domenica 7 febbraio 2021

LA FAMIGLIA MANZONI

 
 

 
Natalia Ginzburg
LA FAMIGLIA MANZONI
Einaudi
cartonato, 1983
350 pagine, 18000 lire


Vent'anni dopo il suo "Lessico famigliare", Natalia Ginzburg ne scrive uno dedicato a un'altra famiglia, anch'essa piena di parenti e di amici importanti, colti nella loro intimità domestica: quella di Alessandro Manzoni. In realtà, come spiega l'autrice, e come ben sottolinea il titolo, la sua non è una ricostruzione incentrata sulla figura di Alessandro, l'autore dei "Promessi Sposi", che alla fine risulta solo uno dei personaggi in un ritratto di gruppo parecchio affollato, ma proprio su una famiglia intera seguita per oltre cento anni, dal 1762 (nascita di Giulia Beccaria, figlia di Cesare e madre di Alessandro), fino a 1907 (morte di Matildina, figlia di Vittoria, settima figlia di Alessandro). Come la famiglia di origine della Ginzburg, figlia dell'illustre biologo Giuseppe Levi e frequentata da gente come Filippo Turati, Cesare Pavese, Adriano Olivetti, la famiglia Manzoni, non particolarmente ricca e non nobile, finisce per essere al centro di un giro di illustri personaggi, da Carlo Imbonati a Claude Fauriel, da Niccolò Tommaso a Giuseppe Giusti, ma anche Massimo d'Azeglio e Antonio Rosmini. La Ginzburg non si sofferma né sulle opere letterarie di Alessandro Manzoni, né sugli accadimenti storici del Risorgimento, né sulle idee politiche dei personaggi. Se ne accenna, certo, ma solo perché parte del vissuto quotidiano. La conversione al cattolicesimo di Enrichetta Blondel (prima moglie di Alessandro), per esempio, viene analizzata principalmente per i forti dissapori che provocò tra lei e la famiglia di origine, calvinista. Stupiscono, proprio dal punto di vista del vissuto quotidiano, le assurde regole (impraticabili) dettate dall'abate Degola a Giulia Beccaria e alla stessa Enrichetta per il loro percorso di fede. All'autrice interessano soprattutto gli aspetti domestici: i soggiorni estivi in campagna, i viaggi, le frequentazioni, i rapporti tra il parentado. Alessandro Manzoni, alla fine del saggio, ne esce come una gran brava persona, moderno anche nei suoi frequenti attacchi di ansia, umano nella sua balbuzie. Odiosi, invece, un paio dei suoi nove figli, Filippo e soprattutto Enrico, che sperperano il denaro e mendicano senza vergogna assistenza paterna lasciano ovunque debili da pagare. Le pecore nere ci sono in ogni famiglia, insomma. Colpisce, leggendo, l'estrema frequenza in cui qualcuno si ammala, resta tra la vita e la morte, si riprende, ha ricadute. Del resto, tanti dei protagonisti, tormentati da malattie senza fine, muoiono giovani: Enrichetta Blondel a quarantadue anni, la prima figlia Giulietta a ventisei anni. Si resta sbalorditi dalle assurde cure a cui gli ammalati sono sottoposti (di continuo, per esempio, ai salassi con le sanguisughe) e da come i medici brancolino nel buio. Un aspetto negativo del saggio della Ginzburg, costruito esaminando i diari le memorie e l'epistolario dei protagonisti, il continuo ricorso a interminabili citazioni dalle loro lettere. Pagine e pagine di lettere scritte in un linguaggio il più delle volte noioso perché rispondente a un modo di esprimersi prolisso e formale. Si preferirebbe che la Ginzburg riassumesse, ricostruisse le vicende, filtrasse. Ci si rende conto, comunque, di come fossero proprio le lettere il principale modo attraversi il quale si conservavano i rapporti famigliari, almeno nelle famiglie i cui membri sapevano scrivere e potevano permettersi i soldi dei francobolli.

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