domenica 28 marzo 2021

DORMY WEST DEVI CROCK E GLI ALTRI

 

 
 
 
Pier Luigi Sangalli
DORMY WEST DEVI CROCK E GLI ALTRI
Allagalla
2020, brossurato
210 pagine, 15 euro


"Il western a fumetti di Pier Luigi Sangalli", spiega il sottotitolo. E ancor meglio, l'informatissimo Luca Boschi, nella sua prefazione, spiega l'importanza di Sangalli (Monza, classe 1938) nell'ambito della produzione a fumetti per ragazzi targata Bianconi, editore (scomparso nel 1993) di una sterminata quantità di albi e di personaggi negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. Sue le serie dedicate a Soldino, Geppo, Nonna Abelarda, realizzate da autori straordinari quali Giovanni Battista Carpi, Giorgio Rebuffi, Luciano Bottaro, Giulio Chierchini, Nicola del Principe, Tiberio Colantuoni, Alessandro Dossi. E, appunto, Pier Luigi Sangalli, a cui, secondo Boschi, soprattutto si deve la sedimentazione di uno "stile Bianconi". Snobbata per lungo (troppo) tempo, la produzione bianconiana è stata di recente oggetto di una riscoperta che ha portato alla pubblicazione di vari volumi antologici dedicati ai vari autori e ai vari personaggi, oltre che a saggi sull'argomento. Questo volume raccoglie dodici storie scelte da Sangalli stesso, dedicate a quattro personaggi che hanno tutti la caratteristica di essere la parodia di classici personaggi dei film western, che negli anni Sessanta erano popolarissimi fra i ragazzini: Dormy West (uno sceriffo pelandrone), Giannina Calamity (un bambina molto arzilla), il Caporale Pignata (una Giubba Rossa, ma dei nostri giorni - visto che si muove in Jeep - anche se ha a che fare con le riserve indiane canadesi) e Devy Crock (parodia di Davy Crocket). Le due storie più belle hanno come protagonista proprio quest'ultimo alle prese con i Magnifici Sette e Mezzo. Le dodici avventure sono leggere, ilari, gradevoli, riposanti. Graficamente eleganti nella loro essenzialità. Sono, ecco il termine, fumettose.

sabato 27 marzo 2021

BREVI CENNI SULL'UNIVERSO E TUTTO IL RESTO

 

 
Tiziano Sclavi
Giorgio Pontrelli
BREVI CENNI SULL'UNIVERSO E TUTTO IL RESTO
Sergio Bonelli Editore
2020, cartonato
68 pagine, 19 euro


Della serie a fumetti "I racconti di domani", scritta per la libreria da Tiziano Sclavi e affidata ogni volta a un disegnatore diverso, abbiamo già parlato, in questo stesso spazio, commentando i primi due volumi. Qui la recensione di quello d'esordio:
https://utilisputidiriflessione.blogspot.com/.../il-libro...
Questo terzo titolo è forse il migliore dei tre, per il motivo spiegato dalla giornalista Eliza Kazan nell'ultima pagina: "Dylan Dog, il sedicente Indagatore dell'Incubo, è morto, e non ha potuto essere presente in questo numero dei Racconti di Domani. Tornerà nel prossimo". Ovviamente non è vero che Dylan Dog è morto (mai credere alle notizie dei TG), ma è vero che è del tutto assente nel volume. Il che, a ragion veduta, è un bene, perché le storie possono occupare tutto il breve spazio a disposizione (60 pagine) senza bisogno degli onirici raccordi con Dylan che continua a leggere il misterioso libro trovato nella bottega dell'ancor più misterioso Hamlin. La cosa bella della serie di Sclavi sono appunto le storie brevi di argomento (e protagonista) sempre diverso, di Dylan (che può vivere avventure tutte sue anche altrove) tutto sommato non c'è bisogno. La sua assenza permette di far posto a qualche racconto in più, che in totale sono dieci, di lunghezza diversa. In un paio di ritrovano sviluppate in modo differente idee già presenti nelle opere dello Sclavi scrittore, come "Zapping", che prende spunto da alcune pagine di "Non è successo niente", là dove il telespettatore, da casa, facendo fuoco con la pistola contro lo schermo televisivo, può uccidere chi compare in TV. Del testo, anche Eliza Kazan, in "Tigì", dice: "Riassumo quindi le notizie di oggi: non è successo niente". In "Gli alieni" torna la tematica già affrontata nel secondo volume dei "Racconti di domani" (là dove in un ospedale di Pavia veniva ricoverato un paziente piovuto dal nulla, che non sa chi è e non capisce neppure il dialetto del luogo), quella del giovane che, prigioniero di una provincia che non gli assomiglia, si sente un extraterrestre sul pianeta sbagliato, non trova di avere niente in comune neppure con i genitori. Si tratta, con ogni probabilità, di una sorta di autoritratto dello stesso Sclavi. Alcuni racconti sono inquietanti senza che gli accadimenti abbiano una spiegazione logica, in altri tutto ha un (drammatico) senso, come "La felicità", o "L'anomalia", i miei preferiti. In ogni caso, tanto di cappello al talento sclaviano come affabulatore e sceneggiatore: efficacia, sintesi, dialoghi, sono magistrali. Non da meno i disegni puliti di un Giorgio Pontrelli perfettamente a suo agio come virtuoso strumentista che, interpretando uno spartito, lo fa suo ma al tempo stesso si lascia dirigere da un ispirato direttore d'orchestra.

