Bart D. Ehrman
INFERNO E PARADISO
Carocci
brossurato, 2020
290 pagine, 23 euro
Per cultura e tradizione siamo abituati a ragionare dell'aldilà, almeno chi ci crede, in termini di inferno e paradiso (magari anche di purgatorio). Cioè in quelli di un premio e di una punizione eterni, per colpe limitate nel tempo, dopo un giudizio (per carità, giusto e indiscutibile) davanti al tribunale divino. Santi, teologi e poeti si sono sbizzarriti nel prevedere le più terribili pene (stranamente, corporali) per le anime (invece spirituali) che vengano dannate, anche se sono molto più vaghe le previsioni, almeno in campo cristiano (a noi non spettano le vergini promesse ad altri), rispetto alla beatitudine paradisiaca. Ci si potrebbe però chiedere se il concetto della punizione eterna post mortem, o quello della resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale, o quello del purgatorio per i credenti meno meritevoli (sarebbe ingiusto infatti un premio uguale per tutti, se ci sono quelli più freddi), facciano parte da sempre delle convinzioni dell'umanità, se si siano imposti a partire da un certo momento, se si tratti di dogmi immutabili o se abbiano subito evoluzioni. Bart D. Ehrman, che insegna presso l'Università della North Carolina ed è un esperto di studi biblici (di lui ci siano occupati anche di recedente, quando ho recensito un suo saggio sull'Antico Testamento), traccia una sorprendente "storia dell'Aldilà" (come recita il sottotitolo). La sorpresa nasce dal fatto che, contrariamente a quanto si può immaginare, "nella Bibbia ebraica non è possibile identificare le nozioni di inferno e paradiso, non troviamo alcun giudizio né punizione per i peccatori, né alcuna ricompensa per i giusti". Cito fra virgolette una frase di Alan Segal, studioso dell'ebraismo, a sua volta citato da Ehrman. Per gli antichi ebrei il regno dei morti era un regno di vaghe ombre, una zona del crepuscolo non dissimile da quella visitata da Ulisse nell'Odissea di Omero. Fino al libro di Daniele (uno dei più tardi) non si parla di resurrezione dei morti alla fine dei tempi. Ma la prospettiva è quella della eventuale "distruzione" dei malvagi, annientati da Dio, non puniti con una pena eterna. L'idea di un premio post mortem deriva dalla concezione dualistica dell'uomo (corpo e anima) tipico della filosofia di Platone, le cui idee erano giunte in Palestina in seguito all'ellenizzazione successiva alla conquista di Alessandro Magno. Le stesse idee che avevano ispirato a Virgilio, una diversa visione, rispetto ad Omero, vari secoli dopo l'Odissea, dell'aldilà visitato da Enea.
Anche le idee del Gesù storico (lasciando perdere quello leggendario, a cui vengono attribuite affermazioni sicuramente frutto di rielaborazioni fatte nei secoli successivi) non corrispondono alla visione di un aldilà di stampo, diciamo così, dantesco. Gesù era un profeta apocalittico (come altri predicatori suoi contemporanei) e prevedeva una fine del mondo molto vicina, con la quale sarebbero state distrutte le forze del male a cui si attribuivano il disordine e le ingiustizie del mondo, e si sarebbe instaurato un regno del bene. Con l'avvento di questo regno, i malvagi sarebbero stati distrutti, cessando di esistere. "Era questa certamente la visione del Gesù storico e dei suoi primi seguaci", scrive Ehrman, "essi non credevano che al momento della morte l'anima di un uomo andasse all'inferno o in paradiso. Al contrario, credevano che alla fine dei tempi - che sarebbe stata imminente - Dio avrebbe giudicato questo mondo, distrutto le forse del male e risuscitato i corpi, alcuni destinati a entrare in quell'utopia che è il regno di Dio qui sulla terra, altri a perire senza possibilità alcuna di ritorno". Neppure la predicazione di Paolo coincide con i dogmi stabiliti in seguito dalla Chiesa, dato che anche l'apostolo in un primo momento si trovò ad annunciare l'imminente fine del mondo e poi, visto che non arrivava, nella necessità di tranquillizzare i propri seguaci, attraverso le Lettere, sul destino di coloro che morivano prima che la fine fosse giunta, aggiustando il tiro e dovendo a ogni piè sospinto risolvere i legittimi dubbi che continuamente si sollevavano, soprattutto sulla questione della resurrezione della carne, destinata ad attraversare i secoli e a dividere i teologi (segno che la faccenda non era molto chiara nelle Scritture). Anche nell'Apocalisse non si parla di punizione eterna ma di sconfitta (e distruzione) dei malvagi, che vengono annientati una volta per tutte. Tutta l'impalcatura delle credenze riguardanti inferno, purgatorio e paradiso è stata costruita a tavolino, nei secoli successivi, dai padri della Chiesa. Fra essi, ci sono stati a lungo pareri discordanti, di tutti Ehrman dà conto e ragione (così come si citano i miti e le credenze di altre religioni, i cui influssi hanno orientato certe riflessioni cristiane). Si esaminano in dettaglio scritti come gli atti di Tecla, il Vangelo di Tommaso, la Passione di Perpetua e Felicita così come tante castabasi (discesa negli inferi) raccontate ancor prima di Dante (che non inventò certo per primo il tema del viaggio nel'Aldilà). Più che i dubbi crescevano, più la teologia cercava soluzioni, a volte anche astruse, tenendo conto anche del cambiamento dei tempi (diverse le concezioni al tempo dei martiri e delle persecuzioni, da quelle successive con il cristianesimo trionfante). Ci consoliamo con Origene di Alessandria (II secolo) che riteneva gli uomini destinati comunque tutti alla salvezza, dopo un periodo più o meno lungo di purificazione.
