giovedì 3 settembre 2015

FAI BEI SOGNI





FAI BEI SOGNI
di Massimo Gramellini
Longanesi
2012,  200 pagine
euro 14.90 

Difficile parlar male di un libro in grado di vendere più di un milione di copie in Italia. Eppure, io che sono di bocca buona, ho faticato ad arrivare in fondo. Mai titolo fu più azzeccato: "Fai bei sogni". Difatti, dopo due righe: zzzz. Come sempre mi succede in questi casi, di fronte a tanta disparità di giudizio fra il mio parere e quello del testo del genere umano, mi convinco di essere io quello che non ci arriva, per cui faccio pubblica ammenda e confesso i miei limiti. Tuttavia, ormai che mi sono sbilanciato, fatemi provare a raffazzonare qualche motivazione a supporto della mia perplessità. Tanto per cominciare, bisognerebbe mettersi d'accordo su che cos'è "Fai bei sogni". E' un romanzo o è una autobiografia? Wikipedia dice che è un romanzo autobiografico e mette d'accordo tutti, però non è esattamente così. Un romanzo prevede una trama e dei dialoghi fra i personaggi, l'autobiografia dei riferimenti precisi a fatti, date, luoghi, persone. "Fai bei sogni" non soddisfa nessuno dei due requisiti. E' vago e generico come autobiografia, e non articolato e ritmato come romanzo. Ci si dilunga sulla noiosissima infanzia del protagonista (lo stesso Gramellini) e poi voli pindarici sulla parte più interessante, quella della sua carriera giornalistica o dei suoi amori. Addirittura, si sposa e non ce lo dice. Divorzia, e lo veniamo a sapere en passant. Però, di quando andava alle elementari sappiamo tutto. Il motivo è che l'argomento non è la vita di Massimo Gramellini, ma il resoconto, messo giù così come viene, alla bell'e meglio, del suo irrisolto problema della morte della mamma, avvenuta quando lui aveva nove anni. Per carità, la cosa è drammatica e siamo tutti partecipi. Però, sinceramente, qualche lutto abbiamo dovuto elaborarlo tutti e non l'abbiamo fatta tanto lunga. Lo si fa in privato, di solito, e ognuno cerca di farsene una ragione senza tormentare gli altri. Non vorrei sembrare cinico (non lo sono), ma il motivo per cui esiste la letteratura è per sublimare il fatto personale ed elevarlo a categoria universale. Ecco, per quanto mi riguarda io non sono riuscito a venire coinvolto nel dramma personale di Gramellini, che è rimasto lì e mi ha lasciato non dico indifferente ma peggio, infastidito, per una questione tutto sommato comune tirata per le lunghe fino allo sfinimento, senza neppure qualche altra complicazione interessante a movimentare le vicende narrate. Insomma, a parte il fatto di essere orfano (e me ne dispiace) all'io narrante non sembra essere successo nient'altro di interessante, se non aver dovuto mangiare cibo a lui poco gradito alla mensa scolastica. Il colpo di scena finale mi ha un poco riappacificato con il libro come quando, in un giallo, si resta sorpresi dall'identità dell'assassino: la madre non è morta di cancro, ma si è suicidata gettandosi dalla finestra, convinta di non avere speranze di guarigione. Il dramma, in effetti, diventa più coinvolgente. Ma il libro finisce qui, senza che la brusca sterzata comporti una reazione: sembra quasi che la rivelazione permetta la liberazione da un lutto finalmente elaborato, e francamente non si capisce perché uno debba essere stato trent'anni sconvolto dal sapere la mamma morta di malattia, e debba rappacificarsi con il suo ricordo nello scoprirla suicida. Uno si figura il contrario, piuttosto. Perciò, eccomi qua a dire che, francamente, non ho capito il senso di tutto ciò. Probabilmente, non è il mio genere. Però, quando leggo Isabel Allende anche le mamme che muoiono mi fanno piangere. E qui no. Sarà che c'è una trama.

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