domenica 21 marzo 2021

MORBUS GRAVIS

 

 
Paolo Eleuteri Serpieri
MORBUS GRAVIS
Alessandro Editore
2000, cartonato
64 pagine, 14.97 euro


"Morbus Gravis" è uno dei primi dieci graphic novel della mia vita, Uno di quelli che leggi da giovane e poi li ricordi per tutti gli anni a venire e gli lasci sempre un posto d'onore nella libreria. Druuna, il personaggio destinato a identificare l'arte del veneziano Paolo Eleuteri Serpieri, inizialmente non doveva neppure essere il personaggio principale, stando a quanto dichiara l'autore nell'intervista concessa a chi scrive e pubblicata sul n° 14 della fanzine "Collezionare" (1989): "Inizialmente il personaggio principale non doveva essere femminile. Andando avanti ho visto che la storia mi prendeva e ho continuato, scoprendo, che in realtà Druuna era la protagonista". La saga esordisce in Francia sulla rivista Pilote, dell'editore Dargaud, nel 1985, riscuotendo un successo straordinario e arrivando a vendere oltre un milione di volumi nel mondo. Il primo capitolo descrive un apocalittico futuro post-catastrofe, in cui imperversa una morbo che trasforma gli uomini in mostri tentacolari, in quella che sembra una città costruita su più livelli in cui i più bassi sono il regno dei mutanti, cannibali e assetati di sangue, e i più alti destinati a misteriose élite a cui possono accedere solo pochi privilegiati. Uno scienziato, Schastar, ha scoperto però una diversa verità, che la malattia gli impedisce di rivelare. Braccato, perché gli infetti vengono abbattuti dai miliziani, l'uomo viene soccorso e nascosto da Druuna, una procace ragazza bruna, la quale cerca di aiutarlo procurandogli dosi di un siero che ritarda la sua mutazione, vendendosi a un medico che abusa di lei. Del resto, per sopravvivere Druuna è abituata a farlo. Prima di morire, Shastar riesce a guidare la ragazza fino ai livelli più alti della città, dove lei scopre che il mondo in cui ha sempre vissuto senza mai pensare che ci sia un "fuori" si trova all’interno di una gigantesca astronave alla deriva nello spazio, i cui occupanti hanno perso ogni cognizione della realtà. Se il punto di riferimento qui è chiaramente è da ricercarsi nel romanzo “Universo” di Robert Heinlein, in realtà le sconvolgenti tavole recano un messaggio che tocca il cuore dei lettori: in una condizione di orrendo degrado le uniche speranze di redenzione sono affidate ad una giovane donna, Druuna, che è riuscita a conservare intatte le sue doti di umanità. In questo primo volume la parte erotica del racconto (quel tipo di erotismo cupo e disperato che sublima il connubio eros e thanatos) non è predominante come avverrà in seguito, anche se sono già evidenti il talento dell'autore nella narrazione erotica e la sua passione per il corpo femminile, specchio comunque, in Druuna, dell'anima del personaggio. I disegni di Serpieri, per quanto ricchissimi al punto da dare l’illusione che niente sia lasciato all’immaginazione del lettore, in realtà sono massimamente evocativi: catturano a tal punto da trascinarci nelle pagine e farci sentire suoni, odori, sapori, sensazioni tattili. Nato a Venezia il 29 febbraio 1944, Paolo Eleuteri Serpieri completa a Roma i suoi studi Accademici dedicandosi all’attività di pittore e di docente in un istituto d’Arte. Quando nel 1975 decide di occuparsi a tempo pieno di fumetti iniziando a collaborare con il settimanale "Lancio Story" con le storie western scritte da Ambrosio, si rivela subito non solo autore professionalmente già maturo e dotato di una notevole tecnica grafica, ma anche interprete personalissimo del West e profondo conoscitore della storia e della cultura dell’ovest americano. È risaputo, tra l’altro, come egli sia anche un buon musicista country. La sua collaborazione viene richiesta anche dalla casa francese Larousse che lo chiamava a lavorare per l’ "Histoire du Far West", un’opera che gli apre le porte del mercato d’Oltralpe.

