giovedì 16 ottobre 2025

CORTO COME UN ROMANZO

 


Gianni Brunoro
CORTO COME UN ROMANZO
Edizioni Dedalo
Prima edizione 1984
Brossurato  - 194 pagine con illustrazioni a colori - lire 25.000 

Gianni Brunoro, uno dei fumettologi attivo fin dai primordi della critica specializzata in Italia, esamina in questo suo interessante saggio tutti gli aspetti della figura di Corto Maltese, così come Hugo Pratt ce l'ha consegnata attraverso le sue opere. Nel 1984, quando uscì questo libro, erano 28 gli  episodi (lunghi e brevi) che ne componevano la saga. Da lì alla morte di Pratt, avvenuta nel 1995, ne sono usciti altri (che comunque non hanno aggiunto niente alla fama dell'autore). In ogni caso, l'opera di Brunoro ripercorre la magna pars della produzione prattiana relativa al marinaio con l'orecchino. Si comincia con una biografia di Corto Maltese, nato a La Valletta nel 1890 (forse) da una prostituta zingara e da un marinaio inglese, e divenuto ben presto lupo di mare amante dell'avventura e degli spazi sconfinati. Il Mediterraneo gli stava stretto, e Corto si mise a navigare per gli Oceani. In questo, rappresentando la controfigura dello stesso Hugo Pratt, veneziano e in quanto tale cosmopolita e giramondo. Accanto alla storia personale del character, esaminata come se Corto fosse un personaggio davvero esistito (e chi dice che non lo sia?) attraverso la sequenza delle sue avventure (riassunte una per una), Brunoro si dilunga (con la bella e gradevole prosa che lo contraddistingue) sulle figure dei suoi amici e nemici, sulle idee che lo animano, sui luoghi che frequenta, sulle donne che ha amato. Per finire, l'ultima parte del libro è dedicata  a Hugo Pratt.  

mercoledì 15 ottobre 2025

I MILANESI AMMAZZANO AL SABATO

 

 


 
Giorgio Scerbanenco
I MILANESI AMMAZZANO IL SABATO
Garzanti
2014, brossura
200 pagine, 8.90 euro


“Scerbanenco sapeva ricostruire i meccanismi imperfetti che portano una persona a compiere un crimine”, scrive Piero Colaprico (il cui giudizio è riportato in quarta di copertina). Non solo, aggiungo io: Giorgio Scerbanenco (1911-1969) era uno scrittore in grado di ricostruire qualunque tipo di meccanismo psicologico e di rappresentare le più diverse realtà con l’efficacia e il talento non soltanto del grande narratore, ma anche dell’affabulatore versatile capace di spaziare attraverso i generi più diversi, nobilitando da par suo quelli considerati di minor pregio. E’ sbagliato, infatti, considerarlo soltanto un autore di gialli, o meglio di polizieschi o di noir. Il lungo elenco dei suoi libri comprende anche romanzi sentimentali o addirittura western. Non c’è dubbio, tuttavia, che sia stato il personaggio di Duca Lamberti a dare a Scerbanenco una grande, seppur tardiva, popolarità. In tutto, le avventure del medico milanese radiato dall’Ordine per aver praticato una eutanasia e poi diventato un poliziotto, sono soltanto quattro. La morte prematura colse il suo creatore lo stesso anno, il 1969, in cui riuscì a dare alle stampe il quarto titolo, appunto “I milanesi ammazzano al sabato”. Il primo episodio della serie, “Venere privata”, era uscito soltanto tre anni prima, nel 1966. Avevano fatto seguito “Traditori di tutti” e “I ragazzi del massacro”. Di Scerbanenco e di Duca Lamberti abbiamo parlato a lungo in questo blog, perciò chi volesse approfondire l’argomento non ha che da cliccare sui titoli colorati, con il link alle singole recensioni. Probabilmente, dei quattro, è proprio “I milanesi ammazzano al sabato” il romanzo meno riuscito, e chissà se è soltanto una mia suggestione quella di leggere fra le righe l’ansia dello scrittore di riuscire a completare l’opera, lasciando qua e là perfino i segni di una mancata revisione. Tuttavia, Scerbanenco non delude neppure quando va di fretta e il livello resta alto. L’indagine di Duca Lamberti, che si svolge tra Milano e Lodi, riguarda la scomparsa di una giovane donna affetta da un ritardo mentale, Donatella Berzaghi, costretta alla prostituzione e poi trovata poi morta (uccisa in modo orrendo, bruciata viva all’interno di un covone di paglia). C’è però chi cerca di arrivare prima di lui a mettere le mani sugli assassini: il padre della ragazza. I quattro romanzi con protagonista Duca Lamberti portano avanti anche le vicende personali e sentimentali del problematico personaggio, come la sua storia d’amore con Livia Ussaro, del cui volto sfregiato si sente responsabile, o come l’eredità morale del padre poliziotto o le conseguenze della scelta del medico di aiutare una malata terminale a porre fine alle sue sofferenze. Nel finale de “I milanesi uccidono al sabato” giunge la riabilitazione dell’Ordine che lo aveva radiato, e resta il dubbio se Duca tornerà a indossare il camice bianco o se invece continuerà a fare il poliziotto.


martedì 14 ottobre 2025

SVENUTO AL MONDO


 

Maurizio Manco
SVENUTO AL MONDO
Edizioni Cenere
2024, brossurato
50 pagine, p.n.i.

“Svenuto al mondo” è una raccolta di aforismi originali, cioè non citati. A parte il fatto che gli aforismi più belli li ha scritti Anonimo, devo confessare la mia passione per questo genere letterario in cui si sono cimentati scrittori, poeti, scienziati, umoristi, pensatori di tutte le epoche. Tant’è vero che nel 1994, i Meridiani Mondadori hanno dato alle stampe una antologia in due volumi “Scrittori italiani di aforismi”, curata da Gino Ruozzi, comprendente cinquanta autori distribuiti su oltre seicento anni di storia, da Taddeo Alderotti (1223-1295) a Pietro Ellero (1833-1933). Fin da giovanissimo mi sono appuntato su un quaderno le frasi che più mi folgoravano, in cui mi imbattevo leggendo. Poi ho cominciato a collezionare raccolte di aforisti illustri, da La Rochefoucauld a Krauss passando per Roberto Gervaso. Ho tenuto per anni una rubrica su un giornaletto in cui segnalavo le sentenze o le battute migliori divise per argomento, intitolata “Cattivi pensieri”. Infine ho preso scriverne io, e più o meno duemila sono stati pubblicati in tre raccolte, “Utili sputi di riflessione”, “Sarò bre” e “Mi ritiro per delirare”. Ritenendomi un discreto cultore della materia, ho la pretesa di spiegare qualcosa che forse non tutti sanno e cioè che le parole “aforisma” e “orizzonte” hanno la medesima etimologia. Derivano infatti dal verbo greco horízo, “separo”. Apó e horízo significano “separo da” ma anche “circoscrivo” e dunque aphorismós  vale come “definizione”. L’orizzonte è ciò che lo sguardo circoscrive separandolo dal tutto, e l’aforisma è ciò che poche parole possono contenere in uno spazio limitato. 
Il primo a usare la parola “aforisma” fu Dante, che nel "Paradiso" scrive: “Chi dietro a iura e chi ad amforismi / sen giva, e chi seguendo sacerdozio”. Vale a dire: c’è chi studia legge, chi medicina e chi si fa prete. Gli “amforismi” sono dunque precetti medici. Quelli di Ippocrate, senza dubbio, i cui detti e le cui sentenze venivano tramandate da secoli come base della scienza medica. Ma anche quelli di Taddeo Alderotti, contemporaneo dell’Alighieri, che abbiamo già citato: si tratta dell’autore di un “libello per conservare la sanità del corpo”, scritto in volgare. Per dare un esempio, ecco cosa raccomanda l’Alderotti: “quando ti levi la mattina de letto distenderai le tue membra, perché la natura ne prende conforto, e il naturale caldo se ne conforta e fortifica le membra”. Insomma, appena alzati bisogna fare stretching . Da questo tipo di aforismi, si passa gradatamente a quelli delle epoche successive che prima propongono massime religiose, poi morali. Dai consigli per la salute a quelli per lo spirito. In ogni caso, “medicina per l’uomo, questa è l’essenza dell’aforisma”, scrive Giuseppe Pontiggia. A partire dalla seconda metà del Seicento, per merito dei francesi, gli aforismi cominciano a diventare anche spiritosi. Meno male, perché tra il serio e il faceto, preferisco il faceto.  Gli aforismi sono una forma d’arte paragonabile alla poesia: ogni singola parola ha un peso enorme e il loro significato va incredibilmente al di là delle dimensioni del testo con cui lo si esprime. Gesualdo Bufalino, del resto, diceva: “un aforisma ben fatto sta in otto parole” (contate quelle usate: sono appunto otto). Si può fare di meglio: “un buon aforisma sta in sette parole” (contate quelle usate, sono appunto sette). Non ne servono molte di più per colpire immediatamente nel segno con più efficacia di qualunque lungo discorso. Del resto, “quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma”, sosteneva Karl Kraus in "Detti e contraddetti", uno dei miei livres de chevet. E aggiungeva: “Ci sono certi scrittori che riescono a esprimere già in venti pagine cose per cui talvolta mi ci vogliono due righe”. 
Ammetto che mi sono dilungato decisamente troppo per un elogio della brevità. Maurizio Manco, del resto è stato brevissimo: “Svenuto al mondo” conta solo centocinquanta aforismi distribuiti su trenta pagine. Le cinquanta complessive ospitano una postfazione, apprezzabilissima, di Simona Abis, l’indice e i frontespizi. Tanta stringatezza va tutta a vantaggio della qualità della produzione, distillata e non diluita. “Stento a credermi”, recita uno dei motti, buon esempio del talento dell’autore. Ma anche “E finsero tutti felici e contenti”. Ne cito altri tre e facciamo cinque: “Voglio tutto e dubito”; “Non voglio smettere di sfumare”; “Son cose che decapitano”. Gli altri centoquarantacinque li tengo per me nella mia collezione, ormai cospicui, di raccolte di aforismi. Naturalmente, se volete leggerli, potete cercare di procurarvi anche voi l’aureo libello.


