Il libro è già stato presentato in anteprima in luglio nel corso di Riminicomix,
ma giunge in distribuzione in libreria e sulle piattaforme on line
soltanto adesso, in settembre. Ecco la foto del momento in cui, appunto a
Rimini, ho avuto in mano la prima copia. Foto che rende bene l'idea del
contenuto del volume.
Contenuto di cui ho letto degli estratti, cercando di strappare un sorriso, in questo video pubblicato sul mio canale YouTube (cliccate per vederlo - mi pare divertete).
Qui sotto una foto del libro in mano ad Alfredo Castelli, che sembra esserne divertito (e il BVZA si è detto d'accordo a che si usasse la sua immagine per fare da testimonial),
Ecco il testo con cui la Casa editrice Cut-Up cerca di imbonire gli acquirenti esitanti:
Aforismi,
battute, facezie, giochi di parole, riflessioni sarcastiche o poetiche,
frutto della penna corrosiva e dello sguardo controcorrente di uno dei
più noti sceneggiatori italiani di fumetti.
Frasi a effetto,
brevissime e fulminanti, divise per argomento come in un dizionario
universale, da leggere tutti insieme o saltando qua e là, puntando il
dito a caso in cerca di una folgorazione. Senza necessariamente dover
essere d'accordo.
L’antologia riunisce il meglio delle precedenti
raccolte e più di 1500 aforismi inediti, scelti tra le migliaia
pubblicati dall’autore sul suo seguitissimo account Twitter.
Nel caso voleste smettere di esitare e procedere all'acquisto, Cut Up fa spedizioni gratuite (mi dicono) ed ecco come procedere all'ordine (cliccare):
Qui di seguito la mia dotta (ma spero comunqie godibile) introduzione.
IL SENSO DELLA FRASE
di Moreno Burattini
Non
ho un millesimo del talento che aveva Andrea G. Pinketts come
scrittore, perciò non provo neppure a imitarlo. Lui, in verità, avrebbe
potuto benissimo sceneggiare fumetti, rubando il mestiere a me, e
infatti esiste da qualche parte l’abbozzo di un soggetto per una storia
di Zagor che una volta iniziammo a scrivere insieme (faceva visita
spesso alla redazione Bonelli, in via Buonarroti). Però, forse, ho
qualcosa, in centesima parte, di un suo peculiare talento: il senso
della frase. “Il senso della frase”, del resto, è un suo romanzo, uscito
nel 1995. Una miniera di aforismi. Pinketts, che purtroppo se ne è
andato nel 2018, spiegava così quel titolo:
Non so sciare,
non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il "senso della frase".
Il senso della frase è Privilegio poiché, se lo possiedi, permette a una
tua bugia di essere, se non creduta, almeno apprezzata. Non so se si
nasca con il senso della frase. Di sicuro ci si muore.
Ho
sempre idolatrato gli scrittori con il senso della frase. Oscar Wilde,
per esempio, di cui sono stati pubblicati libri di aforismi mai scritti,
semplicemente estrapolati dai suoi racconti o dalle sue commedie. Fin
da giovanissimo, mi sono appuntato sui dei quaderni le frasi che più mi
folgoravano, in cui mi imbattevo leggendo. L’ho fatto prima ancora di
scoprire che esistevano gli aforismi scritti proprio come tali, e che
costituivano un vero e proprio genere letterario. Nel 1994, i Meridiani
Mondadori hanno addirittura dato alle stampe una antologia in due
volumi “Scrittori italiani di aforismi”, curata da Gino Ruozzi,
comprendente cinquanta autori distribuiti su oltre seicento anni di
storia, da Taddeo Alderotti (1223-1295) a Pietro Ellero (1833-1933). Il
principale motivo per cui ho pubblicato alcune raccolte di aforismi miei
(questa che avete in mano è la terza) è, lo avrete capito, la segreta
speranza di entrare a far parte dell’aggiornamento di quei due
Meridiani, nella parte che va dalla Prima Guerra Mondiale ai giorni
nostri, anni in cui gli aforisti hanno imperversato.
