Charlotte Brontë
JANE EYRE
Mondadori
2004, 576 pagine
brossurato, 9.35 euro
Quando si dice che Charlotte Brontë (1816-1855) è la sorella maggiore di Emily e Anna, il terzetto di scrittrici a cui si devono una serie di romanzi che hanno fatto la storia della letteratura vittoriana (come "Cime tempestose", "Agnes Grey" e, appunto, "Jane Eyre"), si tralascia di ricordare (ammesso che lo si sappia) come in realtà i loro genitori avessero avuto in precedenza altre due figlie Maria ed Elizabeth. Costoro, però, erano morte ancora bambine, all’età di undici e di dieci anni, per gli stenti patiti nel collegio di Cowan Bridge, la Clergy’s Daughter School, riservato alle figlie di ecclesiastici. Una scuola particolarmente severa e repressiva, dove il cibo era scarso e le condizioni igieniche insufficienti, che minò anche la salute di Charlotte ed Emily, che vi furono rinchiuse dall’austero genitore. E’ appunto all’istituto di Cowan Bridge che fa riferimento la terrificante Lowood School in cui finisce Jane Eyre nella prima parte del romanzo che porta il suo nome nel titolo, pubblicato per la prima volta nel 1847. Un classico che ancora oggi si legge con interesse e con piacere nonostante gli stilemi facciano riferimento alla letteratura del primo Ottocento e siano pertanto escluse le pulsioni sessuali o le rivendicazioni sociali. Il piacere della lettura deriva, oltre che dalla trama appassionante e felicemente romanzesca, dall’approfondimento psicologico dei personaggi, mai banali, e dalla voglia di autodeterminazione e di indipendenza della protagonista, seguita nella sua crescita e nella sua evoluzione caratteriale. Tutto ciò va unito a una credibile ricostruzione della società vittoriana, raccontata in molte diverse sfaccettature. La storia di Jane Eyre, raccontata in prima persona dalla protagonista, io narrante che si rivolge direttamente al lettore, comincia mostrandola bambina nella casa dell’arida zia che ha promesso al fratello di occuparsi di lei. La piccola orfana ha un carattere ribelle che la rende incapace di tollerare le ingiustizie e per questo finisce per essere separata dai cugini, viziati e arroganti, e chiusa in collegio. La vicenda raccontata nella prima parte del libro ha perciò un sapore dickensiano e gli anni passati a Lowood sono davvero tristi, soprattutto nelle scene che raccontano l’epidemia di tifo che falcia le piccole ospiti della scuola. La malattia strappa alla protagonista una cara amica che muore convinta di lasciare questa valle di lacrime per la felicità eterna che ci attende in paradiso e Jane resta colpita dalla fede dimostrata dalla giovanissima vittima. Un po’ dispiace vedere il caratterino tutto pepe di Jane stemperarsi in una fede che la rende, come dice lei stessa, una mezza quacchera, ma tant’è: uscendo da Lowood all’età di diciotto anni e andando a lavorare come istitutrice in una dimora borghese (esperienza che davvero l’autrice fece) la ritroviamo animata da un sacro fuoco religioso e da saldi principi. Tuttavia, emotivamente e passionalmente la protagonista resta un personaggio di straordinario spessore, e le vicende che la vedono protagonista sono decisamente coinvolgenti. La fedeltà di Jane ai suoi valori fa quasi rabbia vedendola fare scelte insensate come fuggire da Thornfield Hall, e dall’uomo che ama, senza un soldo in tasca, soltanto perché non può vivere con lui fuori dal matrimonio dato che Edward Rochester è già sposato (sia pure con una moglie completamente e folle con manie omicide, tenuta sotto chiave, unita a lui da un matrimonio giovanile combinato dal padre per interesse). Però si è partecipi dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, anche quando pare assurdo il suo senso del dovere e del sacrificio. Jane è un’eroina che fa scelte sulla base di ciò che per lei è giusto e non sulla base di ciò che le è più conveniente, rinuncia a un’eredità e ai gioielli in regalo, si dedica anima e corpo alla missione che ritiene di dover perseguire, resta là dove crede essere il suo posto e svolge il ruolo che pensa le competa, senza ambire a niente che non ritenga adatto a lei: non è una arrampicatrice sociale anche se riesce a far innamorare un ricco possidente, e lo sposa soltanto quando ha raggiunto essa stessa il benessere ed è lui ad aver bisogno, perché cieco ed infermo, della sua assistenza. Si dedica agli altri, studia, esercita il buon gusto, si migliora costantemente e lavora per aiutare gli altri ad elevarsi (come le allieve figlie di contadini della scuola di campagna del cugino, il reverendo St. John Rivers). Naturalmente mai che un pensiero impuro le sfiori la mente (almeno, non ci viene detto) pur amando Rochester, mai che lei le tocchi i seni quando sono nel frutteto seduti su una panchina. Tuttavia, si intuisce la sua passionalità al pari della sua integrità.E inoltre, di Jane ci viene detto che non è neppure bella, come del tutto brutto sembra essere Edward, oltre che più anziano di lei di vent’anni: in questo, la loro burrascosa storia d’amore è decisamente insolita. Però che bel personaggio tormentato, anche lui: ricco e dannato, sarcastico e umorale, con un tragico segreto da nascondere che gli impedisce di sposare chi ama, ma pronto a rompere ogni convenzione sociale preferendo una donna al suo servizio (l’istitutrice della figlioccia) all’altolocata Blanche Ingram, interessata però, chiaramente, soltanto ai suoi soldi. Charlotte Brontë costruisce una trama solida e articolata in cui tutto torna: ci sono la storia d’amore contrastata, il mistero sulla misteriosa inquilina della soffitta di Thornfield Hall, i rovesci del destino e la redenzione finale. Lascia perplessi soltanto un passaggio: quando Jane fugge da Edward dopo aver scoperto, proprio mentre viene condotta all’altare, del suo precedente matrimonio con Bertha Mason (la pazza tenuta sotto chiave), finisce, ridotta in fin di vita dagli stenti, per bussare alla porta di St.John Rivers che si rivelerà essere, ma guarda la combinazione, un cugino di cui non conosceva l’esistenza, un parente che non sapeva di avere, lei che si credeva sola al mondo. Fra tanti al mondo, viene salvata proprio da lui. Potenza del romanzesco.