lunedì 13 ottobre 2025

FIN DOVE ARRIVA IL MATTINO

 
 
 


Giancarlo Berardi
Ivo Milazzo
FIN DOVE ARRIVA IL MATTINO
Sergio Bonelli Editore
2025, cartonato
138 pagine, 25 euro

“Fin dove arriva il mattino” è il capitolo finale della saga di Ken Parker. Una saga
 che ha segnato la mia vita (e quella di moltissimi altri), iniziata nel 1977 e conclusasi nel 2015 con il cinquantesimo volume di una riedizione distribuita in edicola da Mondadori Comics, contenente l’unica avventura inedita  in una collana che aveva ristampato, nelle quarantanove uscite precedenti, tutti gli episodi di Lungo Fucile. A distanza di dieci anni, Sergio Bonelli Editore (in occasione di una nuova riproposta  dell’intera serie) dà alle stampe un volume cartonato e di pregio, destinato al circuito delle librerie, della storia conclusiva del lungo cammino del personaggio. Storia, secondo me, memorabile. Ma per arrivare a parlarne, ritengo necessario ricapitolare i punti fondamentali riguardanti qualsiasi discorso sull’anti eroe di Berardi & Milazzo.

L'albo d'esordio, intitolato “Lungo Fucile” uscì in tutta Italia nel giugno 1977, per i tipi della Cepim di Sergio Bonelli e dunque nel classico formato Tex (anche se con una grafica di copertina originale rispetto alla tradizione). Il personaggio risaliva però a tre anni prima: era nato infatti nel 1974 per essere proposto in un unico episodio autoconclusivo da inserirsi nella Collana Rodeo. Bonelli, tuttavia, aveva bisogno di materiale per riempire gli spazi vuoti tra una puntata e l'altra de "La Storia del West" di Gino D'Antonio; così, dopo aver letto il racconto, chiese allo sceneggiatore Giancarlo Berardi e al disegnatore Ivo Milazzo di realizzarne un secondo, e poi un terzo, finché si convinse che il protagonista di quelle storie aveva un notevole "spessore" e meritava una serie tutta sua. Milazzo, nato a Tortina nel 1947, e Berardi, genovese della classe 1949, si erano conosciuti perché frequentavano la stessa scuola e avevano esordito insieme nel 1970 nel mondo del fumetto (il primo come disegnatore, il secondo in qualità di sceneggiatore) sulla rivisto Horror, diretta da Pier Carpi e Alfredo Castelli. Sempre insieme avevano fatto esperienza lavorando per lo studio ligure Bierreci (che prendeva il nome da Luciano Bottaro, Giorgio Rebuffi e Carlo Chendi)e realizzando storie per Tarzan e Gatto Silvestro. Da lì erano passati  al Giornalino grazie alle avventure di Tiki, un giovane indio amazzonico; e a Lanciostory con la serie di racconti western  Welcome to Springville. Ma a quel punto già arrivava Ken Parker.

Chiunque si trovi oggi a fare i conti con il western deve necessariamente sottostare alla regola dell' Im Westen Nichts Neues: all'Ovest niente di nuovo. Migliaia di film, romanzi e fumetti hanno sfruttato ogni situazione in tutte le possibili salse. Giancarlo Berardi si deve essere reso subito conto dell'impossibilità di dire qualcosa di nuovo in un contesto in cui si è detto tutto. E allora? Come è stato possibile per Ken Parker, nonostante questo handicap di fondo, incidere profondamente nel mondo del fumetto italiano? Innanzitutto, l'approccio verso gli ingredienti più tradizionali del genere western (gli attacchi degli indiani, le rapine alle banche, i ladri di bestiame) è di sostanziale accettazione, peraltro giustificata dalla rappresentazione di una realtà storica. Se non si cerca di modificare le situazioni in quanto tali, si modifica però l'ottica attraverso la quale queste situazioni vengono presentate al lettore. Non più la tradizionale divisione in "buoni" e "cattivi", ma il tentativo di esporre le ragioni degli uni e degli altri; non più eroi a tutto tondo, ma personaggi problematici, spesso tormentati da dubbi, angosce e incertezze; non più un mondo di relazioni interpersonali semplificate (se non banalizzate) ma un'analisi spesso profonda della psicologia e dell'intimo dei protagonisti. Tutto ciò viene raggiunto con una cura certosina, in fase di sceneggiatura, della scansione cinematografica delle sequenze e del loro montaggio, della sottolineatura dei dettagli e degli sguardi, dei dialoghi dove niente viene lasciato al caso e ogni parola ha il suo giusto peso e un preciso ruolo da svolgere. Inotre le avventure di Ken Parker spaziano in una dimensione più ampia di quella del western tradizionale: lo vediamo perciò cacciatore di balene tra gli iceberg e investigatore tra i palazzi di città. Infine, le avventure di "Lungo Fucile" sono caratterizzate da una costante contaminazione tra più generi: dal cinema alla letteratura, dalla musica al fumetto. Ken Parker maneggia i versi di Walt Whitman, commenta "Il Capitale", recita l'Amleto, incontra Ambrose Bierce; ma si imbatte anche in Tex Willer e Totò, marcia con i lavoratori del quadro di Pellizza da Volpedo, prende a pugni Poirot, conversa amichevolmente con i suoi stessi autori, diviene amico del Dersu Uzala di Kurosawa (anche se qui si fa chiamare Nanuk) e di Pippi Calzelunghe (Pat O'Shane), bacia Marilyn Monroe/Norma Jean, si inventa scrittore di dime novels. 
Ma chi è Ken Parker? Ferruccio Giromini, introducendo sulla rivista Orient Express il breve episodio intitolato "Cuccioli", risponde: "un uomo che crede di poter fare qualcosa per cambiare la storia". Giancarlo Berardi, che ne sa ben qualcosa, così replica in una intervista su Popular Press: "Ken Parker non ha questa pretesa. Si sforza solo di essere coerente con le sue idee, con il suo bagaglio di uomo, con i suoi valori che ha pian piano riscoperto. Dato che nella società in cui viveva, e anche in quella in cui viviamo noi, di valori ce ne sono pochi, nasce la necessità di crearsene di propri e vivere coerentemente con essi". Ciò significa fare delle scelte, a volte faticose, altre volte addirittura drammatiche. 
Le avventure di Ken Parker, ex cercatore d'oro in California tornato fra le sue montagne a fare il cacciatore di pellicce, hanno inizio nel Montana il 29 dicembre 1868, quando suo fratello Bill viene ucciso, a scopo di rapina, da alcuni assassini, che, di lì a poco, si arruolano come scout dell'esercito. Ken, deciso a vendicare Bill, fa lo stesso e si trova così coinvolto nel drammatico inseguimento di una tribù di Cheyenne fuggita della riserva da parte di uno squadrone di Giacche Blu. Ken resta nell'esercito anche dopo aver fatto giustizia degli assassini di suo fratello. Nel suo ruolo di guida ed esploratore, ha modo di venire a contatto con la tragica realtà del problema indiano. 
Con il numero 59, “I ragazzi di Donovan”, datato maggio 1984, si chiude la prima serie di albi bonelliani in bianco e nero di Ken Parker. Il personaggio proseguiva però le sue avventure sempre su una testata della stessa casa editrice: appunto la prestigiosa rivista Orient Express, diretta da Luigi Bernardi, da poco entrata a far parte della scuderia Bonelli.  Berardi & Milazzo erano convinti che fosse impossibile continuare a sostenere il ritmo di una storia al mese senza perdere in qualità, parametro a cui gli autori non erano disposti a rinunciare. Per Ken Parker fu dunque decisa la chiusura della collana mensile in bianco e nero (da tutti rimpianta) e la prosecuzione con storie a colori pubblicate a puntate e poi raccolte in albo. L’esordio su rivista del nostro eroe avviene sul n° 20 di Orient Express, datato aprile 1984. Ma l’esperimento non funziona. Berardi & Milazzo si mettono in proprio e tornano alle storie in bianco e nero pubblicate su un magazine intitolato al loro personaggio, poi rilevato da Bonelli. 
Con l'episodio “Un soffio di libertà" (distribuito sui numero 30, 31 e 32 del magazine, datato 1995) le vicende umane di Lungo Fucile giungono a toccare un momento estremamente drammatico della sua vita. Ken Parker, accusato di aver ucciso un poliziotto durante uno sciopero a Boston, in uno scontro di piazza fra operai manifestanti e le forze dell’ordine (in realtà si è trattato di un gesto necessario, in un momento concitato, per salvare una vita in pericolo), è incarcerato nel penitenziario di Jackson County, gestito da un direttore "illuminato", Compton Scott, che però non ha il controllo sui suoi secondini, che si accaniscono sui detenuti a sua insaputa. Proprio mentre un gruppo di giornalisti visita la prigione per scrivere delle idee di Compton Scott, l'uccisione di un galeotto da parte degli aguzzini scatena una rivolta carceraria. Ken Parker si fa portavoce dell'ala moderata dei rivoltosi, quelli che non chiedono di evadere ma di vedere puniti i colpevoli. Intanto, i più facinorosi usano violenza alla moglie e alla figlia del direttore prese in ostaggio e nello stesso tempo il governatore decide di risolvere la questione con una dimostrazione di forza nonostante la trattativa condotta da Ken sia più che ragionevole e abbia ormai messo d'accordo tutti i negoziatori. Così, la rivolta si risolve in un bagno di sangue, da cui Ken Parker è uno dei pochi a uscire vivo. C'è, nello spunto iniziale, il ricordo del film "Braubaker", con Robert Redford (anche se non serve averlo visto).
Ma arriviamo a “Fin dove arriva il mattino”, l'episodio che di "Un soffio di libertà" rappresenta il sequel. Occhio allo spoiler. Ricordo che quando scoprii Ken Parker (in ritardo rispetto all'uscita originaria, e precisamente con l'albo intitolato "Il poeta"), decisi di raccogliere tutti i numeri arretrati che mi erano sfuggiti. Guardavo però la pila dei titoli da leggere con quel senso di angoscia di chi sa che, facendo qualcosa, poi dovrà soffrire. Infatti, quando trovavo il coraggio di affrontare la lettura, spesso la concludevo con il groppo alla gola ed emotivamente sconvolto. "Butch l'implacabile", "Cronaca", "Diritto e rovescio", "Lilly e il cacciatore"... tutti albi che mi hanno lasciato il segno, sui quali appunto ho sofferto per quanto erano coinvolgenti. Ricordo di aver pianto sul finale di "Alcune signore di piccola virtù". Qualcosa del genere mi è successo con l'ultima avventura di Ken Parker. Ho temporeggiato finché ho potuto, sapendo che leggere mi avrebbe oppresso il petto e fatto dormire male. Cosa che è regolarmente accaduta. Per quanto mi riguarda, si tratta di uno degli episodi più belli e più amari della saga, magistralmente raccontato da Berardi in una continua alternanza (piena di corrispondenze) fra il passato e il presente, e disegnato da Milazzo con lo sfoggio del suo stile inconfondibile in grado di comunicare brividi con pochi segni solo apparentemente scarabocchiati: il talento suo proprio che mi ha da sempre fatto innamorare delle sue tavole. La caratteristica principale delle storie di Lungo Fucile è sempre stata quella del realismo, della raffigurazione del dramma senza edulcorazioni: l'episodio finale porta questa connotazione fino alle estreme conseguenze. L'eroe dei fumetti, se è chiuso in prigione, riesce a evadere e a dimostrare la propria innocenza; e soprattutto non invecchia, le ferite su di lui non lasciano cicatrici. Ken invece sconta vent'anni di carcere e quando ne esce, per un indulto, è anziano e dolorante, oppresso dal mal di schiena, costretto ad appoggiarsi al fucile come un bastone. Non è neppure in grado di affrontare una banda di criminali a cui si unisce per cercare di salvare due donne, madre e figlia, che hanno presso in ostaggio, e soltanto alla fine riesce nell'impresa, quando i banditi sono rimasti soltanto in due. Della donna più anziana forse si innamora pure, contraccambiato, ma i guai nascono da quella più giovane che, vittima della sindrome di Stoccolma, reagisce in modo inaspettato alla sua liberazione. Alla fine Ken inevitabilmente muore, come muoiono le persone reali, vecchio e sofferente, senza più forze, aspettando l'alba. E io, di nuovo, piango.



