martedì 30 agosto 2022

STUCK

 



Stefano Fantelli
STUCK - INTRAPPOLATI NELL'OSCURITA'
Cronenter Films
brossurato, 2022
136 pagine

"Stuck - Intrappolati nell'oscurità" è un breve romanzo horror di Stefano Fantelli (da qualche tempo al lavoro al lavoro anche su Zagor), "liberamente ispirato" all'omonimo film di Alessio De Bernardi, datato 2020. Sono soltanto 120 pagine di racconto, ma che vi terranno inchiodati là dove vi metterete a leggerle (lo assicura Sergio Stivaletti nella sua prefazione e, per quel che può valere, lo confermo anch'io). Che significa "liberamente ispirato"? L'ho chiesto all'autore, secondo il quale non si tratta di una novelization, ma di un prodotto volutamente del tutto autonomo, in cui soltanto una parte ripercorre la trama dell'horror movie e l'altra (addirittura la più lunga) risulta originale, con personaggi, come Giarone, che nel film non ci sono (Giarone e il paese di Borgomascherato compaiono del resto in un precedente romanzo di Fantelli, evidentemente intenzionato a creare un proprio microcosmo). Il racconto si dipana suddiviso in brevi capitoli fulminanti che alternano tre diverse linee quattro diverse linee temporali: gli anni della guerra (per l'esattezza il 1942), il 1963, il 2018, e un momento imprecisato in cui una misteriosa dodicenne scrive un diario raccontando dell’amicizia nata fra lei e una creatura che vive in una grotta. La maggior parte della vicenda è comunque quella ambientata ai giorni nostri, quando due diverse squadre scendono in un complesso di gallerie sotterranee costruite e abbandonate da nazisti. Il primo gruppo intende esplorarlo, il secondo va alla ricerca dei compagni che non hanno fatto ritorno. Non è troppo spoilerare (ma se temete eccessive rivelazioni saltate le righe che seguono) accennare al fatto che durante la Guerra i nazisti avevano usato il bunker da poco riscoperto per eseguire esperienti genetici volti a creare supersoldati dotati della forza e della resistenza dei topi, gli “extratedeschi”, come li chiamava Giarone, negli anni Sessanta, dopo essersi accorto delle creature che di notte osavano uscire allo scoperto dal loro rifugio sotterraneo. Il finale non è rassicurante e soprattutto il romanzo si chiude con un colpo di scena decisamente sconvolgente. Stefano Fantelli, Active Member della Horror Writes Association, si dimostra ancora una volta uno scrittore di razza. Di lui dice Claudio Chiaverotti: “Dopo aver letto ‘Stuck’ la scrittura di Fantelli diventerà una droga di cui non potrete fare a meno”. Di "Stuck" è stata realizzata anche una versione a fumetti, illustrata da Simona Simone.

domenica 28 agosto 2022

JOYLAND

 
 
 

