Un libro che si legge d’un fiato come se si stesse ad ascoltare il narratore, lo stesso John Holmes, mentre racconta a voce la propria vita. E proprio come accade quando il racconto è detto piuttosto che scritto, alcune parti sono meglio sviluppate, finanche con una buona capacità affabulatoria, in altre invece gli avvenimenti sono appena accennati, en passant, nel modo tipico della narrazione non strutturata. Del resto John Holmes, Mister 35, King of Porn, il pornodivo più pagato d’America, sulla breccia per vent’anni consecutivi e con all’attivo oltre 2000 film, non ha scritto materialmente questo libro: l’ha dettato, sul letto di morte, al giornalista Fred E.Basten e alla sua seconda moglie Laurie Rose, meglio nota come pornoattrice sotto il nome di Misty Dawn. Dopo la morte di Holmes, per dieci anni il testo è rimasto nelle mani di Laurie perché la famiglia del marito era contraria alla pubblicazione, infine comunque avvenuta. Chi si aspetti un libro “morboso” resterà deluso. Al contrario, la lettura finisce per essere uno spaccato drammatico e inquietante della società americana, con risvolti addirittura da thriller metropolitano nelle pagine in cui l’autore narra del suo coinvolgimento in una strage avvenuta per un regolamento di conti fra malavitosi trafficanti di droga. La vicenda, che costò all’attore quasi due anni di carcere prima del proscioglimento, e che comunque lo segnò per il resto della vita ossessionandolo dal pensiero di poter essere a sua volta ucciso, segna il punto culminante della discesa agli inferi di un uomo passato da una infanzia povera a una gioventù squattrinata e quindi al successo e alla ricchezza, per poi venire inghiottito dal baratro della tossicodipendenza. John Holmes non nasconde nulla ai suoi lettori, e lo fa con una franchezza che a tratti pare addirittura disarmante. Non cerca sconti, racconta di come spacciasse droga e trafficasse con armi e merce rubata come se fosse la cosa più normale del mondo, che nella sua condizione di allora evidentemente lo era. Il John Holmes giunto alla fine della sua vita, iniziata l’8 agosto del 1944, pare aver preso coscienza del fatto di aver vissuto in ambienti dove l’unico intento era quello di accumulare denaro, scopo per il quale si era disposti a trasformare in merce qualsiasi cosa. Nelle ultime pagine commuovono l’amore di John per la madre e la moglie Laurie, la sua convinzione di essere stato comunque un uomo fortunato solo per il fatto di averle avute accanto, la sua determinazione a non fare niente per prolungare la sua agonia, desiderando solanto di morire, e infine la preoccupazione perché il suo corpo fosse cremato intero, nel timore che qualcuno potesse evirarlo, già cadavere, per mettere in formalina o imbalsamare il pene che lo aveva reso un fenomeno in tutto il mondo. Ma non c’è solo questo: il racconto dell’attore consente anche di seguire l’evoluzione dell’industria del porno, dalle fasi iniziali dei primi anni Sessanta, con il mercato clandestino e la produzione di “loop” di brevissima durata, sempre realizzati con il rischio che la polizia facesse irruzione sui set, fino al mercato dei video che verso la fine degli anni Ottanta cominciarono a soppiantare definitivamente le pellicole cinematografiche. Infine, una considerazione: la (discutibile) postfazione di Roberta Tatafiore mette in dubbio che Holmes sia davvero finito vittima dell’ AIDS, sostenendo che la sua morte fosse dovuta piuttosto ai suoi otto pacchetti di sigarette il giorno, all’abuso di droghe e di alcool. Holmes era già un uomo morto prima che AIDS se lo portasse via. Dal di fuori, si può solo notare che l’una cosa non escluda l’altra e che ci possano essere state delle concause.