domenica 12 ottobre 2025

L'ULTIMO SEGRETO

 



Dan Brown
L’ULTIMO SEGRETO
Rizzoli
2025, cartonato
800 pagine, 27 euro

Dopo “Il codice Da Vinci”, almeno per quanto mi riguarda , la pubblicazione di ogni nuovo romanzo di Dan Brown è un piccolo evento. E non mi hanno deluso i successivi “Inferno” e “Origin”, così come ho felicemente recuperato i precedenti con protagonista Robert Langdon, americano, storico dell’arte, insegnante ad Harvard, esperto di simbologia religioso. Un personaggio caratterizzato dalla claustrofobia, da un orologio con Topolino sul quadrante, dalle cinquanta vasche al giorno che lo tengono in allenamento, e da una prodigiosa memoria eidetica. Oltre che, naturalmente, da una accentuata propensione a venire coinvolto in indagini rocambolesche riguardanti casi e misteri di portata planetaria. Al cinema, lo si identifica con l’interpretazione di Tom Hanks, che mi pare azzeccata. Se fino a “L’ultimo segreto” non lo avevamo mai visto coinvolto in una vera e propria storia d’amore (a parte qualche bacio a significare una fuggevole relazione), qui lo ritroviamo decisamente innamorato di Katherine Solomon, studiosa di noetica (“detto in parole povere, è lo studio della coscienza umana”, spiega lei stessa all’inizio del romanzo). I due sono a Praga, dove lei è ospite dell’Università Carlo IV per una conferenza. Proprio Praga è lo scenario su cui si svolgono le avventure a rotta di collo, praticamente concentrate in un’unica giornata, dall’alba alla notte, che portano la coppia a fuggire a gambe levate per tutta la città. Come al solito, l’autore è documentatissimo e la capitale ceca viene disvelata davanti ai nostri occhi in un susseguirsi di luoghi misteriosi, magici, affascinanti, inquietanti che hanno la caratteristica, tranne (forse) la base segreta denominata “la Soglia”, di esistere davvero, per cui i lettori sono invogliati a prenotare un soggiorno nella città di Kafka e del Golem e ripercorre l’itinerario di Langdon e di Katherine Solomon. Il Golem, peraltro, è uno dei personaggi del romanzo e la scoperta di chi si nasconda sotto una maschera di creta e trami nell’ombra è appunto uno dei colpi di scena. Il fatto che ottocento pagine si lascino leggere in pochissimo tempo e che una volta presi dalla narrazione non la si molli più, testimonia come Dan Brown sia sempre Dan Brown, anzi, più facilmente abbordabile del solito nella sua evidente ricerca di un linguaggio basic fruibile da tutti, senza però scadere nella banalità e riuscendo a spiegare una quantità di concetti che collegano fra di loro elementi apparentemente distanti dello scibile umano. Storia, arte, filosofia, scienza, letteratura, leggende si intrecciano con il poliziesco, la politica internazionale, la spy-story, il thriller, il giallo, la fantascienza e il profumo del pot-pourri sicuramente inebria. Tuttavia, e qui cominciano le dolenti note, “L’ultimo segreto” non è il miglior romanzo di Brown (né si può pretendere che il buon Dan sforni sempre capolavori). Non mi hanno convinto neppure un po’ la teoria della coscienza non locale, la credibilità attribuita alle esperienze extracorporee di chi dice di compiere viaggi astrali e alle già abbondantemente debunkate casistiche di NDE (Near Death Experience), i riferimenti alla sindrome del savant acquisita (chiaramente una bufala che ha spiegazioni scientifiche nei pochi casi in cui le testimonianze siano veritiere), i rimandi alla parapsicologia (pseudoscienza che credevo archiviata con Massimo Inardi e Uri Geller). Per di più, alla base della trama (e non spoilero nulla), c’è il tentativo di impedire la pubblicazione di un libro che Katherine Solomon ha appena finito di scrivere e affidato all’editing della sua Casa editrice. Si pretende che degli hacker entrati nel computer dell’editor lo cancellino e che le poche stampate esistenti vengano distrutte. Questo perché la studiosa avrebbe illustrato nel suo saggio ancora inedito una clamorosa scoperta riguardante la mente umana, scoperta di cui qualcuno vuole evitare a ogni costo la rivelazione. Qui la suspension of  disbelief  va a farsi benedire: non è possibile credere né che l’autrice non abbia copie del suo testo salvate ovunque su hard disk, chiavette, cloud e che si possa con facilità cancellarle tutte; ma soprattutto è implausibile che una scienziata arrivi a elaborare una teoria rivoluzionaria lavorandoci da sola, senza uno staff di collaboratori, e che lo studio con cui la si presenta al mondo sia una sorta di saggio divulgativo distribuito in libreria e non venga invece prima pubblicato su una autorevole rivista scientifica che garantisca la peer review (o revisione paritaria), un processo di valutazione critica condotto da esperti indipendenti dello stesso campo. Per carità, si tratta di un romanzo ed è permesso tutto, però Dan Brown mi aveva abituato a una maggior plausibilità di fondo e a suggerire suggestioni illuminanti che stavolta mancano. Tranne il flash finale riguardante i social, che in effetti apre una finestra su inquietanti riflessioni.




sabato 11 ottobre 2025

A TAVOLA CON GLI AUTORI

 

 
 
 
Autori Vari
A TAVOLA CON GLI AUTORI.
SCLS Presenta
2024, brossurato
140 pagina, p.n.i.