 
Stephen King
JOYLAND
Sperling & Kupfer
2013, cartonato
360 pagine, 19.90 euro

E' un romanzo di Stephen King, ma non "alla" Stephen King. Chi si aspetta di aver paura, o di leggerlo con l'angoscia, resterà deluso. C'è un solo morto ammazzato narrato in diretta, e non fa neppure troppa impressione. Poi ci sono alcuni delitti avvenuti in passato, ma di cui il protagonista sente solo raccontare. C'è un fantasma (anzi, due), ma non si spaventa nessuno. Per il resto, è una storia d'amore, di amicizia e di buoni sentimenti. Un po' come il racconto-capolavoro "Il corpo", in "Stand by me". Diciamo che il filone è quello. Giovane, come i ragazzi di quella vicenda, anche se un po' meno, è il ventenne Devin Jones che, per pagarsi gli studi, decide di lavorare l'estate del 1973 in un parco giochi della Carolina del Nord, "Joyland", appunto. E mentre è lì a far divertire la gente vestendo il costume della mascotte locale, un cane di nome Howie, la sua fidanzatina lontana lo lascia, senza che lui sia mai riuscito nemmeno a farci l'amore. Il lavoro diventa il suo modo di dimenticare, e a "Joyland" stringe rapporti stretti con alcuni suoi coetanei e con i veterani del parco, riuscendo a farsi benvolere da una zingara che predice il futuro e dal vecchio proprietario. Però si dice che nel Tunnel del'Orrore aleggi il fantasma di una ragazza che lì fu uccisa, Linda Gray, non si sa da chi, molti anni prima. Per gioco, più che per altro, Devin e i suoi amici Erin e Tom decidono di indagare. Il fantasma in effetti c'è (anche se lo vede, per un breve istante, soltanto Tom), ma è un'anima in pena che chiede di essere aiutata a uscire, non intende far del male a nessuno. Ad aiutarla provvede Mike, un bambino ammalato di distrofia muscolare, accudito da una ragazza-madre di dieci anni più anziana di Devin, di cui Devin però si innamora. E a far del male è invece intenzionato l'assassino di Linda Gray, uno che lavora nel parco e non vede di buon occhio le indagini sul delitto. Grande scrittura, storia che che prende e che convince, thriller moderato quasi senza sangue, commozione nel finale. Non si tratta di un romanzo epocale che toglie il sonno la notte, ma di una piacevole compagnia che sono lieto di aver avuto.


sabato 27 agosto 2022

TERRA DEL FUOCO




Francisco Coloane
TERRA DEL FUOCO
Guanda
2010, brossura
176 pagine

Una frase di Alvaro Mutis in quarta di copertina dice: "Francisco Coloane è il Jack London dei nostri tempi". Basta leggere il primo racconto di questa antologia per capire he è vero. E letto quello, non si possono poi non leggere tutti gli altri (sono nove in tutto), per arrivare alla fine e convincersene definitivamente.  Per "nostri tempi", si intende il Novecento, ovviamente, dato che lo scrittore cileno è vissuto tra il 1910 e il 2002 e il suo primo libro è del 1941. Nella sua bella introduzione, Luis Sepulveda ben spiega la situazione della letteratura cilena (e sudamericana in generale) prima di Coloane, con la maggioranza degli scrittori impegnati a scrivere "grandi romanzi" costruiti su imitazione di quelli della letteratura del Vecchio Continente e tesi a riaffermare le loro radici culturali inconfutabilmente europee. 
Coloane invece è nato alla fine del mondo, nella Patagonia cilena, e si sente uomo australe, desideroso di raccontare il suo mondo, fatto di balenieri, di allevatori, di indios, di cercatori d'oro, di palombari e di meticci. Un mondo che lui conosceva bene, essendo stato marinaio ed esploratore, autore di carte nautiche e caposquadra in un ranch.  Senza volersi dare nessuna aria di scrittore "impegnato", e dunque limitandosi a narrare storie con pochi fronzoli, ma in grado di arrivare dritte al cuore ed affascinare chiunque, Coloane presenta al pubblico i suoi libri, e il pubblico lo premia così scandalizza i critici, che si chiedono come possa avere successo uno scrittore dallo stile così asciutto, che non fa parte dell' establishment culturale, che propone personaggi tolti di peso dalla realtà di regioni povere, quasi disabitate, selvagge, dove la forza della natura supera di gran lunga quella degli uomini, dove non ci sono città ma solo accozzaglie di baracche. Una terra, quella di Coloane (nato nell'arcipelago di Chiloè) , dove il mare prendi a pugni le scogliere e il vento spazza l'erba delle grandi praterie fino a limitare di montagne altissime che sembrano scolpite con l'accetta, dove gli scogli aguzzi come denti recano i segni dei quotidiani naufragi, dove la neve restituisce a primavera i corpi degli scomparsi durante l'inverno, dove gli uomini a cavallo girano armati come i cowboy dell'Arizona ma non ci sono sceriffi a dare la caccia ai banditi. Non c'è accademismo, nel linguaggio di Coloane, e se ci fosse, sarebbe fuori luogo. "Nei miei racconti ho voluto esprimere l'anima dell'uomo cileno, soprattutto quello di Chiloè o della regione magellanea, confinato tra i mari, i golfi, le cordigliere frastagliate e i ghiacciai millenari del Sud, circondato dall'oceano più burrascoso del pianeta. In questo scenario grandioso vive un uomo debole quanto la brezza, e nello stesso tempo forte come il vento dell'Est". Non soltanto di atmosfere e di scenari sono fatti i racconti di Coloane, ma anche di personaggi e di trame intriganti. Talvolta, assolutamente western, come il primo della raccolta, che le dà il titolo "Terra del Fuoco". Basta leggerne l'inizio: "La sconfitta cavalcava al fianco di quei tre uomini che attraversavano il Pàramo al trotto veloce. L'ultimo scontro a fuoco con le forze di Julio Popper aveva avuto luogo sulle sponde del Rio Beta, e i nemici del cercatore d'oro arricchito, una settantina di avventurieri, erano ormai allo sbando". Sembra di vedere una scena di un film di John Ford.

