venerdì 1 ottobre 2021

IL CARCIOFO NAZIONALE

 

 

 
 
Alfredo Castelli
IL CARCIOFO NAZIONALE
Cut-Up
2011, cartonato
100 pagine, 19.90 euro


Questo volume, contenente "testi e disegni desecretati dopo trent'anni", è la versione cartonata e distribuita su tutto il territorio nazionale, di una pubblicazione intitolata "Non vedo che cosa ci sia da ridere" edita in tiratura limitata a Catania dagli organizzatori di Etna Comics edizione 2019, grazie ad AC Press Edizioni (sono quasi sicuro che il mio amico Marco Grasso ci abbia messo le mani). Cut-Up la recupera e la rende disponibile per un pubblico più vasto e fa avverare un mio vecchio desiderio. Tempo fa, infatti, incontrando Castelli in redazione, gli dissi che sarebbe stato bello raccogliere in un opuscolo i testi dell’esilarante (e politicamente scorrettissima) rubrica “Lombroso aveva ragione”, che ricordavo di aver letto sulle pagine di "Eureka", quando il Buon Vecchio Zio Alfy, allora Giovane Zio, fu chiamato insieme a Silver da Andrea Corno per un estremo tentativo di salvare la rivista (e ancora oggi la dozzina di numeri dell’”Eureka” di Castelli & Silver vengono ricordati con rimpianto, meraviglia e nostalgia da tutti quelli – temo non tantissimi – che la leggevano a quel tempo). Castelli mi informò del fatto che “Lombroso aveva ragione” non era una rubrica ideata per “Eureka”, ma compariva lì dopo essere apparsa in precedenza su un’altra rivista, “La bancarella del Gorilla”. Mi sono morso le labbra, scoprendo un’altra cosa di Alfredo che non sapevo. E sì che ne so proprio tante. So per esempio che scrisse un articolo proprio sul primo numero di “Eureka”, ancora diretta da Luciano Secchi. So che era lui a disegnare Scheletrino su “Diabolik”. So che è stato uno dei primi fanzinari italiani all’epoca in cui, come suol dire Sergio Bonelli, aveva ancora i calzoni corti (quanto mi piacerebbe vedere una foto di Castelli in calzoni corti). So che ha scritto testi per Antonio Ricci e per Enrico Beruschi, arrivando anche a portare in edicola una rivista dal titolo “Il dottor Beruscus”. So del suo gran lavoro al “Corriere dei Ragazzi”, delle strisce fatte con Carlo Peroni, della sua collaborazione con “Horror”, del fatto che alla fine ha collaborato con tutti i più importanti autori del mondo, ma anche si è volentieri speso e concesso per aiutare la pubblicazione delle rivistine più piccole. So delle sue ricerche e dei suoi studi ormai ventennali, accuratissimi e sterminati, sulla produzione dei fumetti dei primordi. So della sua capacità nel creare eventi, ideare merchandising, vendere diritti all’estero, eccetera eccetera. Le so tutte. Ovvero, credevo di saperle tutte. Non sapevo della “Bancarella del Gorilla”. E chissà dunque quante non ne so. Però, poi, a consolarmi è arrivato un altro pensiero. Quello cioè che per quanto si cerchi di fare un elenco completo delle storie, degli articoli, delle iniziative di Castelli, per quanto ci sia chi si reputi ferratissimo in materia e sappia persino che “Lombroso aveva ragione” apparve sulla “Bancarella del Gorilla”, ebbene si tratterebbe sempre e soltanto della punta dell’iceberg. Perché Alfredo Castelli non si può rinchiudere in una cronologia di opere, per quanto esaustiva e ragionata. Non senza prima, almeno, essersi messi d’accordo sul termine “opere”. Si intende tutto ciò che è frutto di un lavoro professionale destinato a un pubblico? Si sappia allora che Castelli realizza da sempre lavori professionali destinati a pubblici limitatissimi di magari dieci persone, oppure per due o tre, a volte per una persona sola. Sulla rivista “Dime Press”, a cui collaboravo dopo averla fondata ai tempi in cui anch’io (imitando Alfredo) ero un fanzinaro (ma si è fanzinari per sempre), pubblicammo alcune sue battute scritte su fogli di carta volante (che il buon Vianovi intercettava), tra cui un estratto della monumentale raccolta dedicata a Antonio Serra, che ancora oggi è custodita in un album presso la redazione Bonelli. Per chi realizzava quei testi, Castelli? Per chi