Questo aureo libretto, gustoso pezzo da collezione (imperdibile anche se introvabile) non contiene testi, a parte le due brevi prefazioni (una scritta da me, l’altra firmata da Corwin – uno dei curatori con Marco Corbetta e Ivano Carzaniga), e non propone neppure nessun bel disegno. Anzi, i disegni sono proprio brutti, improvvisati, raffazzonati, tirati via al punto da sembrare opera di ubriachi. Cosa che in effetti è, visto che gli autori (tutti professionisti del fumetto) li hanno realizzati al ristorante al momento del caffè e del giro degli amari, dopo un pasto annaffiato da vino e da birra, in occasione di pizzate, pranzi e cene organizzate dagli appassionati forumisti di SCLS, ovvero Spirito Con La Scure punto it, una community di lettori di Zagor molto attiva in Rete (la prima per nascita, ma non l’unica). Esiste infatti una sorta di rito, instauratosi e ufficializzatosi a partire dal 2007, quando già il forum esisteva comunque da alcuni anni, che prevede  il passaggio di mano in mano, tra gli “addetti ai lavori” presenti (cioè riservato agli autori zagoriani soliti fare comunella con i propri lettori), di un album da disegno su cui lasciare un disegno autografo improvvisato, magari con una battuta o una dedica accanto alla firma. Con il tempo gli album sono diventati numerosi (finito uno, se ne comincia un altro), tutti gelosamente conservati da Marco “Baltorr” Corbetta.  Nella foto qui sotto vedete Marcello Mangiantini all'opera appunto durante un raduno di SCLS (in questo caso, a Rimini) in un contesto conviviale.
 

 
Questo volumetto raccoglie gli schizzi realizzati dall’edizione 2007 di Lucca Comics fino all’evento svoltosi a Santa Margherita Ligure nel novembre 2014. Il primo disegnetto è un Cico di Marco Verni, l’ultimo uno Zagor che combatte contro un polpo opera di Gallieno Ferri su testi miei (il balloon dice “Questo me lo faccio con le patate!”). Lo potete vedere qui sotto.
 
 

 
I raduni conviviali del forum SCLS sono continuati anche in seguito, e proseguono tuttora, questo significa che potrebbe venire data alle stampe una seconda raccolta, cosa in cui in effetti confidiamo. Quando ho scritto che i disegni sono brutti, a inizio di recensione, ovviamente scherzavo: alcuni sono bellissimi, altri molto divertenti, tutti comunque da contestualizzare. In ogni caso dimostrano come la passione verso l’eroe di Darkwood unisca autori e lettori in una unica comunità. Ci sono schizzi persino di Sergio Bonelli, che più volte si è unito alle tavolate degli zagoriani, e i disegni degli autori realizzati poco dopo la sua morte (avvenuta nel settembre 2011) sono commossi e commoventi nel suo ricordo (uno porta la mia firma). Eccolo qui sotto.
 

 
 
Non cito tutti i disegnatori e gli sceneggiatori rappresentati nel libro, per non dimenticare nessuno, ma ci sono quasi tutti, a partire (unico di cui faccio il nome a parte Ferri e Bonelli) da Alessandro Piccinelli artefice della copertina (sì, è vero, ho citato anche me stesso, Mangiantini e Verni, ma en passant a sostegno del discorso). Riporto qui di seguito il testo della mia introduzione, intitolata “Gli abitanti di Darkwood”. In fondo, troverete uno schizzo di Sergio Bonelli.
 
 

 

GLI ABITANTI DI DARKWOOD
di Moreno Burattini

Nei miei ormai trentacinque anni di lavoro alle sceneggiature di Zagor, personaggio per il quale ho scritto oltre trentamila pagine di avventure, mi è capitato spesso di viaggiare per il mondo invitato a parlare dello Spirito con la Scure e della sua leggenda. Dovunque sono andato, ho incontrato schiere di lettori che condividevano con me la mia stessa passione (perché, prima di essere un autore, sono un appassionato). Li ho definiti “gli abitanti di Darkwood”, una comunità che unisce in un unico popolo tutti coloro che, qualunque sia la loro nazionalità, si emozionano di fronte ai racconti dell’eroe dalla casacca rossa. Ascolto da sempre i racconti dei lettori che mi spiegano quanto sia stato importante Zagor nella loro vita. Ma c’è un aneddoto che li vale tutti, riguardante Adnan Mehmedovic, di Sarajevo (in Bosnia Erzegovina e più in generale nei Balcani, lo Spirito con la Scure gode di grande popolarità). Adnan  mi ha narrato un toccante episodio riguardo gli anni della guerra nella ex-Yugoslavia, quando lui era bambino: avendo pochi minuti per scegliere cosa portare via dalla casa che doveva abbandonare, prese con sé un borsone con i fumetti di Zagor, che poi gli fecero grande compagnia nel tempo che trascorse da profugo. Gli albi dello Spirito con la Scure hanno aiutato tanti come lui a superare e sopportare quel periodo terribile. Nessuna meraviglia, dunque, che lettori accumunati dalla stessa passione sentano il bisogno di ritrovarsi come succedeva ai trappers delle foreste del Nord America nella prima metà dell’Ottocento. I “rendez-vous” dei mountain men ebbero il loro momento d’oro nell’arco di tredici anni. Il primo di essi, infatti, si svolse sul fiume Green, al confine tra Utah e Wyoming, nel luglio del 1825 (e si noti che Nolitta ambienta il raduno dell’albo “I cacciatori di uomini” su una isola fluviale chiamata Green Island). L’ultimo, più o meno dalle stesse parti, ebbe luogo nel giugno del 1837. Il convergere in una vasta radura di centinaia di persone intenzionate a far baldoria faceva sorgere un accampamento che veniva montato e smontato nel volgere di pochi giorni. Da molto più di tredici anni (sicuramente più di venti) gli zagoriani del forum Spirito con la Scure (per brevità, SCLS) si radunano periodicamente a Milano (nei pressi della Sergio Bonelli Editore) e in città sempre diverse in giro per l’Italia (ma ci sono stati raduni anche all’estero). Alcuni di queste riunioni di appassionati sono state filmate dal regista Riccardo Jacopino in documentario intitolato “Noi, Zagor” proiettato nell’ottobre 2013 in oltre cento sale cinematografiche di tutta Italia, dopo due anni di lavorazione. Si tratta di un entusiasmante viaggio “dietro le quinte”, in mezzo agli autori e ai loro collaboratori, fra le scrivanie e i tavoli da disegno di chi lavoro quotidianamente, da oltre cinquant’anni, alla realizzazione delle storie dello Spirito con la Scure. Ma è anche un reportage su tutto l’universo di emozioni che anima il pubblico, soprattutto quello della folta schiera di appassionati che popola i raduni dei fan così come gli incontri durante le fiere del fumetto, ma anche quello che colleziona gli albi e va a caccia dei numeri più rari. “Noi, Zagor” è davvero il più efficace possibile perché la comunità degli zagoriani comprende gli stessi autori, sceneggiatori e disegnatori, che spesso e volentieri si uniscono ai lettori nelle tavolate imbandite durante i raduni. E fra gli autori che hanno partecipato figurano anche Sergio Bonelli e Gallieno Ferri, i creatori dello Spirito con la Scure. Troverete infatti i loro autografi nelle pagine di questo libro, che raccoglie gli sketch schizzati dagli illustratori durante pranzi, cene o intervalli fra le conferenze, nel corso degli anni. Ci sono anche alcuni scarabocchi del sottoscritto, dei quali non mi vergogno come dovrei perché sono anch’io un abitante di Darkwood. 
 
