Riccardo Bacchelli
IL MULINO DEL PO
Mondadori
Edizione Oscar 1979
tre volumi in brossura
2100 pagine complessive
La prima domanda che si pone il lettore, esitante davanti alla prospettiva di iniziare a leggere un’opera come “Il mulino del Po”, è: ma davvero vale la pena affrontare un romanzo in tre volumi, lungo oltre 2100 pagine complessive? Se vi interessa conoscere il mio parere, quello di uno che è felicemente giunto al termine dell’impresa, la risposta è: assolutamente sì.
Mentre leggevo, il paragone che più mi veniva in mente era quello di accostare Riccardo Bacchelli (1891-1985) ad Alessandro Manzoni e di considerare “Il mulino del Po” la risposta novecentesca ai “Promessi Sposi”, più moderna e dunque arricchita da protagonisti che fanno sesso, da trame coinvolgenti che si intrecciano caratterizzati da personaggi vividi e non sempre adamantini, e di opposti schieramenti ideologici i cui conflitti permettono di affrontare tematiche sociali e descrivere le dinamiche e le tensioni politiche. Certo, Bacchelli non ha i meriti manzoniani riguardo alla nascita di una lingua italiana nazionale (che lui si ritrova già confezionata e che sa sfruttare al meglio), ed è sicuramente autore meno nobile ed influente, ma quante somiglianze fra i due scrittori, entrambi alle prese con il romanzo storico di ambientazione italiana, interessati alle vicende dei più umili inserite in contesti reali ricostruiti in maniera rigorosamente documentata, ambedue a fare i conti con la Provvidenza! La fede, in Bacchelli, è vista con maggior disincanto e non ci sono santi frati e illuminati vescovi, ma non si può narrare di contadini senza mostrare la loro religiosità.
Lo scrittore bolognese diede alle stampe il suo romanzo, ambientato sulle rive del Po presso Ferrara, a spese proprie, tra il 1938 e il 1940. Il primo volume si intitola “Dio ti salvi” (660 pagine), il secondo “La miseria viene in barca” (680 pagine), il terzo “Mondo vecchio sempre nuovo” (790 pagine). L’opera venne poi riproposta in forma unitaria e definitiva nel 1957. Si narra la saga di quattro generazioni della famiglia Scacerni, e di una folta schiera di personaggi di contorno, a partire dalla disfatta di Napoleone in Russia (1812) fino alla Prima Guerra Mondiale (1918). Comincia con la battaglia sul Don e finisce con gli scontri sul Piave, non a caso fiumi, come quello che fa da sfondo a gran parte del racconto, il Po, descritto magistralmente in centinaia di pagine che ne raffigurano la potenza delle piene, la bellezza delle rive, la forza delle correnti, il suo mutar corso e forma, il suo essere amato e temuto da chi vive sulle sponde.
La sola lettura dei primi capitoli, ambientati durante la tragica ritirata delle truppe napoleoniche, permette di capire quale saranno i toni e il livello drammatico degli avvenimenti successivi, quelli innescati dall’incontro fra un giovane ferrarese arruolato a forza nell’esercito imperiale francese, Lazzaro Scacerni, e un capitano giacobino a cui salva la vita. Potrebbe essere un buon test, leggere le scene ambientate in Russia, per capire se andare avanti oppure no. Sopravvissuto alla ritirata e rientrato a Ferrara, attraverso varie traversie Lazzaro diventa mugnaio, riuscendo nell’impresa di fabbricarsi un mulino galleggiante, all’epoca numerosi lungo il corso del Po, che funzionavano grazie alla forza della corrente del fiume. Comincia così una saga famigliare che vede succedersi varie generazioni e personaggi memorabili come Coniglio Mannaro (il cui vero nome è Giuseppe Scacerni, figlio di Lazzaro), Cecilia, il Raguseo, Princivalle, Berta, Orbino, lo Smarazzacucco Luca Virginesi, il latifondista Clapasson. Seguendone le vicende assistiamo alla Restaurazione, al governo del Regno della Chiesa sulle terre ferraresi, al contrabbando con quelle dell’altra riva in mano agli austriaci, poi ai moti risorgimentali, all’unità d’Italia, alle vessazioni del nuovo regno e in particolare all’odiatissima tassa sul macinato. Ma potenti sono anche le pagine riguardanti il propagarsi delle istanze socialiste, l’indizione dei primi scioperi, il boicottaggio verso i “crumiri”.
Un vero libro di storia dentro il romanzo, con l’autore che si rivolge (manzonianamente) ai suoi venticinque lettori e approfondisce le questioni che le vicende sollevano riguardo alla politica, gli affari, le tensioni sociali. Bacchelli si dimostra espertissimo riguardo al modo di condurre i campi e ai rapporti che legavano i contadini dei vari poderi ai proprietari terrieri, rapporti che si evolvono nel tempo, con l’innovazione della mezzadria che non trova tutti concordi, anzi. Ferrato è l’autore anche nella nomenclatura esatta degli attrezzi dei mugnai, degli allevatori, dei carrettieri, dei calafati, degli sterratori. Tutti, sempre e comunque, poveri, minacciati dalle carestie e dalle piene, senza istruzione, vittime di ricorrenti epidemie. Un romanzo fluviale, è stato definito, in tutti i sensi. Sai che bella serie TV in tre stagioni ne verrebbe fuori oggi.
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