sabato 20 marzo 2021

LA TEMPESTA DEL SECOLO



 
Stephen King
LA TEMPESTA DEL SECOLO
Sperliing & Kupfer
2000, brossurato
440 pagine, 12.86 euro


"L'ho scritta come sceneggiatura televisiva perché è così che la storia voleva essere scritta", dice Stephen King nella sua introduzione. "La tempesta del secolo", infatti, non è un romanzo ma un copione, quello di una miniserie in tre puntate trasmessa dalla rete statunitense Abc nel 1999. King la ideò nell'autunno del 1996, proponendola ai produttori come un soggetto originale, scritto apposta per la TV. Avuto il via libera, venne sceneggiata tra il dicembre del 1996 e il febbraio del 1997, e realizzata dal regista Craig Baxley tra il marzo e il giugno del 1998. Il progetto era ambizioso per il gran numero di personaggi, più o meno i duecento abitanti di un'isola al largo della costa del Maine, e per gli effetti speciali necessari, quelli della più grande tormenta di neve mai vista, per di più con un mare scatenato in gradi di abbattere un faro. L'isola è quella di Little Tall, dove si svolge un altro famoso romanzo di King, "Dolores Claiborne". Allo sceneggiatore, ai fini del racconto, serviva una comunità i cui membri potessero tenere un segreto: "non c'è comunità negli Stati Uniti così strettamente chiusa in se stessa quanto quelle delle isole davanti al Maine", scrive King. Il protagonista negativo della storia, André Linoge, sceglie l'isola proprio per questo, e approfitta dell'occasione offerta dall'arrivo di una tempesta destinata a isolare per alcuni giorni la comunità degli abitanti. Non è un uomo, Linoge, nonostante ne abbia l'aspetto. L'anagramma del suo nome, come scopre lo sceriffo locale, Mike Anderson, verso metà della storia, è "Legion", ovvero l'appellativo che dice di avere, in un brano del Vangelo, un demone scacciato da Gesù. La creatura conosce tutti i peccati degli abitanti, i più inconfessabili e segreti, e li rivela in pubblico mettendo gli isolani gli uni contro gli altri. Ma il suo scopo non è quello di scoprire gli altarini: "datemi ciò che voglio e io me ne andrò", dice. Le manifestazioni dei suoi poteri soprannaturali, con i quali spinge al suicidio alcuni e fa uccidere fra loro altri, servono a dimostrare alla comunità, radunata in municipio per sfuggire alla tempesta, che non scherza: se non gli verrà dato ciò che vuole, lui può ucciderli tutti. Come accadde ai coloni di Roanoke, un'isola della Carolina, a fine Cinquecento: scomparvero nel nulla. Ciò che vuole, per un capriccio della magia o una regola stabilita da Dio per le creature del male come lui, è qualcosa che gli può solo venire donata, lui non se la può prendere.King si impegna nella caratterizzazione di decine di personaggi, seguendone le mosse nel mezzo della nevicata, ma alla fine tutti si riconoscono in una spirito di comunità in grado di coprirsi a vicenda e mantenere i segreti, tranne Mike Anderson, l'unico che si ribella al ricatto di Linoge. Ricatto che (spoiler) riesce perfettamente. Gli abitanti di Little Tall Island danno al demone (o quel che è) ciò che lui chiede, per quanto tremendo sia, e il demone se ne va. Il difetto principale della storia è proprio questo: manca la catarsi, non c'è il lieto fine, il male trionfa. Il che è strano, per un prodotto televisivo destinato ai salotti domestici. La miniserie televisiva ha tutti i difetti delle miniserie televisive degli anni in cui venne realizzata: effetti speciali che oggi lasciano a desiderare, lentezza nel ritmo, mancanza di scene davvero forti (in ossequio alla censura), dialogo da educande. King continua essere migliore su carta che sullo schermo, piccolo o grande che sia. Su carta, tuttavia, la sceneggiatura dei tre episodi TV è pesante da leggere perché ci sono tutte le indicazioni di scena per il regista e gli attori. Tuttavia i veri adepti del culto kinghiano sono chiamati a confrontare il copione, dialogo per dialogo, con il risultato televisivo.

