giovedì 3 settembre 2020

LE INDIE NERE




Jules Verne
LE INDIE NERE
RBA
2019, cartonato
200 pagine


Sono un centinaio i romanzi di Jules Verne (1828-1905) pubblicati da lui in vita o usciti postumi a cura del figlio. Oltre ai più noti, che sono comunque tantissimi, ce ne sono altri meno conosciuti - ma in cui si riconoscono comunque il genio, l’inventiva, la visionarietà e lo stile del grande scrittore, uno dei padri fondatori della fantascienza oltre che massimo esponente del genere avventuroso. Fra queste “opere minori”, assolutamente godibile è “Le Indie Nere”, ambientato in Scozia, dato alle stampe nel 1877. Il nome “Indie Nere” veniva dato ai territori scozzesi dove erano state scavate le ricche miniere di carbone, responsabili dell’annerimento di ogni cosa nei paraggi, ma anche dello sviluppo economico della regione. L’idea alla base del romanzo è che alcuni minatori, legati indissolubilmente al loro lavoro, decidano di continuare a vivere per libera scelta nelle cavità sotterranee, anche dopo che l’esaurimento dei filoni carboniferi ha portato alla chiusura dell’attività estrattiva. “Le Indie Nere” comincia, anzi, proprio allorché la miniera di Aberfoyle, che fa da principale teatro della vicenda è stata abbandonata. Colpisce il vagheggiamento da parte dei minatori dei bei tempi che furono, quando potevano scavare il carbone che non c’è più. Molti si sono messi a fare i contadini ma qualcuno, come si diceva, è rimasto sottoterra: la famiglia Ford, il cui capo, Simon, continua da anni, con il figlio Henry, a sondare la roccia delle gallerie convinto che ci siano altri filoni da poter sfruttare, senza mai tornare in superficie, supportato dalla moglie che ha organizzato una abitazione alla base del pozzo principale. Un giorno, Simon Ford convoca James Starr, proprietario della miniera, e gli rivela di aver scoperto un giacimento incredibilmente ricco. Ed è così, solo che tutta una serie di sabotaggi rivela la presenza di qualcun altro, molto ostile, che si aggira tra le buie gallerie. C’è chi crede all’opera di fantasmi, forse quelli dei minatori morti sul lavoro, forse di uno dei “penitenti” vale a dire quegli operai che, strisciando in ginocchio con una torcia alzata sopra la testa, davano fuoco, rischiando la vita, alle sacche di gas, evitandone l’accumulo. La riapertura della miniera convince un gran numero di minatori a seguire l’esempio dei Ford e ben presto sulle rive di un lago sotterraneo nasce una cittadina illuminata da gigantesche lampade elettriche. Nessuno sembra aver troppa nostalgia della vita in superficie, giacché sottoterra non piove mai e la temperatura è mite. Addirittura la cittadina ipogea attira turisti. Intanto, in un recesso della miniera viene ritrovata una giovane donna, chiamata Nell, che parla l’antico gaelico e riferisce di non aver mai visto la luce del sole, senza volere o sapere aggiungere altro. Henry Ford se ne prende cura, e la ragazza pian piano impara a vivere con gli altri, finché un giorno viene accompagnata all’aperto e per la prima volta vede il sole, il cielo, il mare. Nell ed Henry vorrebbero sposarsi, ma il misterioso abitante delle oscure cavità sembra intenzionato a riprendere la donna con sé, visto che era stato lui ad allevarla per anni nei recessi più impenetrabili. Alla parte avventurosa e di anticipazione (la città sotterranea ricorda quella degli “Abissi d’acciaio” di Isaac Asimov) Verne unisce elementi da feuilleton e da romanzo horror. Un bel mix. Peccato per il paternalismo con cui viene dipinta la figura del proprietario della miniera, davvero un capitalista illuminato, e per la mancanza di realismo nella descrizione delle reali condizioni dei minatori, avvelenati dalla polvere di carbone e costretti a lavorare con ritmi disumani. Qui gli operai sembrano tutti felici di poter scavare nella miniera, e questo è l’aspetto più fantasioso dell’opera.


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