sabato 30 giugno 2018

ACCABADORA









Michela Murgia
ACCABADORA
Einaudi
2009, cartonato
164 pagine, 18 euro

In spagnolo, "acabar" vuol dire "finire". E in sardo "accabadora" è colei che finisce. Misericordiosamente, però: la donna che scivola nottetempo nella camera del moribondo e con un cuscino premuto sulla bocca allevia le sue sofferenze, chiamata dai parenti stessi, non è un'assassina. Tra le pagine più belle del libro c'è la spiegazione che delle sue azioni dà Bonaria Urrai, appunto l'accabadora, alla figlia adottiva Maria Listru: "Io sono stata l'ultima madre che alcuni hanno visto". Non si nasce da soli, e a volte c'è bisogno di qualcuno che aiuti a morire. Per quanto mi riguarda, il discorso di Bonaria Urrai andrebbe imparato a memoria, compresa la frase "Non dire mai: io di quest'acqua non ne bevo". Maria se ne rende conto quando si troverà lei nelle condizioni di dover fare la stessa cosa. La "filla de anima", Maria, è stata adottata dalla sarta Bonaria perché alla vera madre (vedove entrambe) pesavano le quattro figlie e la Urrai non aveva mai partorito figli suoi, dunque, come si usava in Sardegna (il romanzo è ambientato a Soreni, paesino immaginario dell'isola, negli anni Cinquanta) l'ultima nata viene ceduta. Maria cresce senza nulla sospettare della "dolce morte" che Bonaria concede a chi ne ha bisogno, ma quando lo scopre (la vittima è un giovane a cui è stata amputata una gamba e che non vuol più vivere) fugge sul continente decisa a troncare ogni rapporto con la madre adottiva. Quando però Bonaria si ammala gravemente, torna in Sardegna e riconosce nella donna le qualità di una vera madre. Oltre alla grande tensione che, con una prosa pulita e dialoghi taglienti, Michela Murgia sa costruire all'interno della sua storia attorno ai due straordinari personaggi di Maria e, soprattutto, Bonaria, molto efficace risulta la ricostruzione di Soreni e della arcaica società rurale sarda, legata all'ancestrale e al tacito appartenere a una comunità dove il non detto e il non scritto regolano i rapporti fra e nelle famiglie. Il romanzo ha vinto il Premio Campiello nel 2010.

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