Giancarlo Berardi
Ivo Milazzo
FIN DOVE ARRIVA IL MATTINO
Sergio Bonelli Editore
2025, cartonato
138 pagine, 25 euro
Ivo Milazzo
FIN DOVE ARRIVA IL MATTINO
Sergio Bonelli Editore
2025, cartonato
138 pagine, 25 euro
“Fin dove arriva il mattino” è il capitolo finale della saga di Ken Parker. Una saga che ha segnato la mia vita (e quella di moltissimi altri), iniziata nel 1977 e conclusasi nel 2015 con il cinquantesimo volume di una riedizione distribuita in edicola da Mondadori Comics, contenente l’unica avventura inedita in una collana che aveva ristampato, nelle quarantanove uscite precedenti, tutti gli episodi di Lungo Fucile. A distanza di dieci anni, Sergio Bonelli Editore (in occasione di una nuova riproposta dell’intera serie) dà alle stampe un volume cartonato e di pregio, destinato al circuito delle librerie, della storia conclusiva del lungo cammino del personaggio. Storia, secondo me, memorabile. Ma per arrivare a parlarne, ritengo necessario ricapitolare i punti fondamentali riguardanti qualsiasi discorso sull’anti eroe di Berardi & Milazzo.
L'albo d'esordio, intitolato “Lungo Fucile” uscì in tutta Italia nel giugno 1977, per i tipi della Cepim di Sergio Bonelli e dunque nel classico formato Tex (anche se con una grafica di copertina originale rispetto alla tradizione). Il personaggio risaliva però a tre anni prima: era nato infatti nel 1974 per essere proposto in un unico episodio autoconclusivo da inserirsi nella Collana Rodeo. Bonelli, tuttavia, aveva bisogno di materiale per riempire gli spazi vuoti tra una puntata e l'altra de "La Storia del West" di Gino D'Antonio; così, dopo aver letto il racconto, chiese allo sceneggiatore Giancarlo Berardi e al disegnatore Ivo Milazzo di realizzarne un secondo, e poi un terzo, finché si convinse che il protagonista di quelle storie aveva un notevole "spessore" e meritava una serie tutta sua. Milazzo, nato a Tortina nel 1947, e Berardi, genovese della classe 1949, si erano conosciuti perché frequentavano la stessa scuola e avevano esordito insieme nel 1970 nel mondo del fumetto (il primo come disegnatore, il secondo in qualità di sceneggiatore) sulla rivisto Horror, diretta da Pier Carpi e Alfredo Castelli. Sempre insieme avevano fatto esperienza lavorando per lo studio ligure Bierreci (che prendeva il nome da Luciano Bottaro, Giorgio Rebuffi e Carlo Chendi)e realizzando storie per Tarzan e Gatto Silvestro. Da lì erano passati al Giornalino grazie alle avventure di Tiki, un giovane indio amazzonico; e a Lanciostory con la serie di racconti western Welcome to Springville. Ma a quel punto già arrivava Ken Parker.
