mercoledì 23 dicembre 2015

GIANCARLO BIGAZZI, IL GENIACCIO DELLA CANZONE ITALIANA






GIANCARLO BIGAZZI, 
IL GENIACCIO DELLA CANZONE ITALIANA
di Aldo Nove
Bompiani
brossurato, 2012
220 pagine 

L'introduzione dell'autore comincia così: "E' come aprire l'archivio delle nostre emozioni, gettare lo sguardo sulla sconfinata produzione di Giancarlo Bigazzi, Un archivio da subito entusiasmante. E sconcertante. Chi potrebbe infatti immaginare che 'Rose rosse', portata al successo negli anni Sessanta da un giovanissimo Massimo Ranieri, e 'Self Control' di Raf sono state scritte dalla stessa persona?". Una persona, peraltro, in grado di scrivere colonne sonore cinematografiche (sua è quella di "Mediterraneo", film vincitore di un Oscar) senza conoscere la musica; così come di guidare il talento altrui, sapendolo riconoscere in erba, riuscendo ugualmente ad adeguarsi alla personalità di artisti già notissimi; arrivando a scrivere testi di infinita poesia come darsi alla prosaicità più triviale con la valvola di sfogo degli Squallor. 

Duecento milioni di dischi venduti in tutto il mondo indicano un fenomeno che dovrebbe essere oggetto di studio, e meno male che Aldo Nove (scrittore, poeta e autore teatrale) ci ha pensato pubblicando il suo libro pochi giorni prima della scomparsa di Bigazzi (infatti, è uscito nel gennaio del 2012 e non si accenna alla morte, avvenuta il 19 di quel mese). Come ricorda giustamente l'autore, persino il papa Giovanni Paolo II affacciandosi dalla finestra sopra il colonnato una volta cominciò a intonare "Si può dare di più" e tutta la piazza lo seguì in coro. Fra le tante cose che si potrebbero citare, mi sono segnato questa testimonianza di Aldo Nove che coincide con la mia esperienza: "Una delle canzoni di Bigazzi che più hanno sconvolto chi scrive è 'Ti amo', cantata da Umberto Tozzi nel 1977. Ero bambino e mi trovavo a una festa di paese. Quando dagli altoparlanti iniziò a diffondersi la musica di 'Ti amo' mi accadde una cosa irripetibile: era come se tutto si fermasse di fronte a quelle note e quelle parole. Il mio respiro si legava alla musica in un'unica vibrazione della vita, della mia vita, nella magia di una canzone. Sapevo, in quell'istante, sentivo con certezza che avrebbe superato gli anni e i decenni". 
Raccontare la vita di Bigazzi significa raccontare anche la storia dell'Italia del Dopoguerra e della società del nostro Paese. Molte pagine sono dedicate alla Firenze di allora, dove Giancarlo crebbe, e della Roma di allora, dove Giancarlo studiò, fino all'incontro con Ettore Carrera, nel 1966, che gli aprì le porte della grande famiglia Sugar e la possibilità di lavorare, da funzionario di banca con qual era, nel mondo della musica. Bello anche il racconto della lunga e complicata storia d'amore con la moglie Gianna, complicata com'era complicato lui, Bigazzi, iperattivo e nevrotico al punto da avere crisi notturne ricorrenti in cui non riusciva a smettere di fischiettare una canzone che gli premeva dentro e doveva essere partorita. Tante le foto a corredo del testo, ma la parte più bella è la postfazione dello stesso Giancarlo, probabilmente l'ultima cosa da lui scritta. Finisce così: "Grazie di cuore a tutti voi che mi avete permesso di cavalcare a suon di musica questo mezzo secolo. Mi ritengo un privilegiato. Spero di aver contraccambiato donandovi, con le mie canzoni, qualche momento piacevole da ricordare o, meglio ancora, da fischiettare". 

Su Giancarlo Bigazzi ho scritto anche io un mio breve saggio, "Fammi ascoltare ancora Yesterday" pubblicato qui:




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