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martedì 31 ottobre 2017

FUGGIRE



Guy Delisle
FUGGIRE
MEMORIE DI UN OSTAGGIO
Rizzoli Lizard
2017, brossurato

432 pagine, 22 euro

Guy Delisle è il mio graphic journalist preferito. L'ho deciso anni fa dopo aver letto "Cronache di Gerusalemme" (o forse era "Pyongyang"?) e non ho più cambiato idea. Il talento di Delisle nel descrivere con pochi segni e poche parole, in assoluta e solo apparente levità, una realtà drammatica è straordinario e coinvolgente. A differenza di altri cronisti, il disegnatore non ha bandiere da sventolare o armamentari ideologici a cui far ricorso per interpretare la realtà. Appunta ciò che vede con gli occhi puri di uno che quasi se ne meraviglia, ascolta tutti, resta perplesso al pari dei suoi lettori. Dopo aver descritto la vita un punti problematici de mondo, adesso (nel 2016) ci racconta della Cecenia. Un paese davvero inquietante, stando a quel che ci viene mostrato narrando la vicenda di Christopher André, un attivista francese di Medici Senza Frontiete in una missione umanitaria in Inguscezia (una microscopica repubblica della Federazione Russa). Christopher viene rapito dal suo letto una notte di luglio del 1997 da una banda di ceceni che lo trasportano oltreconfine, nella loro terra, e lo tengono prigioniero per alcuni mesi. Lo scopo dei banditi è, a quanto pare, quello di chiedere un riscatto (e chiederlo a dei medici che curano chi ne ha bisogno, e che magari hanno curato anche qualche loro parente o amico). André però non sa niente delle trattative in corso: nessuno dei rapitori parla la sua lingua e le giornate per lui trascorrono lente e tutte uguali, con un polso legato a un termosifone in una stanza vuota. In questa situazione ogni minimo avvenimento è degno di nota: le voci che giungono dalle stanze accanto, i pochi minuti concerti per mangiare o per lavarsi. Il cervello di Christopher macina progetti, piani di fuga, ipotesi sul futuro, speranze, delusioni. Il racconto che ne fa Delizie, frutto di una lunga intervista con André, è ipnotico e coinvolgente benché fatto di disegni che sembrano tutti uguali come tutti uguali sono i giorni del rapito. Non ci sono disamine sull'ideologia dei criminali o sulla situazione politica in Cecenia. Quel che della Cecenia si capisce basta e avanza nella descrizione dei banditi e in ciò che accade ad André quando, per un caso fortuito (una distrazione dei sorveglianti) riesce a fuggire. Una volta fuori, nessuno sembra in grado di dargli aiuto e anche il suo recupero da parte di Medici Senza Frontiere deve essere clandestino, come se fosse una operazione militare in terra nemica: i ceceni sembrano assolutamente conniventi con i rapitori. In realtà c'è una famiglia che soccorre il fuggiasco, ma lo fa con tutta la prudenza che serve nel maneggiare una patata bollente e infatti, a causa delle minacce di cui è fatta oggetto, deve chiedere asilo in Francia. Il risultato della bella impresa dei banditi è la chiusura della missione umanitaria nel Caucaso di cui Christopher faceva parte. Il numero di pagine può apparire spropositato per una storia in cui non succede quasi niente (le sequenze del rapimento e della fuga sono davvero una piccola parte del libro) ma è proprio nel fluire del niente che si capisce il dramma della prigionia di un ostaggio raccontata dal suo punto di vista.

