Adolfo Bioy Casares
L’INVENZIONE DI MOREL
Sur
2017, brossurato
144 pagine, 15 euro
Lo scrittore argentine Aldolf Bioy Caseres (1914-1999) condivideva con Jorge Luis Borges, di cui fu amico fraterno e collaboratore per tutta la vita, l’aspirazione a una letteratura sudamericana che non fosse imitazione di quella europea, e che spaziasse in modo proprio e originale anche all’interno dei generi, come il poliziesco o il fantascientifico. Fantascientifico si può senza dubbio definire il romanzo breve del 1940 “L’invenzione di Morel”, pieno tuttavia di echi letterari, come di metafore e simbologie, e distante dalla tradizionale science fiction americana. C’è tuttavia il ricordo, sicuramente, dell’ “Isola del dottor Moreau”, di H.G.Wells (lo si capisce già dal nome dello scienziato pazzo citato nel titolo), così come del “Castello dei Carpazi” di Jules Verne. Pur basata su una ipotesi tecnologica (un macchinario, una invenzione), il romanzo è costruito non sull'azione ma sul senso d’ansia e di straniamento del protagonista, in un contesto che sembra onirico, metafisico. L’io narrante (praticamente l’unico personaggio “reale” del racconto) è un fuggiasco senza nome che, per scampare a una condanna per motivi politici che ne fa un ricercato braccato dalla Legge, decide di rifugiarsi come naufrago volontario su un’isola della Polinesia, che sa essere disabitata. Dopo lo sbarco, il fuggitivo si rende conto come però su una altura esistano delle misteriose costruzioni: un edificio principale che lui definisce “museo”, una cappella, una piscina. Inizialmente questi luoghi sembrano abbandonati, ma dopo qualche giorno si popolano di un gruppo di persone, come se fossero sbarcati dei turisti in visita. Il fuggiasco si nasconde limitandosi a spiarne le mosse, per timore di venire scoperto, denunciato e arrestato. Ma la presenza dei visitatori si collega a misteriosi fenomeni, quali la comparsa in cielo di due soli e due lune. L’io narrante, che tiene un diario, crede di essere vittima di allucinazioni create da una malattia o da qualche avvelenamento alimentare. Così come sono venuti, i visitatori scompaiono di punto in bianco: il fuggitivo ispeziona gli edifici che li hanno ospitati e si rende conto che sono in stato di abbandono così com’erano prima del loro arrivo e nulla testimonia il loro passaggio. A distanza di poco tempo, ecco i “turisti" fare ritorno, sempre gli stessi, occupati nelle medesime discussioni, vestiti con gli stessi abiti. Il naufrago li spia più da vicino, ascolta i loro discorsi, e resta colpito da una donna, Faustina (così sente chiamarla). Se ne innamora, cerca di avvicinarsi, ma lei lo ignora, sembra non vederlo. Nessuno del suo gruppo, del resto, pare accorgersi di lui, per quanto il fuggiasco si mescoli a loro. Il mistero si infittisce, finché quello che si rivela essere l’anfitrione del gruppo, uno scienziato di nome Morel, colui che ha costruito gli edifici dopo aver acquistato l’intera isola, non tiene un discorso agli altri in cui rivela la verità. Una apparecchiatura di sua invenzione, in grado di registrare e riprodurre la realtà in ogni sua componente (visiva, sonora, tattile) ha “catturato” per una settimana ogni loro movimento, discorso, atteggiamento dell'animo e assicurato agli ospiti un simulacro di esistenza eterna: grazie alle sue maree, l’isola può garantire l’energia necessaria al funzionamento dei macchinari programmati per “proiettare” per sempre (fatti salvi i tempi per il ricaricamento) le loro forme, reali in tutto e per tutto, come se le loro stesse anime fossero state incise su disco. Precedenti esperimenti fatti da Morel hanno però causato la morte delle cavie: non si sa quale sia stata la sorte degli ospiti del “museo” dopo la registrazione, ma tutto lascia temere il peggio. Chissà dov’è la vera Faustina, il naufrago può solo amarla come simulacro: interessanti le sue reazioni alla scoperta, nel finale del racconto. Nel “Castello dei Carpazi” di Verne, alcuni macchinari ottici e fonografici ricreano ogni sera l’illusione che una cantante lirica torni in vita, l’invenzione di Morel fa di più, e anticipa i nostri tempi in cui la realtà virtuale è sempre più realtà e meno virtuale.
