Karel Čapek
L’ANNO DEL GIARDINIERE
Sellerio
Brossurato, 2021
180 pagine, 14 euro
Il nome dello scrittore ceco Karel Čapek (1890-1938) viene ricordato, di solito e soprattutto, per essere l’inventore di una delle parole entrate nei vocabolari di tutte le lingue nel corso del ventesimo secolo e che praticamente usiamo o sentiamo usare tutti i giorni (e sempre più lo faremo): la parola “robot”. Čapek la usò per la prima volta (pare facendo suo un suggerimento del fratello Josef, disegnatore satirico) in un testo teatrale del 1920, guarda caso l’anno di nascita di Isaac Asimov (le cui iniziali sono peraltro le stesse di Intelligenza Artificiale), che nel 1950 avrebbe pubblicato la raccolta di racconti “Io, Robot”. Il dramma si intitolava “R.U.R” il cui protagonista, il luciferino Rossum, inventa degli operai meccanici chiamati “robot” come abbreviazione della parola ceca “robota”, che significa “lavoro pesante”. Ho rintracciato il punto esatto del testo in cui per la prima volta si cita il termine, ed eccolo: «Rossum inventò l'operaio con il minor numero di bisogni. Dovette semplificarlo. Eliminò tutto quello che non serviva direttamente al lavoro. Insomma, eliminò l'uomo e fabbricò il Robot». Tutto questo lo dico soltanto per curiosità, dato che non c’entra assolutamente nulla con “L’anno del giardiniere”, pubblicato nel 1929, tranne appunto il fatto che stiamo parlando dello stesso scrittore. Uomo peraltro molto brillante che era (dice nella sua introduzione la traduttrice e curatrice dell’agile libretto, Daniela Galdo) straordinariamente talentuoso nell’uso dei tanti sinonimi ricchi di sfumature di cui dispone la lingua ceca. Era dotato di humor e di grande versatilità, e veniva criticato dai colleghi più paludati che disapprovavano la sua attitudine a sprecare il proprio talento in scritti di poco conto. Scrisse romanzi, opere teatrali, saggi, feuilleton, racconti per bambini, cronache di viaggio. Morì giovane (a 48 anni), lasciando una gran quantità di opere che apparvero postume. Nel 1925 scrisse a un amico di essere stato contagiato dalla passione per il giardinaggio: “se andrà avanti così, lascerò la letteratura e mi dedicherò solo al mio giardino”. Cominciò perfino a raccontare le sue esperienze con la cura delle piante in una rubrica fissa sulla prima pagina del quotidiano “Lidové Noviny”, che tenne fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1938. “L’anno del giardiniere” esamina, in brevi e deliziosi capitoli, tutti i mesi delle quattro stagioni dal punto di vista dei maniaci del giardinaggio, non tanto per dare consigli pratici da manuale, ma descrivendo in modo spiritoso, a tratti esilarante, tutte le piccole e grandi fisime del tipico estirpatore folle di erbacce, rasatore di prati perfetti, potatore millimetrico, programmatore di semine, serchiatore di zolle e chi più ne ha più ne metta. Un affettuoso ritratto della categoria, in cui chi cura un giardino non può non riconoscersi. Chi invece non ha questa fortuna, leggendo potrebbe cominciare a desiderare di comprare il primo rastrello.
L’ANNO DEL GIARDINIERE
Sellerio
Brossurato, 2021
180 pagine, 14 euro
Il nome dello scrittore ceco Karel Čapek (1890-1938) viene ricordato, di solito e soprattutto, per essere l’inventore di una delle parole entrate nei vocabolari di tutte le lingue nel corso del ventesimo secolo e che praticamente usiamo o sentiamo usare tutti i giorni (e sempre più lo faremo): la parola “robot”. Čapek la usò per la prima volta (pare facendo suo un suggerimento del fratello Josef, disegnatore satirico) in un testo teatrale del 1920, guarda caso l’anno di nascita di Isaac Asimov (le cui iniziali sono peraltro le stesse di Intelligenza Artificiale), che nel 1950 avrebbe pubblicato la raccolta di racconti “Io, Robot”. Il dramma si intitolava “R.U.R” il cui protagonista, il luciferino Rossum, inventa degli operai meccanici chiamati “robot” come abbreviazione della parola ceca “robota”, che significa “lavoro pesante”. Ho rintracciato il punto esatto del testo in cui per la prima volta si cita il termine, ed eccolo: «Rossum inventò l'operaio con il minor numero di bisogni. Dovette semplificarlo. Eliminò tutto quello che non serviva direttamente al lavoro. Insomma, eliminò l'uomo e fabbricò il Robot». Tutto questo lo dico soltanto per curiosità, dato che non c’entra assolutamente nulla con “L’anno del giardiniere”, pubblicato nel 1929, tranne appunto il fatto che stiamo parlando dello stesso scrittore. Uomo peraltro molto brillante che era (dice nella sua introduzione la traduttrice e curatrice dell’agile libretto, Daniela Galdo) straordinariamente talentuoso nell’uso dei tanti sinonimi ricchi di sfumature di cui dispone la lingua ceca. Era dotato di humor e di grande versatilità, e veniva criticato dai colleghi più paludati che disapprovavano la sua attitudine a sprecare il proprio talento in scritti di poco conto. Scrisse romanzi, opere teatrali, saggi, feuilleton, racconti per bambini, cronache di viaggio. Morì giovane (a 48 anni), lasciando una gran quantità di opere che apparvero postume. Nel 1925 scrisse a un amico di essere stato contagiato dalla passione per il giardinaggio: “se andrà avanti così, lascerò la letteratura e mi dedicherò solo al mio giardino”. Cominciò perfino a raccontare le sue esperienze con la cura delle piante in una rubrica fissa sulla prima pagina del quotidiano “Lidové Noviny”, che tenne fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1938. “L’anno del giardiniere” esamina, in brevi e deliziosi capitoli, tutti i mesi delle quattro stagioni dal punto di vista dei maniaci del giardinaggio, non tanto per dare consigli pratici da manuale, ma descrivendo in modo spiritoso, a tratti esilarante, tutte le piccole e grandi fisime del tipico estirpatore folle di erbacce, rasatore di prati perfetti, potatore millimetrico, programmatore di semine, serchiatore di zolle e chi più ne ha più ne metta. Un affettuoso ritratto della categoria, in cui chi cura un giardino non può non riconoscersi. Chi invece non ha questa fortuna, leggendo potrebbe cominciare a desiderare di comprare il primo rastrello.
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