Chiunque si trovi oggi a fare i conti con il western deve necessariamente sottostare alla regola dell' Im Westen Nichts Neues: all'Ovest niente di nuovo. Migliaia di film, romanzi e fumetti hanno sfruttato ogni situazione in tutte le possibili salse. Giancarlo Berardi si deve essere reso subito conto dell'impossibilità di dire qualcosa di nuovo in un contesto in cui si è detto tutto. E allora? Come è stato possibile per Ken Parker, nonostante questo handicap di fondo, incidere profondamente nel mondo del fumetto italiano? Innanzitutto, l'approccio verso gli ingredienti più tradizionali del genere western (gli attacchi degli indiani, le rapine alle banche, i ladri di bestiame) è di sostanziale accettazione, peraltro giustificata dalla rappresentazione di una realtà storica. Se non si cerca di modificare le situazioni in quanto tali, si modifica però l'ottica attraverso la quale queste situazioni vengono presentate al lettore. Non più la tradizionale divisione in "buoni" e "cattivi", ma il tentativo di esporre le ragioni degli uni e degli altri; non più eroi a tutto tondo, ma personaggi problematici, spesso tormentati da dubbi, angosce e incertezze; non più un mondo di relazioni interpersonali semplificate (se non banalizzate) ma un'analisi spesso profonda della psicologia e dell'intimo dei protagonisti. Tutto ciò viene raggiunto con una cura certosina, in fase di sceneggiatura, della scansione cinematografica delle sequenze e del loro montaggio, della sottolineatura dei dettagli e degli sguardi, dei dialoghi dove niente viene lasciato al caso e ogni parola ha il suo giusto peso e un preciso ruolo da svolgere. Inotre le avventure di Ken Parker spaziano in una dimensione più ampia di quella del western tradizionale: lo vediamo perciò cacciatore di balene tra gli iceberg e investigatore tra i palazzi di città. Infine, le avventure di "Lungo Fucile" sono caratterizzate da una costante contaminazione tra più generi: dal cinema alla letteratura, dalla musica al fumetto. Ken Parker maneggia i versi di Walt Whitman, commenta "Il Capitale", recita l'Amleto, incontra Ambrose Bierce; ma si imbatte anche in Tex Willer e Totò, marcia con i lavoratori del quadro di Pellizza da Volpedo, prende a pugni Poirot, conversa amichevolmente con i suoi stessi autori, diviene amico del Dersu Uzala di Kurosawa (anche se qui si fa chiamare Nanuk) e di Pippi Calzelunghe (Pat O'Shane), bacia Marilyn Monroe/Norma Jean, si inventa scrittore di dime novels.
Ma chi è Ken Parker? Ferruccio Giromini, introducendo sulla rivista Orient Express il breve episodio intitolato "Cuccioli", risponde: "un uomo che crede di poter fare qualcosa per cambiare la storia". Giancarlo Berardi, che ne sa ben qualcosa, così replica in una intervista su Popular Press: "Ken Parker non ha questa pretesa. Si sforza solo di essere coerente con le sue idee, con il suo bagaglio di uomo, con i suoi valori che ha pian piano riscoperto. Dato che nella società in cui viveva, e anche in quella in cui viviamo noi, di valori ce ne sono pochi, nasce la necessità di crearsene di propri e vivere coerentemente con essi". Ciò significa fare delle scelte, a volte faticose, altre volte addirittura drammatiche.
Le avventure di Ken Parker, ex cercatore d'oro in California tornato fra le sue montagne a fare il cacciatore di pellicce, hanno inizio nel Montana il 29 dicembre 1868, quando suo fratello Bill viene ucciso, a scopo di rapina, da alcuni assassini, che, di lì a poco, si arruolano come scout dell'esercito. Ken, deciso a vendicare Bill, fa lo stesso e si trova così coinvolto nel drammatico inseguimento di una tribù di Cheyenne fuggita della riserva da parte di uno squadrone di Giacche Blu. Ken resta nell'esercito anche dopo aver fatto giustizia degli assassini di suo fratello. Nel suo ruolo di guida ed esploratore, ha modo di venire a contatto con la tragica realtà del problema indiano.
Con il numero 59, “I ragazzi di Donovan”, datato maggio 1984, si chiude la prima serie di albi bonelliani in bianco e nero di Ken Parker. Il personaggio proseguiva però le sue avventure sempre su una testata della stessa casa editrice: appunto la prestigiosa rivista Orient Express, diretta da Luigi Bernardi, da poco entrata a far parte della scuderia Bonelli. Berardi & Milazzo erano convinti che fosse impossibile continuare a sostenere il ritmo di una storia al mese senza perdere in qualità, parametro a cui gli autori non erano disposti a rinunciare. Per Ken Parker fu dunque decisa la chiusura della collana mensile in bianco e nero (da tutti rimpianta) e la prosecuzione con storie a colori pubblicate a puntate e poi raccolte in albo. L’esordio su rivista del nostro eroe avviene sul n° 20 di Orient Express, datato aprile 1984. Ma l’esperimento non funziona. Berardi & Milazzo si mettono in proprio e tornano alle storie in bianco e nero pubblicate su un magazine intitolato al loro personaggio, poi rilevato da Bonelli.