domenica 14 marzo 2021

LA FINE DELL'ETERNITA'


 
 
Isaac Asimov
LA FINE DELL'ETERNITA'
Libra Editrice
1975, cartonato
310 pagine, 4200 lire


"Il romanzo sul Tempo che pone fine ai romanzi sul Tempo", scrive Ugo Malaguti, traduttore e autore della postfazione. Il quale, scrittore di fantascienza a sua volta, notoriamente non simpatizzante verso Asimov, non manca di ribadire i motivi delle sue critiche al"Buon Dottore ma deve ammettere che "La fine dell'Eternità" è il suo "romanzo più complesso e stimolante". Le critiche sono, poi, quelle di una eccessiva cerebralità e freddezza della narrazione, solitamente poco attenta ai sentimenti umani preferendo condurre le storie sul piano delle idee: "certamente Asimov possiede la lucidità e la forza dell'autentico scienziato, e le sue trame sono spesso veri e propri teoremi, lucide dimostrazioni di un assunto, esercitazioni di logica, senza alcun punto debole". Non è un caso, conclude Malaguti, i personaggi dello scrittore americano che suscitano più empatia sono i robot. Elementi che, per quanto mi riguarda, sono positivi; apprezzo senza riserve il cerebralismo asimoviano. Tuttavia, ne "La fine delll'Eternità" i sentimenti sono il motore dell'azione, dati che proprio l'innamoramento di Andrew Harlan, Tecnico dell'Eternità, nei confronti di Noys, donna Temporale, scatena tutto l'ambaradan che dà vita al romanzo. Romanzo che si inserisce nel gruppo di opere del Good Doctor "libere" rispetto ai cicli dei Robot e della Fondazione (che negli ultimi anni della sua vita lo scrittore poi ridusse a uno solo, unificando le due saghe). In realtà il gruppetto delle opere al di fuori dei filoni principali viene definito a sua volta come ciclo dell'Impero, ma il collegamento è blando, se non ricavabile a posteriori. Anche ne "La fine dell'Eternità" si può trovare un riferimento all'Impero Galattico, nel senso che l'Impero non c'è ma nella pagina finale se ne gettano le indispensabili premesse. Pagina finale a cui si giunge dopo un susseguirsi di colpi di scena, con anche la rivelazione di un insospettabile retroscena che Asimov prepara con l'abilità di un consumato giallista (del resto, questo suo talento per il giallo è ben noto e sperimentato). L'Eternità è una struttura di controllo della Storia (ritorna la concezione determinista di una Storia che si può indirizzare verso sbocchi più desiderabili di altri, come in "Fondazione"), che si trova fuori dal Tempo. I suoi membri, organizzati secondo una rigida e algida struttura tecnico-burocratica, intervengono sulla Realtà operando quei cambiamenti che possono, a loro avviso, migliorare le condizioni generali dell'umanità nello scorrere dei secoli e dei millenni, evitando guerre, epidemie, sofferenze. Una volta che il cambiamento è operato, la Storia si adegua mutando il suo corso, in maniera indolore per chi vive nel Tempo: per ciascun individuo sarà come se le cose fossero sempre andate così come gli Eterni hanno voluto, a fin di bene. Tuttavia ci sono alcune cose che non si possono cambiare: gli eventi del Primitivo, cioè dei secoli precedenti alla nascita dell'Eternità (avvenuta attorno all'anno 2400), e quelli del più remoto futuro, là dove l'umanità sembra scomparsa, al termine dei misteriosi Secoli Bui in cui neppure gli Eterni possono aver accesso. Singolarmente, tutto ruota attorno al pianeta Terra, perché ogni tentativo di colonizzazione spaziale da parte degli umani è sempre fallito mancando la possibilità di compiere i viaggi interstellari a velocità superiori a quelli della luce (quei viaggi che nel ciclo della Fondazione vengono chiamati "balzi nell'iperspazio"). Date queste premesse è chiaro come il romanzo sia complessissimo dal punto di vista delle implicazioni filosofiche, scientifiche, antropologiche. Ogni aspetto viene analizzato e sviscerato, compreso, per esempio, quello della fine dell'evoluzione darwiniana della specie umana, che a un certo punto rimane geneticamente sempre la stessa perché l'Eternità crea i presupposti ideali per uno status quo ottimale, eliminando, con i suoi interventi, tutte le mutazioni che portino lo sviluppo in altre direzioni da quelle stabilite. Ma, a un certo punto, Andrew Harlan si rende conto di essere stato manovrato, perché c'è qualcuno che vuole la fine dell'Eternità, cioè la libertà di evoluzione della Storia, che dovrebbe essere scevra da quei condizionamenti che eliminano, apparentemente, qualunque cosa sia ritenuta dannosa, ma che tarpano quelle ali incitate al volo dall'imprevisto. Proprio l'eccesso di controllo sulla Storia provoca la scomparsa dell'umanità nel remoto futuro, ma la libertà garantirebbe invece la scoperta del modo di viaggiare nello spazio e di colonizzare la galassia. C'è di che rimanere concettualmente storditi. Grande Asimov.