mercoledì 24 agosto 2022

VERSACCI

 

 


Il volume che mostro orgoglioso nella foto qui sopra si intitola "Versacci", ed è il mio nuovo libro, edito da Cut-Up Publishing, uscito nel luglio del 2022 in distribuzione in libraria ma in vendita, naturalmente, anche on-line. Qui di seguito trovate il link se volete vedere come lo propongono sul sito della Casa editrice:

https://cut-up.it/prodotto/versacci-365-epigrammi/

Nella foto qui sotto, invece, potete scorgerne la costolina nel reparto "Poesia" della Hoepli di Milano, non distante da una raccolta di versi di Charles Bukowski (immagino per meri motivi di ordine alfabetico).



So anch'io (me lo dico da solo) che la collocazione giusta sarebbe stata nel reparto "Umorismo" (se non c'è uno scaffale "Libri che ci vergogniamo di esporre altrove"), ma in effetti "Versacci" contiene 365 epigrammi e l'epigramma è un breve componimento poetico ("che si esaurisce in pochi versi pungenti, per lo più ironici o satirici, con cui si cerca di indurre il lettore al riso ma anche alla riflessione", per citare la scritta in quarta di copertina - e qui sotto ecco appunto la quarta di copertina, sulla sinistra nell'immagine).

 


A proposito di copertina, sappiate che è opera di Oscar Scalco, in arte Oskar, disegnatore versatile in grado di eccellere nel fumetto comico come in quello avventuroso e drammatico (tant'è vero che ha illustrato Alan Ford per arrivare a Zagor, passando per Nathan Never e tante altre cose). Grazie Oskar!


 
 
Se  non avete mai visto Oskar, eccolo nella foto qui sotto, immortalato dopo aver ricevuto (prima di me) una copia fresca di stampa del libro.
 
 
 
 
 
Servirà dire due parole per spiegare come sono nati i Versacci. Tra il maggio 2020 e il maggio 2021 ho accettato e vinto una sfida con me stesso, quella di scrivere e pubblicare su Twitter, per un anno intero, un epigramma al giorno. Dunque, 365 epigrammi in fila. A pensarci bene, una vera pazzia: perché mai qualcuno dovrebbe prendersi un impegno del genere, non richiesto da nessuno e non remunerato in alcun modo? Non c’è risposta, naturalmente, se non appunto, il gusto del cimento. Perché proprio epigrammi e non, per esempio, sonetti o ottave? Perché le regole di Twitter impongono un massimo di 280 caratteri per ogni messaggio, quindi anche i miei componimenti non dovevano superare quella lunghezza. L’epigramma, per sua natura, è caratterizzato dalla brevità e dall’incisività. In più, volendo dilettarmi e dilettare con rime per lo più argute e facete, dedicarmi a questo genere poetico è stata una scelta inevitabile. 
 