INFERNO E PARADISO
Carocci
brossurato, 2020
290 pagine, 23 euro
Per cultura e tradizione siamo abituati a ragionare dell'aldilà, almeno chi ci crede, in termini di inferno e paradiso (magari anche di purgatorio). Cioè in quelli di un premio e di una punizione eterni, per colpe limitate nel tempo, dopo un giudizio (per carità, giusto e indiscutibile) davanti al tribunale divino. Santi, teologi e poeti si sono sbizzarriti nel prevedere le più terribili pene (stranamente, corporali) per le anime (invece spirituali) che vengano dannate, anche se sono molto più vaghe le previsioni, almeno in campo cristiano (a noi non spettano le vergini promesse ad altri), rispetto alla beatitudine paradisiaca. Ci si potrebbe però chiedere se il concetto della punizione eterna post mortem, o quello della resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale, o quello del purgatorio per i credenti meno meritevoli (sarebbe ingiusto infatti un premio uguale per tutti, se ci sono quelli più freddi), facciano parte da sempre delle convinzioni dell'umanità, se si siano imposti a partire da un certo momento, se si tratti di dogmi immutabili o se abbiano subito evoluzioni. Bart D. Ehrman, che insegna presso l'Università della North Carolina ed è un esperto di studi biblici (di lui ci siano occupati anche di recedente, quando ho recensito un suo saggio sull'Antico Testamento), traccia una sorprendente "storia dell'Aldilà" (come recita il sottotitolo). La sorpresa nasce dal fatto che, contrariamente a quanto si può immaginare, "nella Bibbia ebraica non è possibile identificare le nozioni di inferno e paradiso, non troviamo alcun giudizio né punizione per i peccatori, né alcuna ricompensa per i giusti". Cito fra virgolette una frase di Alan Segal, studioso dell'ebraismo, a sua volta citato da Ehrman. Per gli antichi ebrei il regno dei morti era un regno di vaghe ombre, una zona del crepuscolo non dissimile da quella visitata da Ulisse nell'Odissea di Omero. Fino al libro di Daniele (uno dei più tardi) non si parla di resurrezione dei morti alla fine dei tempi. Ma la prospettiva è quella della eventuale "distruzione" dei malvagi, annientati da Dio, non puniti con una pena eterna. L'idea di un premio post mortem deriva dalla concezione dualistica dell'uomo (corpo e anima) tipico della filosofia di Platone, le cui idee erano giunte in Palestina in seguito all'ellenizzazione successiva alla conquista di Alessandro Magno. Le stesse idee che avevano ispirato a Virgilio, una diversa visione, rispetto ad Omero, vari secoli dopo l'Odissea, dell'aldilà visitato da Enea.
Anche le idee del Gesù storico (lasciando perdere quello leggendario, a cui vengono attribuite affermazioni sicuramente frutto di rielaborazioni fatte nei secoli successivi) non corrispondono alla visione di un aldilà di stampo, diciamo così, dantesco. Gesù era un profeta apocalittico (come altri predicatori suoi contemporanei) e prevedeva una fine del mondo molto vicina, con la quale sarebbero state distrutte le forze del male a cui si attribuivano il disordine e le ingiustizie del mondo, e si sarebbe instaurato un regno del bene. Con l'avvento di questo regno, i malvagi sarebbero stati distrutti, cessando di esistere. "Era questa certamente la visione del Gesù storico e dei suoi primi seguaci", scrive Ehrman, "essi non credevano che al momento della morte l'anima di un uomo andasse all'inferno o in paradiso. Al contrario, credevano che alla fine dei tempi - che sarebbe stata imminente - Dio avrebbe giudicato questo mondo, distrutto le forse del male e risuscitato i corpi, alcuni destinati a entrare in quell'utopia che è il regno di Dio qui sulla terra, altri a perire senza possibilità alcuna di ritorno". Neppure la predicazione di Paolo coincide con i dogmi stabiliti in seguito dalla Chiesa, dato che anche l'apostolo in un primo momento si trovò ad annunciare l'imminente fine del mondo e poi, visto che non arrivava, nella necessità di tranquillizzare i propri seguaci, attraverso le Lettere, sul destino di coloro che morivano prima che la fine fosse giunta, aggiustando il tiro e dovendo a ogni piè sospinto risolvere i legittimi dubbi che continuamente si sollevavano, soprattutto sulla questione della resurrezione della carne, destinata ad attraversare i secoli e a dividere i teologi (segno che la faccenda non era molto chiara nelle Scritture). Anche nell'Apocalisse non si parla di punizione eterna ma di sconfitta (e distruzione) dei malvagi, che vengono annientati una volta per tutte. Tutta l'impalcatura delle credenze riguardanti inferno, purgatorio e paradiso è stata costruita a tavolino, nei secoli successivi, dai padri della Chiesa. Fra essi, ci sono stati a lungo pareri discordanti, di tutti Ehrman dà conto e ragione (così come si citano i miti e le credenze di altre religioni, i cui influssi hanno orientato certe riflessioni cristiane). Si esaminano in dettaglio scritti come gli atti di Tecla, il Vangelo di Tommaso, la Passione di Perpetua e Felicita così come tante castabasi (discesa negli inferi) raccontate ancor prima di Dante (che non inventò certo per primo il tema del viaggio nel'Aldilà). Più che i dubbi crescevano, più la teologia cercava soluzioni, a volte anche astruse, tenendo conto anche del cambiamento dei tempi (diverse le concezioni al tempo dei martiri e delle persecuzioni, da quelle successive con il cristianesimo trionfante). Ci consoliamo con Origene di Alessandria (II secolo) che riteneva gli uomini destinati comunque tutti alla salvezza, dopo un periodo più o meno lungo di purificazione.
Nessun commento:
Posta un commento