfo de "Le Ceneri di Angela" ha travolto ogni più rosea previsione, e meritatamente. Perché la storia di Frank e dei suoi fratelli in una cittadina irlandese degli Anni Trenta è toccante e drammatica, e perché lo stile di McCourt è coinvolgente ed efficace. "Siamo negli anni fra le due guerre - scrive la presentazione - e le travagliate vicende  coinvolgono una famiglia così misera che può guardare dal basso la povertà, fra un padre perennemente ebbro e vociferante contro il mondo e gli inglesi e i protestanti e una madre che sbrigativamente trascina la sua tribù verso la sopravvivenza. Materiale pregiato per ogni sorta di patetismo. E invece qui avviene uno stupendo rovesciamento. Tutto ci arriva attraverso gli occhi e la voce del protagonista mentre vive le sue avventure. Questo ragazzino  indistruttibile, sfrontato, refrattario a ogni sentimentalismo, implacabile osservatore - come solo certi bambini sanno esserlo - crea con le sue parole, con il suo ritmo, un prodigio di comicità e vitalità contagiose, dove tutte le atrocità, pur senza perdere nulla della loro spesso lugubre asprezza, diventano episodi e apparizioni di un viaggio battuto dal vento verso una terra promessa che sarà, nei sogni infantili di quegli anni come in quelli del Karl Rossmann di Kafka, l'America". La comicità a cui si fa cenno io non ce la vedo, ma la vitalità sì. Una vitalità disperata, quella che fa scrivere a McCourt: "Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere". E poi: "Naturalmente è stata un'infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irlandese è peggio di un'infanzia infelice qualunque, e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora. Gente che si vanta o si lamenta delle tribolazioni patite nei primi anni di vita se ne trova dappertutto, ma niente regge il confronto con la versione irlandese: la povertà; il padre alcolizzato, chiacchierone e buono a nulla; la madre pia e derelitta che geme accanto al fuoco. i preti boriosi; i maestri arroganti; gli inglesi e le cose tremende che ci hanno fatto per ottocento lunghi anni. E poi, tutta quell'umidità". Nato a New York da una sveltina fra sua padre e sua madre giovanissimi, entrambi immigrati irlandesi appena conosciutisi, e poi costretti al matrimonio, Frank McCourt è il primo di sette fratelli, di cui tre sono morti per gli stenti e le malattie infettive. I genitori tornarono in Irlanda dopo la morte di una bambina di nome Margareth, per vincere la disperazione della madre che non avrebbe saputo resistere in America senza impazzire. Ma Limerick, dove i McCourt si trasferiscono, si rivela un inferno. Finché, in modo disperato e caparbio, Frank riesce a mettere da parte i soldi per tornare dall'altra parte dell'oceano ad aprirsi nuovi orizzonti di vita. Passando per prove durissime, e temprandosi alla palestra di vita della strada, attraverso i turbamenti provocati da una religione inculcata in modo bigotto e grottesco, la fame mortale, lo sfacelo igienico, la società gretta e asfittica del cattolicesimo irlandese. Il tutto raffigurato in modo estremamente efficace e coinvolgente: impossibile leggere queste pagine senza sentire anche il proprio stomaco strizzato da morsi come di fame, quali quelli provati da Frank e dai suoi fratelli. E che pena quel padre che spende al pub tutti i soli del sussidio di povertà o le poche sterline della paga di quelle rare settimane in cui ha un lavoro. Una foto del 1938 pubblicata all'inizio ci mostra Frank Mc Court a otto anni di età, e ci fa rabbrividire perché spiega come tutto quello che ci è raccontato è terribilmente e tragicamente vero.

domenica 4 novembre 2018

ASTERIX IL GALLICO



ASTERIX E IL GALLICO
di René Goscinny e Albert Uderzo
Corriere della Sera / Gazzetta dello Sport
2015, cartonato, 
64 pagine, 5.99 euro

Il tredicesimo volume della riedizione completa (ma non cronologica) delle avventure di Asterix proposta in edicola dal Corriere della Sera e dalla Gazzetta dello Sport è in realtà il primo della saga, quello da cui tutto ebbe inizio, datato 1959 (anche se la prima apparizione in volume è del 1961). Il ricco apparato critico che correda, in appendice, il volume (uno dei punti di forza di questa edizione) spiega nei dettagli come Goscinny e Uderzo crearono il loro gallico eroe per lanciare la rivista "Pilote", e presentala riproduzione fotografica di pagine di sceneggiatura e di tavole originali. Oderzo ha sempre detto che gli sarebbe piaciuto ridisegnare questo albo perché i personaggi non sono ancora ben delineati così come si sarebbero evoluti nel tempo, ma in realtà l'avventura resta godibilissima ed esilarante. Anche se Obelix fa soltanto da comparsa, la doppia ambientazione nel villaggio gallico e nell'accampamento romano dà l'opportunità di alcune gag indimenticabili, come quella dell'infiltrato italiano tra i Galli scoperto per la danza in cui ci si tira i baffi, e quelle del filtro di Panoramix che fa crescere i capelli dei romani a dismisura. A me ha sempre fatto ridere a crepapelle anche la striscia iniziale, quella in cui Vergingetorige getta le armi ai piedi di Cesare... nel modo che tutti conoscono. Un plauso anche alla prima traduzione del grande Marcello Marchesi, umorista a sua volta, e di gran classe.