Dato che nella vita faccio anche altro, oltre che pubblicare tweet (per esempio, sceneggio fumetti e coccolo la moglie), la scrittura dei Versacci è sempre stata più o meno improvvisata: la sera, prima di dormire, cercavo di comporre l’epigramma del giorno, sperando di indovinare subito l’argomento, le rime, il tipo di verso (senario, settenario, ottonario, novenario, decasillabo, endecasillabo, dodecasillabo…) e la ritmica degli accenti. Qualche volta il parto si rivelava felice, in altri casi la composizione nasceva zoppicante. In ogni caso, si è sempre trattato di versi estemporanei, e di questo devono tener conto gli esegeti che vorranno contestare la correttezza metrica di questo o quel Versaccio. Ho sempre cercato di privilegiare la facilità di lettura e di comprensione rispetto all’uso di parole desuete o auliche, per cui la maggioranza degli epigrammi è composta da vocaboli di uso comune. Riprendendo in mano le mie nugae per la raccolta in volume ho corretto gli errori metrici più vistosi, ma alla fine ho preferito non stravolgere troppo la forma originaria dell’epigramma pubblicato su Twitter.  
 
Una panchina a Gavinana
 
 
"Versacci" è stato presentato al pubblico per la prima volta il 16 agosto 2022 in Piazza Aiale a Gavinana, il piccolo borgo sulle montagne pistoiesi dove sono nato (si trova nel comune di San Marcello Piteglio). Qui sotto la locandina dell'evento, con tutti i loghi dei patrocinatori (grazie anche a loro).
 
 
 

 
Nella foto che segue, eccomi accanto al moderatore Alberto Tognelli, mentre leggo alcuni epigrammi davanti a un folto pubblico. Nello scatto il pubblico non si vede ma giuro che c'era, numeroso, e che ci siamo molto divertiti.  Non ho soltanto recitato le mie facezie ma anche parlato della storia dell'epigramma partendo dal greco Callimaco fino agli italiani dei giorni nostri. Ho anche spiegato la regola dell'endecasillabo, dato che in un capitoletto in fondo al libro mi sono peritato nel dare qualche informazione (per il poco che ne so) su quella materia affascinante che è la metrica italiana. Se volete approfondire, ecco il testo con il mio tentativo di divulgazione (basta cliccare):
 
 
 

 
Se siete curiosi di vedermi e ascoltarmi mentre leggo tre Versacci, potete cliccare sui link che seguono.
 
 

 
 
Già pochissimi giorni dopo l'uscita, c'è stato un recensore - fortunatamente benevolo. Si tratta dello sceneggiatore Filippo Pieri (quello di "Viviane, l'infermiera" e di tante altre cose). Qui sotto trovate il link al post sul suo blog "La seconda cosa", in cui espone le sue impressioni dopo la lettura del libro. Più sotto ancora, c'è una sua foto con i "Versacci in mano".
 

 
 


Ho dato alle stampe "Versacci" anche per poter scrivere una introduzione intitolata “Anche poeta!”. Titolo che è una citazione della signorina Silvani, la quale nel film “Fantozzi” (1975), invitata dal ragioniere interpretato da Paolo Villaggio a salire sulla sua Bianchina, così commenta i versi di Lorenzo il Magnifico da lui recitati: “chi vuol essere lieto sia, di doman non c’è certezza”. “Che belli, sono suoi?”, domanda lei. “Sì, una mia cosettina giovanile”. “Ah… anche poeta!”, conclude la Silvani, sputando nella vaschetta del mascara. Ecco, d’ora in poi si potrà dire lo stesso pure di me (sputo compreso). Come di tanti altri, beninteso. Del resto, le poesie le scrivono tutti. Sicuramente molti di più di quanti le leggono. 

 


 

Se volete rivedere la scena del film con la battuta recitata da Anna Mazzamauro, cliccate qui sotto:


 

 
Ho accennato alle regole della metrica. Se volete mettervi a contare le sillabe dei Versacci, ricordatevi che le sillabe metriche non corrispondono alle sillabe grammaticali, per tutta una serie di casistiche (principalmente appunto per gli strani fenomeni chiamati sinalefe e dialefe, sineresi e dieresi). Ma, vi chiederete, serve applicare le regole della metrica per scrivere poesia? No, assolutamente no. Però, a me piacciono le rime. Mi piace il ritmo cantabile del verso, scandito dagli accenti. Mi piacciono le filastrocche. Mi piace che la poesia abbia forma di poesia e si differenzi dalla prosa. Mi piace soprattutto che la poesia non sia criptica. Nessun poeta criptico ha cambiato il mondo, alcuni che hanno cantato in modo da farsi capire dal cuore della gente, sì. Non che io voglia cambiare il mondo, naturalmente.  A proposito di un poeta che non è criptico, Virgilio, sappiate che in appendice ai "Versacci" troverete la mia parodia dell' Eneide, intitolata "Eneode", già contenuta nel mio libro "Facezie", ma qui corredata dalle illustrazioni di James Hogg (ne vedete una qui sotto)