Con l'episodio “Un soffio di libertà" (distribuito sui numero 30, 31 e 32 del magazine, datato 1995) le vicende umane di Lungo Fucile giungono a toccare un momento estremamente drammatico della sua vita. Ken Parker, accusato di aver ucciso un poliziotto durante uno sciopero a Boston, in uno scontro di piazza fra operai manifestanti e le forze dell’ordine (in realtà si è trattato di un gesto necessario, in un momento concitato, per salvare una vita in pericolo), è incarcerato nel penitenziario di Jackson County, gestito da un direttore "illuminato", Compton Scott, che però non ha il controllo sui suoi secondini, che si accaniscono sui detenuti a sua insaputa. Proprio mentre un gruppo di giornalisti visita la prigione per scrivere delle idee di Compton Scott, l'uccisione di un galeotto da parte degli aguzzini scatena una rivolta carceraria. Ken Parker si fa portavoce dell'ala moderata dei rivoltosi, quelli che non chiedono di evadere ma di vedere puniti i colpevoli. Intanto, i più facinorosi usano violenza alla moglie e alla figlia del direttore prese in ostaggio e nello stesso tempo il governatore decide di risolvere la questione con una dimostrazione di forza nonostante la trattativa condotta da Ken sia più che ragionevole e abbia ormai messo d'accordo tutti i negoziatori. Così, la rivolta si risolve in un bagno di sangue, da cui Ken Parker è uno dei pochi a uscire vivo. C'è, nello spunto iniziale, il ricordo del film "Braubaker", con Robert Redford (anche se non serve averlo visto).
Ma arriviamo a “Fin dove arriva il mattino”, l'episodio che di "Un soffio di libertà" rappresenta il sequel. Occhio allo spoiler. Ricordo che quando scoprii Ken Parker (in ritardo rispetto all'uscita originaria, e precisamente con l'albo intitolato "Il poeta"), decisi di raccogliere tutti i numeri arretrati che mi erano sfuggiti. Guardavo però la pila dei titoli da leggere con quel senso di angoscia di chi sa che, facendo qualcosa, poi dovrà soffrire. Infatti, quando trovavo il coraggio di affrontare la lettura, spesso la concludevo con il groppo alla gola ed emotivamente sconvolto. "Butch l'implacabile", "Cronaca", "Diritto e rovescio", "Lilly e il cacciatore"... tutti albi che mi hanno lasciato il segno, sui quali appunto ho sofferto per quanto erano coinvolgenti. Ricordo di aver pianto sul finale di "Alcune signore di piccola virtù". Qualcosa del genere mi è successo con l'ultima avventura di Ken Parker. Ho temporeggiato finché ho potuto, sapendo che leggere mi avrebbe oppresso il petto e fatto dormire male. Cosa che è regolarmente accaduta. Per quanto mi riguarda, si tratta di uno degli episodi più belli e più amari della saga, magistralmente raccontato da Berardi in una continua alternanza (piena di corrispondenze) fra il passato e il presente, e disegnato da Milazzo con lo sfoggio del suo stile inconfondibile in grado di comunicare brividi con pochi segni solo apparentemente scarabocchiati: il talento suo proprio che mi ha da sempre fatto innamorare delle sue tavole. La caratteristica principale delle storie di Lungo Fucile è sempre stata quella del realismo, della raffigurazione del dramma senza edulcorazioni: l'episodio finale porta questa connotazione fino alle estreme conseguenze. L'eroe dei fumetti, se è chiuso in prigione, riesce a evadere e a dimostrare la propria innocenza; e soprattutto non invecchia, le ferite su di lui non lasciano cicatrici. Ken invece sconta vent'anni di carcere e quando ne esce, per un indulto, è anziano e dolorante, oppresso dal mal di schiena, costretto ad appoggiarsi al fucile come un bastone. Non è neppure in grado di affrontare una banda di criminali a cui si unisce per cercare di salvare due donne, madre e figlia, che hanno presso in ostaggio, e soltanto alla fine riesce nell'impresa, quando i banditi sono rimasti soltanto in due. Della donna più anziana forse si innamora pure, contraccambiato, ma i guai nascono da quella più giovane che, vittima della sindrome di Stoccolma, reagisce in modo inaspettato alla sua liberazione. Alla fine Ken inevitabilmente muore, come muoiono le persone reali, vecchio e sofferente, senza più forze, aspettando l'alba. E io, di nuovo, piango.
Nessun commento:
Posta un commento