aveva vicino in quel momento in redazione, magari per Sclavi, per una letterista, per una segretaria, per chi poteva passare e leggere al volo. E le battute erano sempre professionali, mai dilettantesche, per quanto realizzate in fretta. C’era la professionalità, c’era il pubblico. Le battute su Serra si sono salvate, raccolte da qualcuno che ne ha intuito il valore (forse lo stesso Serra?). Ma quanti foglietti volanti saranno andati perduti? E chi potrà farne mai la cronologia? Una volta ho sorpreso Alfredo a fare un fotomontaggio: si era messo in posa, decisamente poco vestito, e si era fatto un autoscatto per poi poter collocare la propria immagine al posto del celebre Menneken pis, la fontana di Bruxelles raffigurante un bambino che fa la pipì. Il lavoro era geniale e impegnativo. Chiesi a chi fosse destinato. Pare che si trattasse di realizzare una falsa foto spiritosa da allegare a una mail destinata a un amico, e naturalmente c’era un motivo (nella mail, assolutamente esilarante, era spiegato il perché del Menneken pis). Che fine avrà fatto quella mail? E la foto, ci sarà ancora? Non si tratta forse di un testo d’autore e di un fotomontaggio professionale? Mi è capitato anche, e ne ho scritto un articolo sempre su “Dime Press”, di andare a casa di Alfredo e di aver bisogno di usare il bagno. Ecco, le pareti della stanza erano coperte dalla sua collezione, rigorosamente incorniciata, di “scritte da cesso”. Si tratta cioè di cartelli vergati a mano da proprietari di bar, ristoranti, negozi o altri locali pubblici, in cui si esorta la clientela (per lo più in modo esilarantemente sgrammaticato) a lasciare pulito il gabinetto. Castelli si impossessa dei cartelli e li incornicia in casa sua (anzi, nel bagno suo). Ora, perché questa vera e propria mostra permanente degna di uno studio di antropologia culturale, non deve essere citata fra le mostre organizzate da Alfredo presso saloni del fumetto, biblioteche o università? C’è la professionalità (quella indiscussa del BVZA) e c’è il pubblico (chiunque abbia bisogno del bagno nel suo appartamento). Appesa alle pareti della redazione di Via Buonarroti c’è poi (sotto cornice) la copertina di uno dei “librini” allegati per anni agli speciali di Martin Mystère. Una copertina assolutamente in stile con tutte le altre, perfettamente mimetizzabile, soltanto falsa e riferita a uno spillato che non è mai uscito: raccoglierebbe l’elenco di tutte le cose che Sergio Bonelli non sopporta (dal pesce all’aria condizionata passando per gli antichi romani) e su cui circolano leggende urbane incontrollabili. Si intitola: "I segreti di Bonelli". Quanta professionalità per realizzare il falso opuscolo! E quanto pubblico: chiunque venga in redazione non può fare a meno di notarlo. Ma esisterà anche il testo o c’è solo la copertina? Mistero. Ma a questo punto, il vero mistero è: quant’è grande l’iceberg delle cose fatte da Castelli e che sfuggono a ogni possibilità di censimento? Mistero. Anzi, Mystero. Però, c'è un però: a rimediare almeno in parte alla mancanza di un censimento, censendo almeno una parte della produzione umoristica e "laterale" del BVZM, giunge questo volume d. C'è il librino "I segreti di Bonelli". Ci sono le vignette su Antonio Serra. C'è il fotomontaggio che mi riguarda, quello con Barack (Obama) e Burattini, c'è la dichiarazione consensuale da far firmare alla donna con cui si esce perché accetti il nostro corteggiamento senza scambiarlo per molestie sessuali, c'è la rubrica "Lombroso aveva ragione". C'è un sacco di altro materiale, quale quello delle "Riviste Impossibili", realizzatr per "La Bancarella", tra cui spiccano Unopiù (parodia di "Duepiù", ma riservata agli onanisti), Prayboy (un "Playboy" per preti) e "La zuppina italiana" ("La cucina italiana" fatta per chi mangia scatolette). Il tutto realizzato anche con la complicità di numeri uno quali Silver e Claudio Villa. Insomma, "Non vedo cosa ci sia da ridere" fa vedere un sacco di cose da ridere.

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