Ogni volta che mi capita di riflettere sulla poesia e sui poeti, mi torna in mente l’introduzione di Federico Sardelli alle sue “Proesie” (Cardinali Editore). Il musicista (Sardelli è uno dei massimi esperti di Vivaldi) e umorista (è stato uno degli autori di punta del “Vernacoliere”) premette infatti alla sua raccolta di versi (comici) un vademecum intitolato "Metodo facile e sicuro per diventare poeti", che oltre a essere esilarante dice anche tanta più verità della maggior parte dei saggi teorici sulla poesia.
 
 

 
 
Eccone un estratto: "Allora, si fa così. Per prima cosa non date retta a chi vi dice che bisogna conoscere i classici. Hanno gli autori classici studiato noi? No, e allora perché dovremmo fargli questa cortesia? E' anche assodato che possedere un discreto o passabile italiano parlato e scritto non serve assolutamente a niente dato che le regole sono andate completamente a farsi friggere e nessuno vi verrà mai a rompere i coglioni sulla metrica, il ritmo, l'eloquenza, l'eleganza, ma anche sul senso di ciò che dite. Scrivete come vi pare ciò che vi pare. Unica accortezza: andate spesso a capo. Ecco il primo strumento del poeta moderno: il Tasto di Invio. Questo semplicissimo accorgimento vi consentirà di spremere poesia da qualsiasi frase, anche dalla più banale e sciatta.
'Dove sei stato? Ti ho cercato tutto il tempo'
diventa magicamente:
'Dove / sei stato? / Ti ho cercato / tutto / il tempo'.
A questo strumento formidabile se ne aggiunge un secondo, altrettanto facile e potente: il rimescolamento delle parole. La stessa frase diventa pertanto:
"Tutto. / Dove? / Ti ho cercato, / il tempo, sei stato.
'"

 
   
Mauro Boselli testimonial dei "Versacci"                         



Due parole sull’epigramma. Credo che il miglior modo per far capire di che cosa si tratti sia citarne uno, settecentesco, del poeta giocoso toscano Filippo Pananti:

Un epigramma secco:
ogni marito è becco.

Ecco, ci siamo già intesi, L’epigramma è più o meno questa roba qua. In realtà no, c’è molto di più e ci sarebbe da scrivere fino a domani. Basterà dire, allora, per usare la sintesi tipica di questo genere di versi, che tratta di un breve componimento poetico, rapido e di solito fulminante, inducendo il lettore talvolta alla riflessione, più spesso al riso. Gli epigrammi nacquero per essere incisi sulle lapidi: su una tomba, su un monumento. E’ facile capire come dalla breve descrizione elogiativa di un uomo scolpita come epigrafe si possa passare a usare lo stesso modello per farne un componimento poetico scritto su carta, mutando di registro. Le iscrizioni diventano così ammonimenti o riflessioni sul senso della vita o addirittura commenti satirici in contrapposizione alla troppa seriosità delle epigrafi. Questa doppia linea (quella del serio e del faceto) ha caratterizzato gli epigrammi classici, greci e latini. 
 
Fra questi ultimi vengono alla mente soprattutto Catullo e Marziale. Il primo, viene citato quale esempio di epigrammista gentile e rifflessivo; il secondo, invece, come autore mordace e velenoso. Il genere torna in auge, nella letteratura in lingua italiana, durante il Rinascimento. Trovate spiegato tutto in un aureo libretto curato da Gino Ruozzi e intitolato “Epigrammi italiani” (Einaudi). Sono quasi certo che io personalmente non verrò mai citato da nessuno fra gli epigrammisti di casa nostra, ed è meglio così perché se ho definito i miei componimenti “Versacci” un motivo ci sarà. “Anche poeta!” solo se segue lo sputo della signorina Silvani.
 
