domenica 19 novembre 2023

PASTORALE AMERICANA

 


Philip Roth
PASTORALE AMERICANA
Einaudi
Supercoralli, 2013
Brossura, 460 pagine, 14 euro

Si possono ricavare tante emozioni diverse da “Pastorale americana” di Philip Roth e ci sono diversi piani di lettura di un capolavoro del genere. Io però ne sono uscito sgomento per il dramma di Seymour Levov, detto “lo svedese” per il suo aspetto da vichingo, che si vede sfuggire dalle braccia, rapita da una scelta di vita folle, la figlia Merry. Una figlia nata in una famiglia benestante, da genitori bellissimi, in una casa meravigliosa, educata alla liberalità e alla tolleranza (ebreo il padre, cattolica irlandese la madre Dawn), assecondata nelle sue passioni, seguita e curata in ogni modo, di certo amatissima, che a sedici anni però fugge di casa, diventa una terrorista, fa esplodere bombe, uccide quattro persone, si dà alla clandestinità. E non c’è da pensare che Seymour o Dawn la opprimessero imponendole proprie idee politiche reazionarie, da cui potesse derivare tanta follia, anzi, Roth riporta le conversazioni piene di buon senso e buoni sentimenti con cui il pazientissimo svedese cerca di far ragionare Merry, prima che improvvisamente esploda la prima bomba e la ragazzina scompaia. Ma non è solo questo che sgomenta. E’ la ricerca disperata del padre che non si rassegna alla sua fuga, la crede prigioniera, si illude che potendola riabbracciare potrebbe farsi spiegare come sono andate realmente le cose, perché di certo non può essere stata Merry a uccidere quelle persone. Lo strazio di Seymour è totale, e ne sono stato annichilito anch’io. Il dramma manda a monte il matrimonio con Dawn, amici carissimi si scoprono essere infidi, tutto il mondo dorato che lo svedese ha cercato di costruire attorno a se va in fumo come una fotografia della famiglia felice a cui si dà fuoco. “Pastorale americana”, titolo tragicamente ironico che allude a un idillio che è soltanto illusione, è certamente molto più di una tragedia famigliare, però è questo che soprattutto mi ha segnato. Poi, in questa storia lunga trent’anni (dai tempi del liceo dello svedese, campione sportivo noto in tutto il New Jersey, durante la Seconda Guerra Mondiale, fino alla metà degli anni Settanta, ma con un prologo nei Novanta), si raccontano il sogno americano, le paturnie religiose, l’antisemitismo, il razzismo, il boom economico e le rivolte operaie, il conflitto in Vietnam, lo scandalo Watergate, il terrorismo, il comunismo e l’anticomunismo: tutto viene descritto con odio e con amore, sempre impietosamente. Roth, attraverso il racconto fittiziamente fatto dal suo alter ego Nathan Zuckerman (figura ricorrete nei romanzi dello scrittore) salta di continuo fra gli anni e gli avvenimenti, non procede in ordine cronologico, ma tutto ciò che racconta serve a riempire uno spazio in un puzzle che si costruisce a chiazze, a gruppi di tessere. Scritto nel 1997, nel 1997 il romanzo ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa.

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