 

 



venerdì 10 ottobre 2025

L’ANTICA MALEDIZIONE

 

 

Raffaele Della Monica
Gallieno Ferri
Jacopo Rauch
Gianni Sedioli
Marco Verni

L’ANTICA MALEDIZIONE
Zagor contro il Vampiro vol. 4
Sergio Bonelli Editore
2025, brossurato
432 pagine, 17 euro

“Zagor contro il Vampiro”, oltre a essere il titolo di un albo dello Spirito con la Scure divenuto oltre che a essere un classico è senza dubbio un cult (è il n° 86, dell’agosto 1972, e lo si deve ai testi di Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, e ai disegni di Gallieno Ferri), è anche la denominazione di una collana antologica composta da cinque volumi che raccolgono tutte le avventure in cui l’eroe di Darkwood, nel corso della sua lunga saga, si scontra con il barone Bela Rakosi, non-morto dai canini aguzzi adatti a succhiare sangue. Non soltanto quelle, in verità, perché per esempio nel terzo volume, “Le nere ali della notte”, il Vampiro non compare, ma si seguono le vicende degli altri comprimari che intrecciano in maniera inestricabile il loro destino con il suo, come il dottor Metrevelic, Alan Parkman e Ylenia Varga. 
In questo quarto tomo, contenente due storie (una del 2016 e una del 2017) il tetro Rakosi torna nella prima ma, di nuovo, manca nella seconda. La sua assenza dalla scena è funzionale alla necessità di seguire le vicende del numeroso microcosmo di figure che si muovono attorno a lui e che danno vita (o danno non-morte) a una vera e propria saga ricca di comprimari e di caratteristi. 
Del resto, anche il romanzo di Bram Stoker del 1897, “Dracula”, considerato il capostipite di tutta l’incredibile proliferazione di racconti, film e fumetti, propone un variegato gruppo di personaggi a cui nel tempo se ne sono aggiunti altri nei sequel multimediali che continuano a venire proposti, come Abraham Van Helsing, un medico olandese, letterato e filosofo, che cerca di convincere dell’esistenza dei vampiri il suo allievo dottor Seward, chiamato a curare il male inspiegabile da cui sembra essere stata colpita Lucy Westenra, in realtà vittima dei canini del non-morto transilvanico trasferitosi a Londra. Il personaggio di Van Helsing compare in quasi quaranta opere cinematografiche ispirate al romanzo di Stoker. Ma anche Renfield, un paziente dello psichiatra dottor Seward, che soffre di ontomofagia, cioè ha la mania di nutrirsi di insetti, è stato reso protagonista di storie a lui dedicate. Il conte Dracula lo rende suo schiavo e, nel romanzo di Stoker, alla fine lo uccide. Il folle ha continuato a vivere sugli schermi cinematografici quale protagonista o coprotagonista di numerosi film. Insomma, da storia nasce storia. 
Nelle avventure di Zagor, e a Darkwood, terra della trasversalità tra i generi, là dove il western si contamina di continuo con l’avventura, l’umorismo, la fantascienza e l’horror, e dove hanno piena cittadinanza trapper e pellerossa come scienziati pazzi e licantropi, non poteva mancare anche un vampiro transilvanico venuto a cercare sangue fresco nel Nuovo Mondo. Guido Nolitta, portando avanti  la sua opera di mescolamento delle carte davanti agli occhi dei divertiti lettori, cita i film in cui il Dracula di Bram Stoker è interpretato da Bela Lugosi creando una palese assonanza fra il nome dell’attore e quello del suo tenebroso non-morto, a cui però il disegnatore Gallieno Ferri dà l’aspetto di un altro celebre vampiro cinematografico, Christopher Lee, senza dimenticare di citare, in una copertina, l’ombra del Nosferatu di Murnau. Proprio di Gallieno Ferri, la storia “L’antica maledizione” (la seconda contenuta nel volume) rappresenta l’ultima fatica, rimasta incompiuta. Uscita postuma in prima edizione nel 2017 (come Color Zagor n° 5), l’avventura scritta da Jacopo Rauch risulta disegnasta dal maestro ligure fino alla sessantatreesima tavola delle 126 di cui è composto il racconto: l’esatta metà.  Le pagine mancanti sono state terminate da Gianni Sedioli e Marco Verni, i due più fedeli continuatori della sua opera. Quando, il 2 aprile del 2016, la primavera che ce l’aveva regalato 87 anni prima se l’è portato via, Gallieno Ferri aveva da poco finito di disegnare la sua tavola di Zagor numero 20.810: la prima risaliva al 1961. Al momento della sua scomparsa deteneva tre record ancora imbattuti: era il disegnatore italiano con più anni di ininterrotta presenza in edicola con le cover dello stesso eroe (55); l’autore del maggior numero di tavole di un unico personaggio della scuderia Bonelli (Zagor in entrambi in casi); il copertinista più prolifico nel formato gigante che caratterizza la Casa editrice di Via Buonarroti  (838). A questi dati vanno aggiunte le tante copertine degli albi a striscia (233) e le tavole illustrate per Mister No (119) e Giubba Rossa (48). Questi dati, che si riferiscono soltanto alla sua produzione bonelliana (ne esiste una precedente, soprattutto destinata al mercato francese, che è difficile persino quantificare, tanto è estesa), danno un’idea della quantità del suo lavoro ma non bastano a rendere ragione della qualità che lo contraddistingueva. E’ commovente pensare a quanti sogni, emozioni, brividi, risate ci abbia regalato Gallieno in tanti anni: c’è una sua copertina per ogni momento della vita di chi è cresciuto con Zagor. Si tratta di un tesoro che nessuno potrà portarci via, al pari del ricordo delle storie di Sergio Bonelli, alias Guido Nolitta. Proprio a un character nolittiano e ferriano è dedicata “L’antica maledizione”: si tratta del dottor Metrevelic, un medico che, presentandosi ai lettori nel 1972, diceva di essere originario della Yugoslavia e aggiungeva anche di aver dedicato anni di studio, quando ancora viveva in Europa, allo studio delle leggende riguardanti i vampiri, ed era perciò un’autorità in materia. In effetti, si rivela risolutivo nella lotta contro il barone Rakosi. Lo  abbiamo ritrovato più volte pronto ad affrontare minacce vampiriche ma anche al fianco di Zagor in altri casi legati al mistero e al paranormale. Adesso, Jacopo Rauch ci svela qualcosa sul passato di Metrevelic, chiarendo anche chi fosse la madre di sua figlia Aline, di cui non sapevamo niente.  
Sempre del senese Rauch sono i testi della prima avventura contenuta nel volume: “Vampiri!”, illustrata da un ispirato Raffaele Della Monica. Qui lo sceneggiatore senese riprende i fili della narrazione interrottasi con “Le nere ali della notte”, una storia sempre sua datata 2009, riportando sulla scena la vampira “buona” Ylenia Varga e facendo far ritorno anche al cattivo Bela Rakosi, creduto morto nel rogo di una villa alla fine di un racconto di Mauro Boselli del 1998. I personaggi della saga si sono fatti numerosi: oltre a Metrevelic e Parkman ci sono Manfred Moore, promesso sposo di Frida Lang (un nome che a tutti gli zagoriani ricorda immediatamente un sorprendente bacio), Alec Wallace, ufficiale della Royal Navy, il colonnello Korasi, ex ufficiale asburgico, Jonas Weber, ridotto in schiavitù mentale dal vampiro, Kurt Svatek, capitano degli Ussari, vampiro rivale di Rakosi desideroso di assorbirne i poteri.  Insomma, vale la pena di leggere questo e gli altri volumi della serie. Annotazioni in calce: la cover è opera di Alessandro Piccinelli, che ha sostituto Ferri come copertinista, il lungo saggio introduttivo (sedici pagine) porta la mia firma.



giovedì 9 ottobre 2025

L'URLANDO FURIOSO E ALTRE RIME DELL' "AVANTI!"

  


Alberto Cavaliere
L'URLANDO FURIOSO E ALTRE RIME DELL' "AVANTI!"
Lyriks, 2025
220 pagine, 16 euro

Chi conosca la mia passione per le composizioni satiriche in rima, testimoniata dai "Versacci", non può meravigliarsi di come sia rimasto incantato dalla raccolta, curata dal portentoso (rimatore anche lui) Gerimio Aderi, di alcuni componimenti di Alberto Cavaliere (1987-1967), geniale poeta, giornalista, uomo politico e di scienza, celebre anche per "La chimica in versi". Per chi non lo conosce, procurarsi questo libro, agile ma contenente una montagna di informazioni sull'autore, sarà una sorprendente scoperta. La silloge raccoglie componimenti di Alberto Cavaliere apparsi sulle colonne dell' "Avanti!" dal 1947 al 1955 e mai riproposti in volume, qui per la prima volta raccolti (ordinati per tematica e per anno di pubblicazione) con commento storico-metrico-letterario e note ai testi. I lettori più anziani ritroveranno lo straordinario componitore di versi che poteva udire alla radio o leggere sui giornali commentare la notizia del giorno e sempre con rime belle, inusitate, magistrali. I lettori più giovani, viceversa, potranno riscoprire, in queste rime scritte rincorrendo la cronaca, quel piacevolissimo narratore in versi che fu Alberto Cavaliere. La raccolta ha come punta di diamante un poemetto satirico in ottave  dell' "Urlando furioso", che  narra infatti di Mussolini, Hitler, Churchill, Wilson: di tutti i protagonisti, insomma, delle vicende della I e II guerra mondiale, che Cavaliere trasfigura nei paladini medievali, facendone eroi in negativo e non risparmiando frecciate satiriche soprattutto all'indirizzo dei gerarchi del Fascismo. Completano il volume l'elenco completo e ragionato delle opere, una ricca notizia biografica con un inedito in fac-simile di Alberto Cavaliere dalle carte dell'archivio di famiglia, nonché alcuni dei "Rataplan" letti alla radio negli Anni 50 dall'autore. Mi si permetta una ulteriore annotazione personale, oltre quella propinatavi all’inizio: nella sua introduzione, intitolata “Un prodigio dei prodigi nel rimare”, il curatore Gerimio Aderi scrive che la predisposizione naturale di Cavaliere per le rime, di cui era dominatore supremo, in perfetto accordo con i pensieri, “forse tra i suoi contemporanei il solo Giuseppe Geri di Gavinana (altro rimatore prodigioso) poteva eguagliare, ma senza scalzarlo”. A tal proposito, Aderi cita il libro “Il poeta delle piccole cose” (Cut-Up, 2023), dedicato proprio al Geri e curato dal sottoscritto (gavinanese per nascita e per costumi).