Per finire, qui sotto troverete quattro Versacci scelti a caso.
 
 
Luigi Mignacco testimonial dei "Versacci"








Il paradiso dei gatti

 

Ogni volta che mi è morto un gatto,

curioso e intelligente più di me,

una domanda sempre mi son fatto:

per loro un paradiso in ciel non c’è?

Ma poi pensando a quanto è stato amato,

nutrito, ammirato e coccolato,

capisco, e a dirlo non si erra,

che il gatto ha il paradiso sulla Terra.

 

 

Una piuma sul davanzale

 

Ho sentito oggi una tale

dire con grande rispetto

che trovar sul davanzale

della camera da letto

una piuma proprio là

ha un gran significato:

vuole dire, in verità,

che un angelo c’è stato

quella notte lì a vegliare.

Accidenti, me cojoni,

e io stavo per comprare

uno spray contro i piccioni.



Marco Corbetta testimonal dei "Versacci"

 

Voce di mamma

 

Riemerge alla mente ogni tanto
un ricordo del bimbo che ero,
è sempre sorpresa ed incanto   
e vivido che sembra vero.   
Iersera ad esempio in un tratto 
mia mamma ancor giovane e bella
 mi ha detto: Moreno, hai già fatto   
per scuola doman la cartella?
 

L' ultimo abbraccio

Al nostro cane che amiamo   
un ultimo abbraccio cingendo
pietosa una morte gli offriamo  
lasciando che vada dormendo. 
  Se all’ultimo del tempo mio  
nessuna speranza rimane,  
allora lo chiedo anche io:  
trattatemi al pari di un cane.

sabato 20 agosto 2022

I DELITTI DI KINGFISHER HILL


 
 
 
Sophie Hannah
I DELITTI DI KINGFISHER HILL
Mondadori
cartonato, 2022
264 pagine, 20 euro


“I delitti di Kingfisher Hill” è il quarto romanzo scritto da Sophie Hannah, scrittrice inglese specializzata in crime novel, con protagonista Hercule Poirot, il detective creato da Agatha Christie nel 1920. La serie di avventure inedite è stata voluta e approvata dalla famiglia Christie. Il primo romanzo firmato dalla Hannah, "Tre stanze per un delitto" (2014) mi aveva convinto: la nuova autrice non era la Christie ma le faceva bene il verso. Il secondo, "La cassa aperta" (2016), scricchiolava e non convinceva del tutto, ma insomma ci si poteva stare. Il terzo, "Il mistero dei tre quarti" (2018) mi ha invece fatto scuotere la testa.
 
Ne ho scritto qui:
http://utilisputidiriflessione.blogspot.com/2019/01/il-mistero-dei-tre-quarti.html

