L'AFFARE VIVALDI
di Federico Maria Sardelli
Sellerio
2015, brossurato
304 pagine, 14 euro.
"La storia della riscoperta dei manoscritti di Vivaldi è davvero andata così. Diversamente da quanto scrivono di solito i romanzieri alla fine del loro lavoro ('i personaggi narrati sono frutto della mia fantasia' o formule simili), io devo invece assicurare il lettore che i fatti narrati sono, in grandissima parte, realmente accaduti, e solo in pochi casi ho dovuto inventare personaggi o situazioni allo scopo di riempire il vuoto lasciato dai documenti".
Così scrive Federico Maria Sardelli nelle sue esaustive "Note sulle fonti" in calce al libro. Documenti, si badi bene, che Sardelli ben conosce non soltanto per dovere di romanziere tenuto a informarsi sulla materia di cui intende scrivere, ma perché si tratta di uno dei massimi esperti dell'opera vivaldiana in quanto membro del comitato scientifico dell'Istituto italiano Antonio Vivaldi e responsabile del suo Catalago. Inoltre è direttore d'orchestra di fama internazionale con all'attivo numerose prime incisioni ed esecuzioni musicali. Il fatto che, a tempo perso, sia anche uno dei più geniali disegnatori e scrittori satirici de "Il vernacoliere" di Livorno non inficia, ma anzi accresce, i suoi meriti. Sembra quasi incredibile che un musicista del suo calibro sia anche l'autore di "Le più belle cartoline dal mondo" o de "I miracoli di Padre Pio" (due fra i più esilaranti titoli a sua forma) e io non ci volevo credere prima di aver avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ma assicuro che è così. Sembra anche incredibile quello che Sardelli racconta nel suo romanzo a proposito dei manoscritti vivaldiani, contenenti centinaia di composizioni inedite rimaste sconosciute per oltre un secolo e mezzo, dopo la morte in povertà del "Prete rosso" (Vivaldi era un religioso e aveva i capelli color carota). Ciò che meraviglia non è tanto che il fratello del musicista, Francesco, abbia svenduto l'archivio del defunto Antonio per pagare i debiti, ma che di mano in mano un simile tesoro sia stato misconosciuto e ignorato per tanti anni e abbia addirittura rischiato di finire perduto per sempre, se non fosse stato per l'opera di alcuni benemeriti (tra cui spiccano Luigi Torri e Alberto Gentili), che, negli Anni Venti e nei due decenni successivi, invece di venire ricoperti di onori vennero addirittura perseguitati dal fascismo.
Alcune pagine fanno male: quelle sulle leggi razziali, certo, ma anche quelle sul lascito da parte del bibliofilo Marcello Durazzo dei volumi vivaldiani ai padri salesiani del Collegio San Carlo a Borgo San Martino. Durazzo sperava di lasciare in eredità i suoi preziosi libri a qualcuno che sapesse valorizzarli e custodirli e i religiosi furono quasi infastiditi di dover ricevere una massa di carta invece di denaro e terreni e lasciarono tutto a marcire. Il racconto di Sardelli alterna avvenimenti di anni diversi passando dal Settecento al Novecento all'Ottocento assecondando un estro romanzesco supportato dalla citazione di testuali documenti. Nonostante l'autore non sia un romanziere di professione (e dunque gli manchi il mestiere di un John Grisham o di un Ken Follett che da questa materia avrebbero tratto un best seller), il libro si legge con il fiato sospeso dalla prima all'ultima pagina.
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