Ho parlato di due mie antologie precedenti a questa. La prima è uscita nel 2015 con il titolo “Utili sputi di riflessione”, edita da Allagalla. Il buon successo di quell’iniziativa mi ha convinto a riprovarci nel 2017 con una seconda silloge, intitolata “Sarò bre”, della stessa casa editrice. Questa terza raccolta, pubblicata invece da Cut-Up Publishing, presenta il meglio delle prime due, raddoppiando la proposta con una gran quantità di aforismi nuovi, apparsi originariamente su Twitter, un social che ben si presta, basato com’è su un ridotto numero di caratteri a disposizione, a permettere agli utenti di esibire il loro “senso della frase”.
In Rete le mie riflessioni, facezie, arguzie e stupidaggini hanno finito per radunare un piccolo pubblico che le apprezza e addirittura le attende o le va a cercare. Tutto ciò che scrivo va innanzitutto considerato una provocazione, un pungolo, e non propugno tesi o verità rivelate. Anzi, sono gradite le contraddizioni, perché dai contrasti nascono i dibattiti. Mi piace l’idea che da un concetto, talvolta paradossale, si possano trarre lunghe riflessioni. Talvolta i miei aforismi riescono a mettere a nudo la mia anima, anzi, in certi casi la scarnificano. Del resto si sa che Arlecchino si confessò burlando. Mi diverte, anzi, dipingermi peggio di come sono per la soddisfazione di sentirmi dire: “ma no, non è vero che sei così”. E che delusione quando non me lo dicono e temo di essere così davvero. Poiché ai buffoni si perdona tutto, anche le parolacce, mi sono permesso di usarne qualcuna a scopo ludico: tenete però il libro fuori portata dai bambini, mi raccomando. In ogni caso, come scrisse Stan Laurel in una sua poesia: God bless all clowns, Dio benedica i clown. Non è obbligatorio pensarla come me su Dio, Patria e Famiglia per apprezzarne la mia presa in giro, che fa parte degli stilemi del genere. Del resto neppure io la penso come me. Talvolta si tratta di riflessioni riguardanti temi importanti, altre volte di ignobili facezie: fa parte del mio carattere, alternare i registri. Del resto, la vita stessa offre ai nostri sguardi aspetti sublimi e altri triviali. Mi illudo però che anche dalla battuta da caserma si possa trarre, sforzandosi, un qualche motivo di riflessione in grado di elevare chi è così bravo da coglierlo. In ogni caso, gli aforismi sono una forma d’arte paragonabile alla poesia: ogni singola parola ha un peso e il loro significato va incredibilmente al di là delle dimensioni del testo con cui lo si esprime.
Permettetemi, per finire, di fingermi dotto e dimostrare che ho fatto il classico. Le parole “aforisma” e “orizzonte” hanno la medesima etimologia. Derivano infatti dal verbo greco horíz?, “separo”. Apó e horíz? significano “separo da” ma anche “circoscrivo” e dunque aphorismós vale come “definizione”. L’orizzonte è ciò che lo sguardo circoscrive separandolo dal tutto, e l’aforisma è ciò che poche parole possono contenere in uno spazio limitato. Il primo a usare la parola “aforisma” fu Dante, nel Convivio e nel Paradiso, dove scrive: “Chi dietro a iura e chi ad amforismi / sen giva, e chi seguendo sacerdozio”. Vale a dire: c’è chi studia legge, chi medicina e chi si fa prete. Gli “amforismi” sono dunque precetti medici. Quelli di Ippocrate, senza dubbio, i cui detti e le cui sentenze venivano tramandate da secoli come base della scienza medica. Ma anche quelli di Taddeo Alderotti, contemporaneo dell’Alighieri, che abbiamo già citato: si tratta dell’autore di un “libello per conservare la sanità del corpo”, scritto in volgare. Per dare un esempio, ecco cosa raccomanda l’Alderotti: “quando ti levi la mattina de letto distenderai le tue membra, perché la natura ne prende conforto, e il naturale caldo se ne conforta e fortifica le membra”. Insomma, appena alzati bisogna fare stretching . Da questo tipo di aforismi, si passa gradatamente a quelli delle epoche successive che prima propongono massime religiose, poi morali. Dai consigli per la salute a quelli per lo spirito. In ogni caso, “medicina per l’uomo, questa è l’essenza dell’aforisma”, scrive Giuseppe Pontiggia. A partire dalla seconda metà del Seicento, per merito dei francesi, gli aforismi cominciano a diventare anche spiritosi. Meno male, perché tra il serio e il faceto, preferisco il faceto.
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