sabato 13 marzo 2021

RAQUEL

 
 

 
Stelio Fenzo
Paolo Trivellato
RAQUEL
Edizioni Voiler
2014, cartonato
242 pagine, 16.90 euro


Il primo in Italia a proporre una coniugazione a fumetti del western con il sesso (anche se inteso solo come ingrediente in un contesto più ampio di provocazione, rottura degli schemi, durezza delle scene) fu Max Bunker con El Gringo (disegni di Paolo Piffarerio), nel 1965. C'era il West, c'erano le scazzottate, gli ammazzamenti ma anche donne di facili costumi. Tuttavia, mancavano i nudi, almeno quelli espliciti. A rompere il tabù del nudo nel fumetto italiano, arriveranno, nel 1966, le Edizioni Erregi di Renzo Barbieri e Giorgio Cavedon (da qui le lettere dell'acronimo), con le loro eroine felicemente svestite; nel 1969 il loro personaggio Walalla, l'indiana bionda a capo di una tribù di Mescaleros (disegni di Tito Marchioro), sdoganava definitivamente ed esplicitamente l'erotismo sulle frontiere del Far-West. In realtà Walalla venne battuta di pochi mesi da Vartan, l'indiana bianca, disegnata felicemente da Sandro Angiolini per l'editore Furio Viano, uno dei principali concorrenti di Barbieri e Cavedon. Seguirono vari altri sexy western: Samantha, La Vergine Nera, Sylvie, Mortimer, Kalamity Jane. Nel 1972 Walalla cessò le pubblicazioni, proponendo un volume di grande formato come supplemento: il titolo era "Raquel", i testi erano di Paolo Trivellato (1931-2006), i disegni di Stelio Fenzo (1932), a cui si doveva la saga della sexy eroina Jungla. "Raquel" è una storia perfettamente autonoma da Walalla, conclusa in se stessa (anche se con un finale aperto a un possibile seguito), che meritoriamente le Edizioni Volier recuperano in un bellissimo cartonato con il corredo critico del super esperto Luca Mencaroni. Raquel ha i tratti somatici di Raquel Welch, ed è una donna del Sud a con i cattivissimi nordisti, durante la Guerra di Secessione, hanno sterminato la famiglia. Fuggita verso l'Ovest, è stata accolta dalla tribù di Chiricahua del capo Mauricio. Il destino però le rimette davanti l'ufficiale responsabile della morte del marito e del figlio, il capitano Morgan, spedito a dare la caccia ai pellerossa. Raquel cavalca nei deserti del West con i seni fieramente nudi, un mantello sulla schiena e il cinturone al fianco. Il veneziano Stelio Fenzo, già nel gruppo dell'Asso di Picche insieme a Hugo Pratt, premiato nel 2012 con il "Prix Saint-Michel Prestige" alla carriera durante il Festival del Fumetto di Bruxelles, la disegna in modo strepitoso nel suo tratto dalle pennellate essenziali.

