Giovanni Bianconi
MI DICHIARO PRIGIONIERO POLITICO
Einaudi
2003, brossurato
316 pagine
Oltre al titolo, è significativo il sottotitolo: “Storie delle Brigate Rosse”. Non “Storia delle Brigate Rosse” ma “storie”. Cioè, sei storie (personali, a tratti intime) di sei brigatisti scelti non fra quelli di primo piano, ma fra a quelli della militanza di secondo o terzo livello. Due donne (forse le più interessanti) e quattro uomini, di cui si racconta il prima, il durante e il dopo la lotta armata e attraverso cui si ricostruisce il quadro di un’epoca e della visione della società che avevano i terroristi. I ritratti di ”Pippo” (Tonino Paoli), “Augusta” (Angela Vai), “Claudio” (Bruno Seghetti), “Gulliver” (Germano Maccari), “Michele “ (Francesco Piccioni), “Paola” (Geraldina Colotti) raccontano le luci e le ombre delle loro personalità, i conflitti interiori, le illusioni e le disillusioni, i furori e le palpitazioni. Ogni brigatista che entrava in clandestinità lasciava una famiglia, a volte dei figli, il gruppo di amici, compiva scelte che avrebbero cambiato la propria vita per sempre e compiva azioni che avrebbero rovinato (o stroncato nel sangue) quelle di altri, molti altri. Ciascun terrorista, oltre al nome di battaglia, ne aveva uno proprio: sul lato “personale” indaga l’autore, dimostrando anche come le Brigate Rosee non fossero un gruppo compatto e monolitico e anzi non mancassero fronde interne, dubbi e idee diverse. Spiega Giovanni Bianconi: “Questo libro ricostruisce alcuni aspetti delle storie di sei militanti delle Brigate rosse nell’arco di tempo tra il 1970 e il 1988, durante il quale le organizzazioni armate di sinistra hanno provocato la morte di centoventotto persone (e il ferimento di alcune centinaia). Alcuni dei protagonisti, così come tanti altri militanti delle Br, hanno seguito percorsi diversi dopo lo svolgimento degli avvenimenti di cui si parla; ad esempio attraverso un ripensamento critico sull’uso della violenza come strumento di lotta politica”. Bianconi si astiene da valutazioni morali e non formula alcun giudizio. Per questo il suo libro è misurato e interessante. Il titolo, tuttavia, mi fa ricordare quel che pensavo io, che avevo sedici anni quando fu rapito e assassinato Aldo Moro, sentendo dire di qualcuno che si dichiarava “prigioniero politico”: la mia reazione era di perplessità perché mi sembrava, e ancora mi sembra, che chi lo diceva, in realtà, veniva imprigionato per aver impugnato un’arma, non per le idee politiche.
MI DICHIARO PRIGIONIERO POLITICO
Einaudi
2003, brossurato
316 pagine
Oltre al titolo, è significativo il sottotitolo: “Storie delle Brigate Rosse”. Non “Storia delle Brigate Rosse” ma “storie”. Cioè, sei storie (personali, a tratti intime) di sei brigatisti scelti non fra quelli di primo piano, ma fra a quelli della militanza di secondo o terzo livello. Due donne (forse le più interessanti) e quattro uomini, di cui si racconta il prima, il durante e il dopo la lotta armata e attraverso cui si ricostruisce il quadro di un’epoca e della visione della società che avevano i terroristi. I ritratti di ”Pippo” (Tonino Paoli), “Augusta” (Angela Vai), “Claudio” (Bruno Seghetti), “Gulliver” (Germano Maccari), “Michele “ (Francesco Piccioni), “Paola” (Geraldina Colotti) raccontano le luci e le ombre delle loro personalità, i conflitti interiori, le illusioni e le disillusioni, i furori e le palpitazioni. Ogni brigatista che entrava in clandestinità lasciava una famiglia, a volte dei figli, il gruppo di amici, compiva scelte che avrebbero cambiato la propria vita per sempre e compiva azioni che avrebbero rovinato (o stroncato nel sangue) quelle di altri, molti altri. Ciascun terrorista, oltre al nome di battaglia, ne aveva uno proprio: sul lato “personale” indaga l’autore, dimostrando anche come le Brigate Rosee non fossero un gruppo compatto e monolitico e anzi non mancassero fronde interne, dubbi e idee diverse. Spiega Giovanni Bianconi: “Questo libro ricostruisce alcuni aspetti delle storie di sei militanti delle Brigate rosse nell’arco di tempo tra il 1970 e il 1988, durante il quale le organizzazioni armate di sinistra hanno provocato la morte di centoventotto persone (e il ferimento di alcune centinaia). Alcuni dei protagonisti, così come tanti altri militanti delle Br, hanno seguito percorsi diversi dopo lo svolgimento degli avvenimenti di cui si parla; ad esempio attraverso un ripensamento critico sull’uso della violenza come strumento di lotta politica”. Bianconi si astiene da valutazioni morali e non formula alcun giudizio. Per questo il suo libro è misurato e interessante. Il titolo, tuttavia, mi fa ricordare quel che pensavo io, che avevo sedici anni quando fu rapito e assassinato Aldo Moro, sentendo dire di qualcuno che si dichiarava “prigioniero politico”: la mia reazione era di perplessità perché mi sembrava, e ancora mi sembra, che chi lo diceva, in realtà, veniva imprigionato per aver impugnato un’arma, non per le idee politiche.
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