domenica 25 luglio 2021

SIDI



Arturo Pèrez-Reverte
SIDI
Rizzoli
2021, brossura
400 pagine

Chi abbia letto la saga del Capitan Alatriste sa dell'incredibile talento di Arturo Pérez-Reverte nel raccontare la Spagna (e l'Europa) dei secoli passati. Un talento non limitato al romanzo storico, in verità, dato che l'autore si è dimostrato in grado di spaziare anche nella contemporaneità e in vari generi (dal giallo al reportage di guerra). In ogni caso, da buono spagnolo appassionato di storia (è nato a Cartagena nel 1951), quando scrive di storie di Spagna, dà il meglio di sé. Vederlo cimentarsi con una rivisitazione dell'epopea del Cid è dunque una festa. El Cid Campeador (cioè "padrone del campo", o meglio "vincitore") è il protagonista di un poema del XII secolo, il "Cantar de Mio Cid", che ha successivamente ispirato mille leggende, racconti, romanzi, film. Alla base di tutto c'è un personaggio storico: Rodrigo Díaz de Vivar, o Ruy Dìaz (come lo chiana Pérez-Reverte), che visse tra il 1040 e il 1099 (nell'epoca della Reconquista), e fu un condottiero e soldato di ventura dotato di grande senso dell'onore, coraggio, carisma, capacità di comando e abilità tattica. Il soprannome Cid deriva dall'arabo "sidi", cioè "mio signore", e il romanzo di Pérez-Reverte ricostruisce le circostanze in cui si guadagnò, per la prima volta, questo appellativo. Lo scrittore sceglie di partire dall'esilio a cui Ruy Dìaz lo condannò la miopia di Re Alfonso IV di Castiglia, a cui comunque El Cid restò fedele destinandogli il quinto di ogni suo bottino. Costretto a lasciare il Regno da lui difeso ai tempi di Re Sancho II (fratello di Alfonso che gli succedette sul trono), Ruy Dìaz si mette al servizio di chi possa pagare la sua spada e quella degli uomini che lo seguono. Il romanzo comincia con la caccia da parte dei soldati di ventura del Cid a una "aceifa" musulmana, cioè una banda di predoni mori che seminano morte e distruzione lungo le frontiere fra i regni cristiani e quelli moreschi nella Spagna del XI secolo. La narrazione è tesa, crudele e drammatica, come se assistessimo al duello fra uno squadrone di soldati e una banda di apache in uno scenario western. In seguito, Ruy Dìaz si mette al servizio di un Re musulmano, Mutaman (figura che dimostra come anche i sovrani mori potessero essere saggi e illuminati), con l'impegno da parte di costui di non chiedergli di combattere contro i castigliani. Il romanzo non procede oltre nella biografia del Cid, segno che Arturo Pérez-Reverte intende (almeno lo spero) continuare con altre puntate di quella che potrebbe essere una saga molto lunga. La ricostruzione degli scenari, dei personaggi, della mentalità dell'epoca è fantastica, sembra di esserci. Tempi crudeli, in cui la vita e la morte avevano un valore diverso da quelli di oggi (come del resto in altre epoche storiche, e come in altre latitudini e longitudini rispetto alle nostre). La personalità di Dìaz, uomo forte ma anche intelligente, prudente, saggio, tormentato e consapevole di trovare una ragione di vita solo nel mestiere delle armi, risalta su tutte le altre, affascinante e, al tempo stesso, realistica, al di là dell'aura leggendaria e idealizzata della figura del Cid. Scrive Pérez-Reverte in una nota: "Ci sono molti Ruy Dìaz nella tradizione spagnola, e questo è il mio".

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