sabato 6 settembre 2025

I “FUGGITIVI” RITROVATI

 
 
 
 
 
Sauro Romagnani
I “FUGGITIVI” RITROVATI
Comune di San Marcello Piteglio
2025, brossurato
40 pagine

“Sono partiti, si sono sparsi per il mondo e si sono affermati”, recita il sottotitolo di questo piccolo libro pubblicato a cura del Comune di San Marcello Piteglio (Pistoia). San Marcello è proprio il luogo da cui i “fuggitivi” di cui si parla sono partiti e sparsi per il mondo: dodici nativi della Montagna Pistoiese che, ciascuno con la propria storia, dal dopoguerra in poi hanno lasciato il paese dove sono nati per cercare di realizzarsi professionalmente altrove, pur mantenendo un legame affettivo con i crinali e i boschi della propria infanzia. Non senza un minimo di imbarazzo mi tocca dire che fra i dodici figuro anch’io (dunque c’è un capitolo dedicato a me). Imbarazzo perché nel novero ci sono un astronomo (Luca Fini), un medico luminare e professore universitario (Massimiliano Fambrini), un pilota di Boeing (Mario Bizzarri), un ristoratore internazionale (Francesco Bartolomei), una scienziata affermatasi all’estero con i suoi studi sul DNA (Daniela Bargellini), un musicista attivo in orchestre importanti (Doriano Ponziani), un docente di alta finanza (Franco Silvestri), un maresciallo Nato (Luigi Buonomini), una illustre pittrice (Margherita Biondi), un tecnico di bordo dell’Aereonautica Militare (il Maggiore Ascanio Borgognoni), un Capo del Nucleo Operativo dei radar di Malpensa (Gilberto Vannini). Ultimo dietro cotanto senno, io che ho fatto il fumettista. Il libro raccoglie dodici articoli che il giornalista (sanmarcellino) Sauro Romagnani ha pubblicato tra il febbraio 2022 e l’ottobre dello stesso anno, sul “Giornale di Pistoia”. Il Comune di San Marcello ha finanziato la pubblicazione, organizzato una affollata presentazione nella Sala Consiliare nel luglio 2025 (presenti otto dei “fuggitivi”), e distribuito il volumetto in modo gratuito: non sono in grado di dire come si possa entrarne in possesso, probabilmente la Biblioteca Comunale potrebbe dare informazioni agli interessati. Il vicesindaco Giacomo Bonomi, nella sua introduzione, sottolinea come la Montagna Pistoiese abbia costituito da sempre un luogo di passaggio di persone e di merci in quanto terra di confine e di valico (tra la Toscana e l’Emilia). Non terra di forzata emigrazione, ma di scambio di competenze, capacità, commerci. Restano tuttavia le difficoltà comuni agli insediamenti montani, che vedono ovunque diminuire il numero di abitanti. Nel mio breve intervento alla presentazione del libro, ho comunque ribadito come io non sia “fuggito” dalla montagna ma sono stato rapito in tenera età, a opera di mio padre e di mia madre (trasferitisi a valle) quando avevo due anni (maggior particolari nel mio libro "Io e Zagor"). E non sono neppure stato “ritrovato” in quanto sono tornato da solo e ho ripreso la residenza a San Marcello. 
 
 

 



domenica 31 agosto 2025

NECROMANTICA MUSA BLUES

 
 
Stefano Fantelli
NECROMANTICA MUSA BLUES
Cut-Up Publishing
2025, cartonato
110 pagine, 19.90 euro
Illustrazioni di Paolo Massagli

La nota biografica in appendice ci informa che Stefano Fantelli, “scrittore e sceneggiatore di genere dark e new weird, conosciuto anche con lo pseudonimo di El Brujo, Active Member della Horror Writers Association, ha pubblicato più di venti libri tra romanzi, raccolte di racconti e graphic novel”. Aggiungo, io che lo conosco, come abbia scritto storie pure di Zagor e molti altri fumetti, sceneggiato per il cinema, coordinato le pubblicazioni Cut-Up Publishing, organizzato eventi. Gli mancava soltanto di cimentarsi nella poesia, ed ecco il suo esordio anche questo ambito. Anche poeta, in sostanza. Tuttavia, fedele al suo personaggio, la raccolta “NecRomantica Musa Blues” (la R maiuscola all’interno del titolo è significativa) non propone al lettore, inclito o meno che sia, liriche nell’accezione più ricorrente e immediata del termine, componimenti cioè votati al sublime letterario e alla bellezza formale (bellezza che, in generale, come dice Dostoevskij, è sempre un enigma). La silloge (ecco che l’inclito lettore apprezzerà il vocabolo) raccoglie piuttosto testi in cui il bello e il sublime si manifesta attraverso versi che cantano di artisti maledetti, eroi dei fumetti, sangue e colpa, lapidi cimiteriali, gioventù bruciata, divinità e miti oscuri, favole nere, eros e thanatos. Nessun riferimento diretto a Baudelaire e Bukowsky, e neppure a Carver (per quanto di certo tenuti presente); molti di più agli autori di testi di canzoni di gruppi o musicisti della scena dark punk, gothic, rock psichedelico, heavy metal, prog. Appunto come testi di canzoni Stefano Fantelli presenta i suoi componimenti fin dal titolo, ma soprattutto dal sottotitolo, “canzoni e ballate di morte e d’amore”.  In una conversazione con l’autore gli ho chiesto se la forma di “lyrics”, destinata cioè alla musica (“words of a song”, secondo il dizionario) sia soltanto una scelta stilistica o se davvero i suoi testi fossero stati scritti per venire musicati e incisi. Risponde Fantelli: “alcuni sono stati musicati ma non incisi. In generale, quando li ho scritti avevo in mente anche una melodia. Nessuno è stato inciso finora”.  L’idea che dei versi abbiano, fin dal momento della composizione, il rimando a una musica su cui appoggiarsi, porta a riflettere sulla notte dei tempi e sulla cetra (forse Rickembacker) di Omero. La poesia nasce cantata, anche quella italiana, che trae origine dai componimenti dei trovatori provenzali che, tra il XII e il XIV secolo, cominciarono a scrivere versi in volgare, in un neolatino chiamato lingua d'oc (oggi scomparsa, dato che il francese moderno deriva da un altro neolatino, la lingua d'oil). Quei versi venivano scritti per essere cantati. Non sappiamo esattamente quali fossero le melodie, ma la nostra storia letteraria nasce da lì. Gli eredi di questa tradizione, i veri poeti del nostro tempo sono proprio gli autor idei testi delle canzoni. La poesia accademica e austera, quella di coloro che non scrivono per la gente, non raggiunge quasi più il cuore di nessuno. Sono i testi delle canzoni che hanno assunto il compito svolto in passato dalla poesia, nella società: sono loro che descrivono i moti dell'animo, che assolvono una funzione catartica o liberatoria, o che incitano a reagire, o illuminano di nuova luce il reale o veicolano idee o semplicemente fanno sognare. Sono i versi dei parolieri e dei cantautori che passano di bocca in bocca, vengono imparati a memoria, ripetuti nelle riunioni fra amici, rimuginati nei momenti di solitudine. Ognuno ha la sua canzone che almeno una volta lo ha fatto piangere. Di certo quanto detto porta a concludere che ci piacerebbe ascoltare i testi di “NecRomantica” messi in musica. “El Brujo, lo stregone che scriveva versi chilometrici / cambiò un giorno il suo agente con uno della narcotici”, scrive di sé Fantelli (in “Dark Jazz”), che resta pur sempre uomo di penna (intinta nel cianuro) e non di chitarra, e quindi ci consegna poesie-racconti, testi autobiografici, pagine di diario. Immagino che possa considerarsi l’unico poeta che ha dedicato dei versi a Gwen Stacy, e che spiega le sue fonti di ispirazione scrivendo: “noi che leggevamo Lovecraft, Pirandello e Zagor”. Applausi per lui ma anche per il disegnatore Paolo Massagli, chiamato a illustrare il volume.



giovedì 28 agosto 2025

VERITIERE MEMORIE DEL DOCTEUR MYSTERE



 
Alfredo Castelli
Lucio Filippucci
VERITIERE MEMORIE DEL DOCTEUR MYSTERE
Sergio Bonelli Editore
2024, cartonato
256 pagine, 32 euro

