Nel romanzo precedente di Fausto Serra, “L’eredità morale” del 2021, a pagina 63 troviamo l’inizio di un capitolo intitolato “L’adozione mancata”, in cui il lettore si trova di fronte al drammatico racconto di una “sliding door” nella vita di un bambino, il piccolo Minniu. Le “sliding doors”, o “porte scorrevoli” sono quelle situazioni nelle quali qualcuno si trova di fronte a un evento, magari a cui lì per lì non dà troppa importanza, che cambia o potrebbe cambiare la sua vita. A volte ci sono “sliding door” di cui neppure ci accorgiamo: la nostra mano sceglie fra tanti un biglietto della lotteria che non dà diritto a nessun premio, ma quello accanto avrebbe potuto essere il vincente. Altre volte il caso decide per noi: Jack Dawson si imbarca sul “Titanic” vincendo al gioco il biglietto che gli permette di salire a bordo. La definizione deriva da un film del 1998, “Sliding doors”, appunto, diretto dal britannico Peter Howitt, in cui le porte scorrevoli del vagone di un treno di una linea metropolitana cambiano il destino della protagonista Helen (Gwyneth Paltrow). Hewitt aveva tratto ispirazione da un altro film che affronta il tema del fato, “Destino cieco” (1981), del regista polacco Krzysztof Kieślowski. Che cosa capita a Minniu? Il bambino e i suoi fratelli più grandi erano rimasti orfani di entrambi i genitori e vivevano in estrema povertà tra le mura cadenti di una vecchia casa lungo il fiume Coghinas. Si prospetta la possibilità di una adozione. Una coppia di benestanti giunge da Sassari per conoscere Minniu, lo trovano adorabile e manifestano il più vivo interesse per adottarlo. I fratelli più grandi si consultano fra loro per decidere il da farsi: forse per non perdere i contatti con il piccolo di casa, rifiutano l’offerta. Scrive Fausto Serra: “Il bambino andò a finire nelle mani di un padrone che si chiamava Zio Pasquale, che si decise a prenderlo con sé purché si fosse guadagnato i pasti e l’alloggio, e non come figlio adottivo. Lo attendeva un futuro da servo pastore”. Cosa sarebbe stato di Minniu se i signori di Sassari avessero potuto portarlo nella loro casa? Sembrano riflessioni oziose, ma talvolta la vita ci pone davanti a dei bivi in grado, cambiando anche solo di pochissimo le carte in tavola, di condizionare il resto della nostra esistenza. Mi è tornato in mente Minniu perché anche il destino del protagonista del secondo romanzo dello scrittore, sembra segnato da più di una “sliding door”, la cui esistenza il lettore scopre man mano, fino al colpo di scena finale, allorché viene svelato il segreto del carillon. Carillon che compare fin dalle prime pagine, riaffiorando poi qua e là nel romanzo. Siamo nel 1932, in una sperduta località che sembra essere la Gallura anche se non viene mai nominata, e Angelina, la madre di un bambino di pochi mesi, vede il marito Efisio guardarla mentre, seduta davanti al camino, con una mano dondola la culla e con l’altra tira la cordicella che aziona la melodia del carillon. Gli chiede a che cosa stia pensando. Il padre del piccolo risponde: «Al nostro bambino. È nato da pochi mesi e già mi preoccupa il suo futuro. Cosa gli potrà riservare questo posto dimenticato da Dio, se non una dura vita da pastore, isolato dal resto del mondo? Avrei desiderato per lui un futuro migliore». Quel bambino è stato chiamato Ardito a scopo beneaugurale e il romanzo di Fausto Serra ne racconta l’intera esistenza, segnata da un destino tragico che però avrebbe potuto diverso se le porte scorrevoli si fossero aperte e chiuse in altra maniera al momento giusto. “Il segreto del carillon”, apparentemente, sembra un romanzo carcerario: Ardito, appena ventenne, finisce all’ergastolo dopo aver commesso un quadruplice omicidio mosso, si direbbe, da un impulso folle e sconsiderato, per futili motivi, rovinando la sua vita e quella dei suoi genitori, oltre a privare le vittime della propria. Però, si capisce che c’è qualcosa dietro, qualcosa di cui lo stesso assassino inizialmente non si rende conto ma che piano piano emerge alla sua coscienza. Coscienza che non sembra affatto quella di un delinquente incallito o di uno spietato criminale, come dimostrano le tante avventure vissute fra le mura del penitenziario, dove è costretto a confrontarsi con il suicidio di un caro amico, la rocambolesca evasione di un altro, una rivolta di detenuti. Si chiede a un certo punto Fausto Serra: «Senza scomodare teorie sull’esistenza di entità superiori che regolano il destino di ogni essere umano, appare chiaro che qualcosa di insondabile ci sfugge. Il percorso di un’esistenza nasce già segnato? E quale potere soprannaturale ne decide le sorti? ». Ognuno cerchi di dare la propria risposta. “Il segreto del carillon” amplia l’orizzonte dell’ “Eredità morale”, dove la narrazione ricostruiva, sulla base di fatti realmente accaduti, la storia di una famiglia (quella dello stesso autore). Adesso, con il secondo romanzo, Serra allarga la visione all’intera condizione umana, anche se lo fa prendendo a paradigma la terra da cui proviene e una realtà storica particolare, questa volta dando libero sfogo all’invenzione. Le porte scorrevoli della fantasia possono condurre dovunque.
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