venerdì 12 marzo 2021

AGENTE ALLEN



 
Mario Rossi
Tiziano Sclavi
AGENTE ALLEN
Saldapress
2017, cartonato
254 pagine, 19.90 euro


"Prima di Dylan Dog, prima di X-Files, prima di Cracco e Chef Rubio... c'era l'Agente Allen!". Così si legge in quarta di copertina. Il riferimento ai due cuochi è dovuto al fatto che Philip Allen, il migliore tra gli agenti della Sezione "Strange" del Servizio Segreto britannico, possiede un ristorante a Inverness, in Scozia, e si dedica a fare il cuoco, prima che a indagare sui casi con risvolti paranormali di cui si occupa il suo dipartimento, che ha lasciato ma dal quale viene spesso e volentieri richiamato in servizio. La serie "Agente Allen" apparve, a partire dal giugno 1983 fino al dicembre 1986, sulle pagine de "Il Giornalino". Va notato che all'epoca, Sclavi (futuro creatore di Dylan Dog) aveva trent'anni e già da due lavorava come redattore presso la Sergio Bonelli Editore, dopo essersi fatto le ossa, a partire dal 1974, nella redazione del Corriere dei Ragazzi. Nel 1982 aveva già scritto il n° 200 di Zagor, "Il tesoro maledetto". Quando Claudio Nizzi, all'epoca responsabile della storie a fumetti del "Giornalino", lo chiama a collaborare con il settimanale paolino, Sclavi è insomma già un navigato professionista. Dylan Dog sarebbe arriva sto proprio in corrispondenza con la chiusura della serie dell'Agente Allen. Il desiderio di stupire e sorprendere il lettore, ma anche il gusto per il paranormale, il racconto "ai confini della realtà", le citazioni cinematografiche, il colpo di scena, il mistero e i brividi, così come la scelta di alcune tematiche (come gli zombi, gli alieni, i licantropi, i fantasmi, il mostro di Loch Ness) sono tipiche della calligrafia e della poetica di Sclavi e collegano, sia pure blandamente, Philip Allen con Dylan Dog. Le puntate di dieci pagine ciascuna sono, chiaramente, destinate a un pubblico di giovanissimi, e quindi non c'è traccia della cupezza dell'Indagatore dell'Incubo. Tuttavia i piccoli/grandi (e sorprendenti) misteri di cui si occupa l'Agente della Sezione "Strange" sono in grado di incuriosire e intrigare anche i più grandi e tutti hanno, alla fine, una pur improbabile spiegazione razionale. Un po' come nel "Dipartimento casi bizzarri" di John Dickson Carr, da cui anche Alfredo Castelli aveva tratto ispirazione per una sua breve serie a fumetti. Un plauso, per finire, ai disegni efficaci e felicemente puliti di Mario Rossi (Zona X, Nick Raider, Tex), e una annotazione su come siano tanti, ormai, i volumi che ristampano il materiale del "Giornalino

martedì 9 marzo 2021

L'UOMO TRA LE NUVOLE

 
 