martedì 16 maggio 2017

LIMONOV




Emmanuel Carrère
LIMONOV
Adeplhi
2012, 356 pagine
brossurato, 19 euro


"Eroe canaglia": questa forse la miglior definizione di Eduard Limonov che mi è capitato di leggere. Tutto sta nello stabilire le percentuali: più eroe o più canaglia? Emmanuel Carrére è stato strepitosamente abile nel non tracciare la partizione e nel lasciare che i suoi lettori giudichino da sé. Dirò la mia da ultimo. Prima, consentitemi nel dare dell'eroe a Carrére al cento per cento perché ancora una volta mi ha intrigato e lasciato a bocca aperta. Lo scrittore francese (Parigi, 1957) ha scritto la biografia del regista Werner Herzog (1982), dell'apostolo San Paolo ("Il regno", 2014, dello scrittore Philip Dick ("Io sono vivo, voi siete morti, 1995") e del criminale Jean Claude Romand ("L'avversario", 2000) con il medesimo trascinante coinvolgimento, scrivendo in realtà anche la propria vita. E' incredibile come Carrére riesca a mescolare, con assoluta naturalezza, i fatti della propria esistenza con quelli dei personaggi da lui raccontati. Eppure il confronto funziona ed è funzionale. Dunque, lo confesso, ho iniziato a leggere "Limonov" perché interessato a Carrére. Perché convinto a scatola chiusa che mi sarei appassionato anche alla vita di Limonov, qualunque fosse stata. Ed infatti, così è avvenuto. Nel finale del ponderoso saggio Carrère scrive che ha deciso di occuparsi del poeta-scrittore-politico-avventuriero russo perché ha pensato «che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale». E infatti, ecco il vero motivo di interesse del libro: ripercorrere, facendo chiarezza (nei limiti del possibile, dovebdo comunque parlare d'altro, cioè del protagonista) la storia dell'Unione Sovietica dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fino a oggi, ma anche quella delle guerre balcaniche, con lo sfaldamento della ex-Yugoslavia. Eduard Veniaminovich Savenko, questo il vero nome di Limonov (il soppressione gli venne dato negli anni giovanili in cui faceva parte di un ristretto gruppo di poeti di provincia), scrive ancora Carrére, «è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio». Dopo le descrizioni della tristissima e opprimente vita nell'Unione Sovietica di Brezhnev, e la sua fuga un Occidente, stupisce che Limonov abbia potuto fondare un partito "nazional bolscevico" che ha per bandiera quella nazista con la falce e martello al posto della svastica, ma non è l'unica contraddizione, visto i miti di Eduard spaziano da Stalin a Benito Mussolini, dalla Banda Baader-Meinhof ai mistici orientali, da Lenin ai Sex Pistols. Se è per questo, Limonov è anche stato collaboratore de "L'idiot" a Parigi e autore-editore della rivista underground "Limonka" nella Russia post Eltsin e dunque anche un fumettista. Non si riesca a capire come uno possa essere protagonista dei cocktail party a New York e a Parigi e poi si diverta a sparare con la mitragliatrice dalle colline attorno a Sarajevo, combattente tra le file degli assedianti. Difficile conciliare l'uomo che resiste a due anni di carcere sotto Putin, dimostrando fermezza d'animo e personalità da leader, e quello che si abbrutisce con l'alcool barione in Central Park. Limonov poeta e scrittore di talento, Limonov amico di Arkhan. Limonov che difende la Duma assediata e Limonov che simpatizza per i delinquenti. A volte lo si detesta, a volte ci commuove. Innegabilmente alla base di tutto c'è il suo proposito, manifestato fin da giovanissimo, di diventare famoso, di essere un leader, di vedere il suo nome ricordato per sempre. Una volontà di potenza, di superominismo, che lo porta a contraddirsi: disprezza i ricchi perché lui non ha i loro soldi, ma cerca di farli per diventare ricco a sua volta. Non c'è modo di condensare in una sintesi efficace la biografia del protagonista scelto da Carrere, senza dubbio alla fine un "looser" nella Russia di quel Putin suo avversario ma per tanti aspetti simile a lui. Però, seguire Eduard nelle sue vicende serve a ripercorrere, oltre all'avventurosa vita di un uomo, la storia della sua terra e un po' della nostra. Più eroe o più canaglia. Più canaglia, secondo me. Almeno al settanta per cento. Individuo decisamente poco raccomandabile, che però, ed ecco una nuova contraddizione, mi piacerebbe conoscere.