L’INVENZIONE DI MOREL
Sur
2017, brossurato
144 pagine, 15 euro
Lo scrittore argentine Aldolf Bioy Caseres (1914-1999) condivideva con Jorge Luis Borges, di cui fu amico fraterno e collaboratore per tutta la vita, l’aspirazione a una letteratura sudamericana che non fosse imitazione di quella europea, e che spaziasse in modo proprio e originale anche all’interno dei generi, come il poliziesco o il fantascientifico. Fantascientifico si può senza dubbio definire il romanzo breve del 1940 “L’invenzione di Morel”, pieno tuttavia di echi letterari, come di metafore e simbologie, e distante dalla tradizionale science fiction americana. C’è tuttavia il ricordo, sicuramente, dell’ “Isola del dottor Moreau”, di H.G.Wells (lo si capisce già dal nome dello scienziato pazzo citato nel titolo), così come del “Castello dei Carpazi” di Jules Verne. Pur basata su una ipotesi tecnologica (un macchinario, una invenzione), il romanzo è costruito non sull'azione ma sul senso d’ansia e di straniamento del protagonista, in un contesto che sembra onirico, metafisico. L’io narrante (praticamente l’unico personaggio “reale” del racconto) è un fuggiasco senza nome che, per scampare a una condanna per motivi politici che ne fa un ricercato braccato dalla Legge, decide di rifugiarsi come naufrago volontario su un’isola della Polinesia, che sa essere disabitata. Dopo lo sbarco, il fuggitivo si rende conto come però su una altura esistano delle misteriose costruzioni: un edificio principale che lui definisce “museo”, una cappella, una piscina. Inizialmente questi luoghi sembrano abbandonati, ma dopo qualche giorno si popolano di un gruppo di persone, come se fossero sbarcati dei turisti in visita. Il fuggiasco si nasconde limitandosi a spiarne le mosse, per timore di venire scoperto, denunciato e arrestato. Ma la presenza dei visitatori si collega a misteriosi fenomeni, quali la comparsa in cielo di due soli e due lune. L’io narrante, che tiene un diario, crede di essere vittima di allucinazioni create da una malattia o da qualche avvelenamento alimentare. Così come sono venuti, i visitatori scompaiono di punto in bianco: il fuggitivo ispeziona gli edifici che li hanno ospitati e si rende conto che sono in stato di abbandono così com’erano prima del loro arrivo e nulla testimonia il loro passaggio. A distanza di poco tempo, ecco i “turisti" fare ritorno, sempre gli stessi, occupati nelle medesime discussioni, vestiti con gli stessi abiti. Il naufrago li spia più da vicino, ascolta i loro discorsi, e resta colpito da una donna, Faustina (così sente chiamarla). Se ne innamora, cerca di avvicinarsi, ma lei lo ignora, sembra non vederlo. Nessuno del suo gruppo, del resto, pare accorgersi di lui, per quanto il fuggiasco si mescoli a loro. Il mistero si infittisce, finché quello che si rivela essere l’anfitrione del gruppo, uno scienziato di nome Morel, colui che ha costruito gli edifici dopo aver acquistato l’intera isola, non tiene un discorso agli altri in cui rivela la verità. Una apparecchiatura di sua invenzione, in grado di registrare e riprodurre la realtà in ogni sua componente (visiva, sonora, tattile) ha “catturato” per una settimana ogni loro movimento, discorso, atteggiamento dell'animo e assicurato agli ospiti un simulacro di esistenza eterna: grazie alle sue maree, l’isola può garantire l’energia necessaria al funzionamento dei macchinari programmati per “proiettare” per sempre (fatti salvi i tempi per il ricaricamento) le loro forme, reali in tutto e per tutto, come se le loro stesse anime fossero state incise su disco. Precedenti esperimenti fatti da Morel hanno però causato la morte delle cavie: non si sa quale sia stata la sorte degli ospiti del “museo” dopo la registrazione, ma tutto lascia temere il peggio. Chissà dov’è la vera Faustina, il naufrago può solo amarla come simulacro: interessanti le sue reazioni alla scoperta, nel finale del racconto. Nel “Castello dei Carpazi” di Verne, alcuni macchinari ottici e fonografici ricreano ogni sera l’illusione che una cantante lirica torni in vita, l’invenzione di Morel fa di più, e anticipa i nostri tempi in cui la realtà virtuale è sempre più realtà e meno virtuale.
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