Marco Ciardi
L'UOMO TRA LE NUVOLE
Aras
brossurato, 2021
116 pagine, 11 euro


Marco Ciardi, professore ordinario di Storia della Scienza e delle Tecniche presso l'Università di Firenze, membro del CICAP, si occupa da anni, oltre che del pensiero scientifico attraverso i secoli, anche di miti letterari e di fantarcheologia: tra i suoi libri, saggi sui misteri di Atlantide e degli antichi astronauti, esaminati dal punto di vista della sedimentazione delle leggende e delle credenze. Ma è nota la sua passione per i fumetti, altro argomento a cui ha dedicato numerosi scritti e conferenze (si è interessato, per esempio, all'incontro fra Darwin e Zagor in una storia dello Spirito con la Scure). "L'uomo tra le nuvole" è il suo primo romanzo, che si legge appunto come un avvincente fumetto (potrebbe fungere benissimo lo spunto per una avventura di Martin Mystére) e racconta, in modo agile e leggero, una indagine sulla scomparsa del fisico Ettore Majorana (avvenuta nel 1938, a bordo di una nave partita da Napoli verso Palermo), basandone la soluzione classico disneyana "Topolino e il mistero dell'uomo nuvola" (dovuta a Floyd Gottfredson). Nel racconto confluiscono un po' tutti gli elementi storici  e ipotetici del caso Majorana, oggetto di ogni genere di teorie (anche le più fantascientifiche), tra cui quelle di Leonardo Sciascia, che all'analisi del caso dedicò un libro. Sul mio blog "Utili sputi di riflessione" abbiamo già trattato l'argomento recensendo un saggio che sembra risolutivo: http://utilisputidiriflessione.blogspot.com/2016/07/la-seconda-vita-di-majorana.html
Tuttavia, Ciardi aggiunge ipotesi nuove, supportate peraltro da indizi convincenti, che vedono Majorana coinvolto nella prima traduzione italiana di "Topolino e il mistero dell'uomo nuvola", il cui testo differisce in modo inspiegabile dall'originale americano, e vede fare riferimento a teorie sulla forza di gravità da poco studiate da fisici come Heisenberg e Dirac, a cui Gottfredson non faceva cenno. A condurre le indagini, partendo dagli appunti lasciati dal padre morto molti anni prima in un incidente stradale, il giovane giornalista scientifico Giorgio Ventura, che chiede la consulenza non soltanto di uno scienziato ma anche al gestore di una fumetteria. Nell'ombra si muovono però gli agenti di gruppo segreto,  interessati a ciò su cui Giorgio sta facendo luce. Ciardi trova il modo di citare Zagor e Diabolik, suggerire come le tavole di molti fumetti dovrebbero essere esposte nei musei, parlare di fantascienza (Urania, Asimov) e di musica (PFM e Pink Floyd), ricostruire le teorie della fisica quantistica e organizzare un colpo di scena clamoroso. Il tutto, ambientato nell'anno della pandemia, con mascherine e lockdown. Ci sarebbe stato materiale per un romanzone di Dan Brown, ma ci si trova di fronte a una storia di poco più di cento pagine, in cui non si indulge in sottotrame e in approfondimenti psicologici e si mira, nelle descrizioni e dei dialoghi, all'essenziale. Per quanto la lettura sia agile, c'è spazio anche per della divulgazione (persino fumettistica). La soluzione al caso Majorana è fantascientifica, ma anche scientifica su base quantistica, e potrebbe persino essere.

domenica 7 marzo 2021

CHIAMATEMI EMANUELE

 


 
Giorgio Alloisio
Simone Balzano
Aurora Marchetti
CHIAMATEMI EMANUELE
Astromica
brossurato, 2019
100 pagine, 18 euro

"Astromica è una casa editrice di nuova generazione che, grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia, propone una nuova concezione di fumetto. Sono più di settanta la serie inedite che vengono pubblicate nei nostri portali telematici. Ora è nata anche l'edizione cartacea", spiega una nota in apertura di libro. E noi proprio della versione a stampa di una di questa ci stiamo occupando. "Chiamatemi Emanuele" è dunque uscita prima in rete, poi i sei capitoli iniziali sono stati raccolti in questo primo volume distribuito in alcune fumetterie e on line. Immagino ce ne saranno altri, perché la storia non si conclude. Di che storia si tratta? Giorgio Alloisio, uno degli sceneggiatori, ne racconta così la nascita: "Quando Simone Balzano mi ha proposto di raccontare la storia di una giovane transessuale, ho pensato: questo è pazzo. Non perché l'argomento non mi interessasse, ma perché - non essendo transgender - non ho mai vissuto questa esperienza e il rischio di sbagliare era altissimo. Poi ho capito che, in fondo, si parlava di una cosa che avevo vissuto: essere un adolescente e sentirmi un estraneo nel mio stesso corpo". Non si tratta della stessa storia affrontata da Fumettibrutti (Yole Signorelli) in "P. La mia adolescenza trans", ma certamente "Chiamatemi Emanuele" si inserisce nello stesso filone. Questa volta non si tratta di un passaggio da una identità maschile a una femminile, ma al contrario. L'adolescente Anna vuole diventare Emanuele. Balzano e Alloisio sembrano conoscere l'argomento, o almeno citato articoli di legge e raccontano un percorso credibile (dal punto di vista medico, farmacologico e psicologico) lungo il quale una ragazza possa effettivamente diventare un ragazzo. A complicare la vicenda ci sono non solo i problematici rapporti con i genitori (la madre accetta, il padre no - anzi, diventa attivista di una organizzazione politica fortemente ostile ai diritti LBGT), ma anche quelli con la fede (lo stesso protagonista, con tutta la famiglia, è credente e fa parte di una comunità parrocchiale che li ripudia). Ci sono poi i rapporti con gli altri ragazzi, di ambedue i sessi. I disegni di Aurora Marchetti, fortemente debitori verso le suggestioni manga, sembrano indirizzare il prodotto verso un target adolescenziale, coetaneo di Anna/Emanuele. L'argomento è trattato con misura e delicatezza, senza comunque sconti al dramma che, comunque lo si voglia vedere, vive chiunque attraversi un percorso di cambiamento di sesso.