Sulle pagine del n° 397 (marzo 2023) di Martin Mystère,  Alfredo Castelli scriveva: “Dopo aver vagabondato per parecchi anni in varie Case editrici e straniere, Docteur Mystère è tornato all’ovile e presto (non subitissimo, ma siamo così felici dell’avvenimento che non vedevamo l’ora di annunciarlo) uscirà un ricco volume di formato oblungo con tre storie mai ristampate da venti anni, riviste e integrate con nuove tavole”. Castelli (classe 1947) ci ha poi lasciato nel febbraio 2024, senza vedere pubblicato il tomo “oblungo”, dato alle stampe nel novembre dello stesso anno. Il formato è effettivamente singolare (lo vedete nella foto qui sopra) ma funzionale alla riproposta delle avventure di Docteur Mystère sottoforma di strisce simili a quelle pubblicate, dagli inizi del Novecento in poi, sui giornali quotidiani americani (le “daily strips”). Una soluzione grafica senza dubbio adatta al tipo di racconto, volutamente ma solo apparentemente retrò sia dal punto di vista grafico che da quello delle trame. Dico “solo apparentemente” perché poi basta leggere per rendersi conto di come sotto la patina vintage si celano (neanche troppo) elementi narrativi del tutto contemporanei: contaminazioni multimediali, paradossi, citazioni, audaci collegamenti, camei, easter eggs e inside jokes, omaggi e parodie, il tutto confezionato con una libertà di ispirazione e di espressione invidiabile e magistrale.
Scrive Carlo Recagno nella sua introduzione: “Si tratta di avventure scanzonate, da non prendere troppo sul serio, con quell’umorismo al limite del demenziale che Castelli non poteva inserire nella serie ‘Martin Mystère’, un eroe che doveva mantenersi ‘serio’. Storie nelle quali i protagonisti nei loro viaggi incontravano bizzarri personaggi tra realtà e invenzione letteraria, prendendo in giro i luoghi comuni dei romanzi d’avventura dell’Ottocento e del primo Novecento. Storie in cui i personaggi del ‘Mago di Oz’ si fondevano con quelli di ‘Miracolo a Milano’, con il protagonista del ‘Fantasma dell’Opera’ che aiutava a sconfiggere il mefistofelico Fu Manchu. E come se non bastasse, il nemico giurato del Docteur era un improbabile Maresciallo Radetzky trasformato in uno sgangherato genio del male da cartone animato, che aveva come animale da compagnia un topo”.
Ma chi è il Docteur Mystère? E che c’entrano lui e il suo assistente Cigale con Martin Mystère, il personaggio creato da Alfredo Castelli nel 1982 e che gli è sopravvissuto? L’ho spiegato in una recensione pubblicata su questo blog a proposito di un volume edito da Cut-Up Publishing, intitolato “I due dottori”,  che potete leggere cliccando sul titolo colorato. Ne riporto qui di seguito i punti essenziali, che cercherò di riepilogare.
Lo scrittore francese Paul Deleutre (1856-1915), che si firmava con lo pseudonimo di Paul d'Ivoi, fu autore di molti romanzi e racconti d'avventura che si inserivano nel filone dei "Viaggi straordinari" di Jules Verne. Fra questi, pubblicò nel 1900 il romanzo "Docteur Mystère", illustrato (come all'epoca si usava) con tavole di Louis Bombled. Protagonista ne era un ricco e presumibilmente nobile indiano, il cui vero nome rimane ignoto e che si fa chiamare così come risulta dal titolo in copertina. Costui, caratterizzato da una cultura enciclopedica e dal fatto di viaggiare su un "Hotel Elettrico" di sua invenzione, ha come assistente un giovane francese, trovatello, soprannominato Cigale, ed è giunto in Europa per compiervi una missione misteriosa. Mentre il Docteur non compare più, se non di sfuggita, in altri romanzi di d'Ivoi, Cigale invece diviene protagonista di una serie tutta sua. Trascorso quasi un secolo, nel 1994, Alfredo Castelli scopre in una libreria antiquaria una edizione di "Docteur Mystère", si incuriosisce per la corrispondenza del nome del personaggio principale con quello di Martin Mystère, l'eroe a fumetti da lui creato, e decide di inserire il ricco indiano di d'Ivoy nella saga del suo Detective dell'Impossibile, facendone un antenato. Come conciliare, però, i tratti somatici WASP di Martin con le sembianze etniche tipiche dell'India del Docteur? In una storia del 1996 Castelli spiega che Cigale era stato adottato dal suo mentore, assumendone come cognome proprio "Mystère". Quindi Martin Mystère si rivela essere discendente dal trovatello francese e giustamente può avere i capelli biondi. Il Buon Vecchio Zio Alfy non si ferma qui: nel 1998 trasforma il Docteur Mystére e Cigale in protagonisti di avventure scritte ex novo (da lui e da Carlo Recagno) pubblicate in albi fuori serie del Buon Vecchio Zio Marty (gli Almanacchi del Mistero) e ristampate poi in volumi cartonati, in Italia e all’estero (con apparizioni persino su spillati distribuiti in occasione di fiere e su quotidiani). Le caratteristiche dei due personaggi, ricreati graficamente da Lucio Filippucci, risultano un po' diverse da quelle degli eroi di d'Ivoi, ma resta il sapore della letteratura d'appendice e il fascino dell'ambientazione ottocentesca o d'inizio Novecento, il tutto contaminato con un sottofondo di brioso umorismo, un pizzico di elementi sexy, ed esotismo.
Il tomo “oblungo” dal titolo “Veritiere memorie del Docteur Mystère raccontate da lui medesimo ai famosi artisti Castelli & Filippucci” raccoglie, nel formato “a striscia” di cui si è detto, le ultime tre avventure che non erano ancora state ristampate. La prima, datata dicembre 1988, apparve in prima edizione sull’ “Almanacco del Mistero 1999, e fin dal titolo (“Gli scorridori del Selvaggio West”) dichiara l’intenzione di vedere il Docteur Mystére, Cigale e il loro “Hotel Elettrico” (una specie di camper-autotreno) alle prese con gli stereotipi del western. Stereotipi che Castelli stravolge non soltanto trascinando Radetzky nel Lontano Ovest ma anche svelando che Calamity Jane è in realtà l’italianissima Bella Gigogin. La seconda storia, “Gli orrori del castello maledetto”, pubblicata per la prima volta sull’ “Almanacco del Mistero 2004”, ha per scenari quelli gotici dei racconti di paura ambientati sui Carpazi o in Transilvania, con un tenebroso maniero abitato da un vampiro e un gobbo di nome Igor. Non mancano il solito Radtzky e il suo topo. La terza avventura, “La donna caduta dal cielo” (pubblicato inizialmente sullo speciale “Martin Mystère: Generazioni” del 2003), ambientata nella Londra dickensiana, non porta la firma di Castelli, sostituito ai testi (fornendo un’ottima prova) da Carlo Recagno, il quale, da appassionato “trekker” qual è, inserisce nella storia collegamenti con i viaggi nel tempo e, appunto, a Star Trek, riuscendo a farci stare anche due personaggi tolti di peso dalla saga mysteriana, Dee e Kelly.  Ogni storia è introdotta da un brevissimo prologo in cui compare Martin Mystère che riceve, in modo sempre originale e diverso, un plico inviatogli dallo zio Paul,  contenente il resoconto dell'avventura che sta per cominciare, spacciato come un estratto dai "veritieri" diari dell'antenato Docteur. Confido in altri volumi “oblunghi”.


mercoledì 20 agosto 2025

LA FUGA DEL SIGNOR MONDE

 

Georges Simenon
LA FUGA DEL SIGNOR MONDE
Adelphi
2011, brossura
160 pagine, 18 euro

La produzione letteraria di Georges Simenon (1903-1989) si divide in romanzi con Maigret e senza Maigret.  Entrambi i gruppi di opere sono sterminati: in totale, più di quattrocento titoli (senza contare racconti, articoli e saggistica). L’autore era in grado di scrivere ottanta pagine al giorno, senza che la quantità andasse a discapito della qualità. Si racconta di una telefonata di Alfred Hitchcock allo scrittore: “Monsieur Simenon è impegnato nella stesura di un romanzo”, spiega la segretaria. E il regista: “Va bene, attendo in linea”. 
I casi del celebre commissario iniziano a venire pubblicati nel 1931, ottenendo un grande successo di pubblico, pubblico che Simenon non volle mai deludere giungendo a dare alle stampe settantacinque romanzi  con protagonista Maigret. Parallelamente, però, firmò con regolarità anche quelli che lui definiva i romans durs: pur ritenendoli la sua produzione migliore, non rinnegò mai, giustamente, i suoi polizieschi. Insomma, ecco uno scrittore di genere che avrebbe meritato il Nobel per la Letteratura, che non ebbe forse proprio per la spocchia degli accademici svedesi messi di fronte a un autore (anche) di  gialli.  
Alcuni dei “romanzi duri” sono autentici capolavori: de “L’uomo che guardava passare i treni” (1938) abbiamo parlato in questo stesso spazio (come di molti altri). Cito questo titolo perché, in qualche modo, “La fuga del signor Monde” (1932) si può collegare alla fuga di Kees Popinga. C’è un altro paragone possibile, quello con “Il fu Mattia Pascal” (1904) di Luigi Pirandello, tolti i risvolti da commedia. In tutti questi casi un uomo improvvisamente scompare, fuggendo dalla gabbia della propria vita precedente, da una famiglia, da un trantran intollerabile. Norbert Monde è il più ricco dei tre, e si allontana da Parigi, a bordo di un treno, dopo aver cambiato aspetto, con trecentomila franchi appena ritirati in contanti dal proprio conto in banca. Un gesto improvviso, ma non inaspettato per lui che lo mette in atto: «Probabilmente lo aveva sognato spesso, o ci aveva pensato così tanto che adesso aveva l’impressione di compiere gesti già compiuti». A differenza di quella di Kees Popinga, l’uomo che guardava passare i treni, il signor Monde non va incontro a esperienze drammatiche, a parte il furto del denaro che subisce quasi subito ma che non lo turba più di tanto vista l’ansia di libertà che lo pervade. L’affascinante scrittura di Simenon, coinvolgente e musicale, ci incanta descrivendo non solo i moti dell’animo del protagonista ma i tanti ambienti che si trova ad attraversare (in particolare di Marsiglia e di Nizza) e la variegata umanità con cui entra in contatto, mentre a Parigi moglie e figli lo cercano. Da ricordare la figura dell’entraineuse Julie, con cui Monde instaura una relazione libera e senza vincoli. La fuga di Norbert si rivela un percorso di crescita interiore che gli fa raggiungere una piena consapevolezza di se stesso, e che giustifica il finale decisamente sorprendente. Un romanzo senza alcun elemento poliziesco (se non per la denuncia di scomparsa presentata alla Polizia dalla moglie del protagonista), non il migliore di Simenon, ma consigliabile come ogni romanzo dello scrittore belga.






