Georges Simenon
LE PERSIANE VERDI
Adelphi
2018, brossurato
224 pagine, 19 euro
«Tu non hai mai sognato una casa con le persiane verdi?».
«Non mi pare. No».
«Neanche quando eri piccolo?».
Lui preferì non rispondere.
«Già, ma tu sei del tutto privo di sensibilità. Non hai mai desiderato nemmeno una donna dolce con cui avere dei figli».
In questo dialogo, la chiave del titolo. A sognare la casa con le persiane è Yvonne Delobel, attrice (immaginaria) considerata in Francia una sorta di nuova Sarah Bernhardt, che, di quindici anni più anziana, ha sposato il giovane attore Emile Maugin quando ancora era un semplice comico di varietà. Proprio agli ultimi mesi di vita di Maugin è dedicato il romanzo, scritto da Simenon nel 1950 durante un soggiorno negli Stati Uniti. Yvonne era stata la prima moglie di Maugin, che quanto il racconto comincia è sposato con la terza, Alice, giovanissima e madre di una bambina a cui Emile ha accettato di fare da padre, perché lui è fatto anche così, di generosità che a tratti sembra folle in quanto contrasta con un atteggiamento burbero di fondo. Maugin ha 59 anni ed è un attore all’apice del successo. Acclamato in teatro, furoreggia sugli schermi al ritmo di cinque film l’anno. Tutto ciò che ha se lo è conquistato da solo, dopo essere nato da una famiglia poverissima e disgraziata della Vandea e aver fatto a lenti passi tutta la gavetta. Un consulto medico lo mette però di fronte a una ineludibile verità: il suo cuore, spossato dall’alcol, da una vita di strapazzi e dal superlavoro, è quello di un settantenne, non reggerà a lungo. Così, Emile comincia a fare i bilancio della propria vita. Ha paura della morte, ma deva farci i conti. La casa con la persiane verdi è il simbolo di una vita serena, di un focolare domestico: qualcosa del genere lo avrebbe fatto vivere meno inquieto? Perché Maugin è davvero uno spirito agitato in cerca di una felicità che non è in grado di dargli neppure il denaro, di cui pure dispone in quantità. Né il pubblico, né il teatro, né il sesso, né la parvenza di famiglia che si è creata (una sposa bambina e una figlia non sua) lo rendono felice. Per questo beve, perseguitato sia dai ricordi dell’infanzia da indigente che da quelli della miseria dei suoi inizi, sia dalla percezione del tempo che sfugge fra le dita e di un’ansia da cui non c’è riparo. Simenon scava anche in se stesso: pure a lui, negli anni Quaranta, come narra in “Memorie intime”, la propria autobiografia, era accaduto di subire una visita medica che gli aveva dato poco tempo da vivere, ma si era trattato di una diagnosi errata. Scava, però, nell’angoscia di ogni uomo inquieto che vede la morte come destino ineluttabile e si accorge di non aver saputo godere della propria vita. Chissà se una casa con le persiane verdi avrebbe cambiato il destino di Maugin. Destino che si compie per caso e all’improvviso, in quella Costa Azzurra dove, all’improvviso, per sfuggire all’ansia, Emile si trasferisce con Alice e la figlia e dove la piccola ferita di un amo in un piede basta a scatenare la più drammatica delle conseguenze. Non più drammatica, a dire il vero, della vita stessa: la morte sa essere anche una liberazione.
LE PERSIANE VERDI
Adelphi
2018, brossurato
224 pagine, 19 euro
«Tu non hai mai sognato una casa con le persiane verdi?».
«Non mi pare. No».
«Neanche quando eri piccolo?».
Lui preferì non rispondere.
«Già, ma tu sei del tutto privo di sensibilità. Non hai mai desiderato nemmeno una donna dolce con cui avere dei figli».
In questo dialogo, la chiave del titolo. A sognare la casa con le persiane è Yvonne Delobel, attrice (immaginaria) considerata in Francia una sorta di nuova Sarah Bernhardt, che, di quindici anni più anziana, ha sposato il giovane attore Emile Maugin quando ancora era un semplice comico di varietà. Proprio agli ultimi mesi di vita di Maugin è dedicato il romanzo, scritto da Simenon nel 1950 durante un soggiorno negli Stati Uniti. Yvonne era stata la prima moglie di Maugin, che quanto il racconto comincia è sposato con la terza, Alice, giovanissima e madre di una bambina a cui Emile ha accettato di fare da padre, perché lui è fatto anche così, di generosità che a tratti sembra folle in quanto contrasta con un atteggiamento burbero di fondo. Maugin ha 59 anni ed è un attore all’apice del successo. Acclamato in teatro, furoreggia sugli schermi al ritmo di cinque film l’anno. Tutto ciò che ha se lo è conquistato da solo, dopo essere nato da una famiglia poverissima e disgraziata della Vandea e aver fatto a lenti passi tutta la gavetta. Un consulto medico lo mette però di fronte a una ineludibile verità: il suo cuore, spossato dall’alcol, da una vita di strapazzi e dal superlavoro, è quello di un settantenne, non reggerà a lungo. Così, Emile comincia a fare i bilancio della propria vita. Ha paura della morte, ma deva farci i conti. La casa con la persiane verdi è il simbolo di una vita serena, di un focolare domestico: qualcosa del genere lo avrebbe fatto vivere meno inquieto? Perché Maugin è davvero uno spirito agitato in cerca di una felicità che non è in grado di dargli neppure il denaro, di cui pure dispone in quantità. Né il pubblico, né il teatro, né il sesso, né la parvenza di famiglia che si è creata (una sposa bambina e una figlia non sua) lo rendono felice. Per questo beve, perseguitato sia dai ricordi dell’infanzia da indigente che da quelli della miseria dei suoi inizi, sia dalla percezione del tempo che sfugge fra le dita e di un’ansia da cui non c’è riparo. Simenon scava anche in se stesso: pure a lui, negli anni Quaranta, come narra in “Memorie intime”, la propria autobiografia, era accaduto di subire una visita medica che gli aveva dato poco tempo da vivere, ma si era trattato di una diagnosi errata. Scava, però, nell’angoscia di ogni uomo inquieto che vede la morte come destino ineluttabile e si accorge di non aver saputo godere della propria vita. Chissà se una casa con le persiane verdi avrebbe cambiato il destino di Maugin. Destino che si compie per caso e all’improvviso, in quella Costa Azzurra dove, all’improvviso, per sfuggire all’ansia, Emile si trasferisce con Alice e la figlia e dove la piccola ferita di un amo in un piede basta a scatenare la più drammatica delle conseguenze. Non più drammatica, a dire il vero, della vita stessa: la morte sa essere anche una liberazione.
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