sabato 6 marzo 2021

SARDEGNA NURAGICA

 

 
Giovanni Lilliu
SARDEGNA NURAGICA
Il Maestrale
brossurato, 2019
146 pagine, 13 euro

Giovanni Lilliu (1914-2012), archeologo di fama internazionale, è stato uno dei più illustri studiosi delle antichità sarde e uno dei primi a far conoscere, in ambito accademico e anche divulgativo, al di là delle leggende e del velo di mistero, la complessità delle civiltà che si svilupparono in Sardegna dal paleolitico fino all'età dei nuraghi. Questo agile libretto, che ha l'apparenza di una guida turistica (ricco com'è di illustrazioni), è un compendio portatile dei suoi principali scritti. Quel che colpisce il profano è la ricchezza di resti, molti ancora da studiare e chissà quanti da scoprire, che gli antichi sardi hanno lasciato: resti che non si limitano, e già sarebbe tanto, alle migliaia e migliaia di nuraghi (dal vocabolo "nur", mucchio o accumulo) che costellano la Sardegna in ogni direzione, ma comprendono anche domus de janas (case delle fate, tombe ipogee), dolmen e menhir, resti di capanne e di interi villaggi, luoghi di culto, statue colossali, tombe dei giganti (sepolcri collettive di grandi dimensioni), uno ziggurat, bronzi che raffigurano personaggi dei vari ceto sociali. Gli stessi nuraghi, il lascito più evidente degli antichi popoli, non hanno forme e strutture riconducibili a un unico modello replicato, ma dimostrano una evoluzione (e dunque raccontano una storia) lungo i secoli, tra il 1800 e il 300 avanti Cristo. Ce ne sono di più antichi e più recenti, a un solo piano, a due piani, a tre piani, isolati o al centro di un complesso di dimensioni notevoli, ma anche costruiti a forma di corridoio. Lilliu descrive le tipologie dei resti che ci sono pervenuti, facendoci stupire per la varietà e la diffusione sul territorio. Non si inoltra però nella descrizione più elaborata del popolo (o dei popoli, visti i 1500 anni di storia attraversati dai nuragici) dei nuragici, non parla degli Shardana, citati dalle fonti egizie del II millennio a.C, come facenti parte della coalizione dei popoli del Mare: la loro identificazione con gli antichi sardi è ancora oggetto di dibattito archeologico. Li cita, però, in un passaggio a pagina 94, come "Sherdanw" e dice che sono scolpiti in monumenti dell'antico Egitto. Dunque, lo studioso si tiene sul concreto: dai bronzetti sappiamo che c'erano guerrieri (molti arcieri), fedeli di divinità sotterrare che portavano offerte agli dei (ex-voto), signori con il mantello e il bastone del comando. Le torri più alte dei nuraghi erano soprattutto il simbolo di un potere, un luogo del comando attorno a cui cui stringeva per difendersi. Tutto questo finì con l'arrivo dei romani (o forse prima), e seguì l'oblio sulla più antica (incredibilmente antica) cultura italiana, della quale si parla sempre poco (incredibilmente poco), mentre ci sarebbe da studiare, scavare, indagare, per riportare alla luce non soltanto i reperti, ma la storia di un popolo che rivaleggiò con gli egizi e i fenici.