lunedì 4 agosto 2025

LA SARDEGNA PREISTORICA

 
 
 

 
Paolo Melis
LA SARDEGNA PREISTORICA
Carlo Delfino Editore
2022, brossura
96 pagine, 10 euro

Durante una vacanza sulle spiagge nei pressi di Oristano, vicino ai resti della città di Tharros (fondata dai Cartaginesi nel VII secolo avanti Cristo), subito dopo una visita al Museo Archeologico di Cagliari, leggo tutto d'un fiato un breve libro sulla Sardegna preistorica, saggio ricco di illustrazioni che ha però l’unico difetto di finire prima di trattare della civiltà nuragica (del resto il titolo non lo prometteva). Quel che ho letto, mi conferma nella convinzione che la Sardegna sia la regione italiana cui più di ogni altra si dovrebbe scavare e indagare archeologicamente, essendo la terra con più misteri e con le più antiche civiltà. Paolo Melis consegna ai suoi lettori un compendio sintetico e divulgativo decisamente ben fatto, nonostante il breve spazio a disposizione. Non manca però una ricca bibliografia per chi volesse approfondire gli argomenti, così come molto utile si rivela il glossario  (da “Absidato” a “Ziggurath”) collocato in appendice. Leggendo apprendiamo come la Sardegna cominci a essere abitata dall’uomo a partire da circa mezzo milione di anni fa, probabilmente da gruppi di Homo Erectus, giunti attraversando il Tirreno grazie a una regressione marina  causata da una glaciazione del Pleistocene Medio, che portò a unire la parte più orientale della Corsica a quelle che adesso sono isole dell’Arcipelago Toscano, all’epoca unite al continente. Una seconda ondata di arrivi avvenne, sempre per un abbassamento del livello del mare, intorno a 165.000 anni fa, e una terza e ultima immigrazione via terra portò gli Homo Sapiens e i Neanderthaliani circa 70.000 anni avanti Cristo. Da quel momento in poi le acque smisero di abbassarsi e rialzarsi, la Sardegna restò circondata dal Mediterraneo e i successivi visitatori vi arrivarono in barca, dato che gli uomini dei Neolitico avevano scoperto la navigazione. Il più antico ritrovamento di resti umani sull’isola risale a 20.000 anni fa, ma numerosi sono i reperti litici o i segni di manipolazione dell’uomo di ossa di animali risalenti a epoche precedenti. La “Venere di Macomer”, raffigurazione della dea madre, è l’unica attestazione di arte paleolitica finora rinvenuta (12.000 anni fa). Paolo Melis elenca tutta una serie di Culture (quella di Bonuighinu, 5000 anni avanti Cristo; quella di Ozieri , 4000 anni, quella di Monte Claro, 3000 anni) caratterizzate dalla produzioni di vasi, punte di frecce, attrezzi, e da un progressivo aumentare delle decorazioni artistiche. Si parla poi delle caratteristiche degli insediamenti, con la forma delle capanne ricostruita grazie alle riproduzioni nelle tombe ipogee (le “domus de janas”), si accenna ai dolmen, ai menhir, alle mura ciclopiche, allo ziggurath di Monte d’Accorddi, chiaramente un luogo sacro, agli scavi di ossidiana, oggetto di commercio con altri popoli. Con l’età del rame si conclude il saggio di Melis, per proseguire la scoperta della storia sarda non resta che cercare notizie su un altro libro che riprenda dove si interrompe questo. Per esempio, potrebbe essere utile un saggio di cui abbiamo già parlato su questo stesso blog: "Sardegna nuragica", di Giovanni Lilliu



lunedì 28 luglio 2025

OTTO MONDI

 


Marco Tonarelli
OTTO MONDI
Melchisedek
2024, brossura
420 pagine, 24 euro

Pratese, classe 1972, Marco Tonarelli è un avvocato con la passione per la scrittura e “Otto mondi” è la sua opera prima. Cultore di filosofia, mitologia, esoterismo e delle tematiche misteriose in generale, ha riversato nel suo romanzo l’intero campo dei propri interessi e in ogni capitolo si fanno riferimenti a fatti storici, leggende e credenze, luoghi esistenti e continenti perduti, antichi ermetismi e scuole filosofiche, personaggi reali e sorprendenti incarnazioni di minacciose entità immaginarie - ameno, si spera che immaginarie lo siano, visto che il confine mito e realtà viene inteso come molto sottile. Confine che l’autore probabilmente sposta più indietro di quanto potremmo essere disposti a fare noi, ma non è necessario credere agli antichi astronauti o alle teorie (in verità molto affascinanti) di Graham Hancock per leggere un romanzo d’avventura alla Dan Brown. Tonarelli propone  più piani di interpretazione e ogni lettore può scegliere quello che gli è più congeniale. Volendo usare la chiave  di lettura dell’evoluzione spirituale, “Otto mondi” esplora temi profondi come la contrapposizione tra il trascendente e la realtà materiale, l'evoluzione della coscienza umana, il controllo occulto della società e la ricerca della verità nascosta dietro ai miti. La narrazione intreccia elementi di thriller, fantascienza e storia alternativa, suggerendo che molti monumenti antichi e tradizioni spirituali celino conoscenze tecnologiche e cosmologiche avanzate ereditate da civiltà extraterrestri. Il tutto mescolando archeologia megalitica e fantarcheologia, fantascienza e mitologia, new age ed esoterismo, la leggenda della linea di San Michele e la credenza nei flussi energetici sotterranei che attraversano la Terra,  l'alchimia e la numerologia (soprattutto legata al significato esoterico del numero otto), ma anche non banali riferimenti alla fisica quantistica. Un prezioso glossario finale fa da guida alla lettura. 
I punti di riferimento sono i già citati Dan Brown e Graham Hancock, ma se ne ritrovano altri in Martin Mystére (un personaggio a fumetti molto caro a Tonarelli), James Redfield (“La profezia di Celestino”) e Indiana Jones. “Otto mondi”, insomma, può essere inteso come romanzo iniziatico così come racconto d’avventura pieno di colpi di scena, lo è stile accessibile e scorrevole, adatto sia al lettore in cerca di evasione sia a quello più attento ai simbolismi, c’è una buona coerenza interna e una lodevole chiarezza nell’esposizione delle dottrine esoteriche. Alcuni passaggi esplicativi risultano didascalici, ma sono funzionali all’obiettivo divulgativo, l’intreccio ha un efficace equilibrio tra fiction e concetti sapienziali. L’autore dimostra passione e competenza, e trasmette al lettore il fascino della ricerca interiore e della conoscenza perduta. 
Il romanzo inizia con  il protagonista, il giovane avvocato Andrea Tusco, che ricorda l'infanzia legata al nonno Riccardo, il quale gli raccontava storie affascinanti su Ermete Trismegisto, il "Tre volte Grande”, introducendolo al principio ermetico "come in alto, così in basso". Questo ricordo diventa fondamentale quando, al compimento dei trent'anni, Andrea riceve una convocazione da un notaio che gli consegna un lascito del nonno: una lettera sigillata con ceralacca e un cofanetto di legno contenente una moneta d'oricalco. La lettera rivela verità sconvolgenti sulla famiglia Tusco e sulla Confraternita dei Figli di Thoth, un'organizzazione segreta nata ad Atlantide per preservare le antiche conoscenze e opporsi a una minacciosa razza che da millenni domina segretamente l'umanità. Da qui inizia una sarabanda di avventure che portano Andrea Tusco da Lucca a Torino, dal Cairo al Castel del Monte, castello non per caso di forma ottagonale, scelto come luogo simbolico carico di significato esoterico e geometrico. Al viaggio geografico, nello spazio, si alternano flashback, viaggi nel tempo, in cui si narrano avvenimenti avvenuti millenni o secoli prima del nostro presente. Infine, nel romanzo è presente un riferimento diretto a Gavinana, descritto come un luogo simbolico della memoria e delle radici legato alla storia familiare del protagonista. Si dà il caso che il piccolo borgo sulla Montagna Pistoiese sia anche il luogo dove sono nato anch’io e a pagina 58 mi si cita come buon amico di Andrea Tusco e si descrive la mia casa. Tuttavia, giuro, non è per questo che parlo bene del romanzo di Marco.