Purtroppo anche il quarto romanzo ha i difetti del precedente, proponendo un puzzle tutto sommato intrigante ma decisamente tirato per i capelli. Il giallo si legge con piacere, per carità, e procedendo ci si chiede come la Hannah possa sbrigliare una matassa così intorcinata, fino a scoprire che l’intorcinatura è fine a se stessa. La soluzione, per quanto spieghi i fatti, resta difficile da accettare perché non lo sospende l’incredulità provocata da personaggi sopra le rughe le cui dinamiche e psicologie sono contorte, chiaramente costruite in funzione del giallo che viene proposto alla nostra curiosità. Curiosità che rimane sollecitata, ripeto, ma nella speranza di spiegazioni meno forzate. Agatha Christie costruiva gialli meno macchinosi. Siamo nel 1931 e Poirot indaga sul misterioso caso della morte di Frank Devonport, avvenuta durante una riunione di famiglia in una villa nel complesso residenziale di Kingfisher Hill. L’uomo, figlio del padrone di casa, Sidney Devonport, è stato spinto giù da una balconata interna e subito la fidanzata, Helen Acton, si è autoaccusata del delitto finendo condannata a morte. Il fratello di Frank, Richard, certo della sua innocenza, chiede a Poirot di scoprire il vero assassino. Incredibilmente, Helen spiega il suo gesto con il suo improvviso amore per Richard, come se solo uccidendo Frank potesse sposare quest’ultimo. Ma anche Daisy, sorella di Frank e di Richard, a un certo punto dichiara la propria colpevolezza, sostenendo di essere lei, e non Helen, l’assassina. Nessuno dei numerosi presenti al momento del delitto sembra in grado di fornire indicazioni utili per identificare l’una o l’altra rea confessa come responsabile del delitto. Nell’intricata vicenda si inserisce un’altra giovane donna, Joan Blythe, che entra in scena farneticando a proposito di minacce ricevute perché non si sieda accanto a Daisy Devemport sul torpedone che porta entrambe a Kingfisher Hill, e finisce anch’essa per essere ammazzata nella villa dei Devonport. Il tutto (ci sono molti altri casi strani) viene narrato in prima persona dall’ispettore di polizia Edward Catchpool, amico di Poirot, coinvolto nelle indagini. Poirot che risulta un po’ troppo presuntuoso, dichiarando a ogni piè sospinto di non dubitare minimamente di riuscire a venire a capo del mistero, visto che le sue cellule grigie non falliscono mai (non ricordo un Hercule così antipatico nei romanzi della Christie). Tuttavia il personaggio viene rispettato nelle sue caratteristiche e lo si riconosce con piacere. Casomai sono gli altri ingredienti a essere troppo deja vu, quasi da cliché: la ricca famiglia, l’assortimento di amici e di parenti, la soluzione rivelata sul luogo del delitto con tutti i sospetti radunati per l’occasione. Però, suvvia, confidiamo in un quinto episodio che ci permetta comunque di ritrovare Poirot e le sue atmosfere.

giovedì 18 agosto 2022

COME RACCONTARE CON SUCCESSO LE BARZELLETTE

 

 


 

John Popper
COME RACCONTARE CON SUCCESSO LE BARZELLETTE
De Vecchi
brossura, 1961
208 pagine - 750 lire


"Il segreto di molti uomini di successo è spesso una barzelletta ben raccontata", recita una fascetta in copertina di questo ameno libercolo inserito nella Biblioteca Pratica De Vecchi, destinata a dare consigli su come riuscire nella vita. "Qualunque sia il vostro problema, in uno dei nostri numerosi volumi troverete la soluzione", si promette invece sul retro. Non riresco a convincermi che il non saper raccontare le barzellette possa costituire un problema, ma di sicuro leggere il manuale del misterioso John Popper (probabilmente un italiano nascosto sotto uno pseudonimo) non ne è la soluzione, perché proporre nel modo giusto una freddura o una storiella richiede un talento secondo me innato, e non si può cavar sangue dalle rape. Tuttavia, l'autore del manuale dà i consigli giusti: scegliere l'occasione adatta, così come l'uditorio adatto (non tutte le barzellette si possono raccontare a chiunque), non imporsi a tutti i costi, misurarsi, riuscire a capire quando iniziare e quando smettere, non far calare la battuta dall'alto fermandosi ad accertarsi che le premesse siano state recepite o, peggio, chiedere alla fine se la si è capita. I raccontatori di barzellette possono essere (e spesso lo sono) addirittura fastidiosi, però condivido l'idea di Popper che poter frequentare un fuoriclasse rappresenti una fortuna. L’autore cerca di individuare le caratteristiche precipue dell’humor britannico, italiano e francese; poi cita passi letterari di famosi umoristi (da Wodehouse a Jerome); distingue fra la battuta estemporanea di uno che ha il dono dell’umorismo e la barzelletta vera e propria. Purtroppo le barzellette sembrano passate di moda, si sono fatte la nomea di forma di intrattenimento dozzinale e proporle a un uditorio è sempre più rischioso (il politicamente corretto tarpa le ali, sempre meno persone le apprezzano). In ogni caso, John Popper nel 1961 può ancora compilare una discreta rassegna pronta all’uso. Altri tempi. Almeno da questo punto di vista, più ilari.